Sulla base delle considerazioni che seguono, elaborate nel testo in discussione, oggi a Palermo sarà presentata la Convenzione dei Diritti  nel Mediterraneo:  80 soggetti di 20 Paesi tra rappresentanti di associazioni, enti locali, personalità della cultura e del terzo settore si incontrano stamattina al Cinema De Seta dei Cantieri Culturali (già in corso di svolgimento), per la firma del documento. Scopo dei promotori è quello di recuperare la centralità del Mare Nostrum come spazio comune di umanità e di democrazia partecipata dal basso

 

Scrivono i redattori della Convenzione: “Il Mediterraneo oggi appare un’area pervasa da guerre e da conflitti interni a singoli paesi spesso alimentati da nazioni esterne all’area mediterranea; i gruppi di potere dominanti nell’area, con il sostegno e a volte per conto di potenze straniere e aziende multinazionali, attuano strategie e politiche predatorie delle risorse che determinano incremento di povertà e diseguaglianze”. Inoltre  le politiche adottate dai governi dell’area sono improntate all’insegna, sottolineano, di “nazionalismi esasperati ed estremismi ideologici” che  condizionano sempre più scelte statuali che determinano “chiusure e disumane pratiche di esclusione”, senza contare le forti spinte “alla privatizzazione dei beni comuni” che sottraggono risorse collettive alle comunità.

La Convenzione mette in evidenza la questione climatica anche in relazione ai grandi flussi migratori. Infatti viene ricordato che “le prime vittime del Cambio Climatico sono proprio coloro che fuggono dalla desertificazione”, così come parimenti: “le prime vittime della guerra sono coloro che fuggono da conflitti locali; le prime vittime dell’insicurezza sono coloro che fuggono da paesi in cui la popolazione è condannata a subire violenze”. Sostanzialmente, a partire dalle inquietanti sofferenze patite dai cd. “migranti”, la Convenzione tenta una possibile risposta alle legittime richieste verso l’apertura di un “nuovo umanesimo” per una nuova “Casa Comune”.

Il Mediterraneo continua ancora oggi ad essere un luogo nevralgico dell’economia mondiale: attraverso le sue acque passa oltre il 15% dei traffici commerciali marittimi di tutto il Pianeta e il 20% del valore economico ad essi collegato e il suo ruolo di produttore di energia è in continuo aumento.

Di fronte ad una entità come quella mediterranea diventa indispensabile che i popoli che la compongono riprendano:

  • la coscienza del loro essere e insieme la coscienza di luogo, tale da puntare alla crescita qualitativa dei loro territori, riconoscendone i valori, le tradizioni, i giacimenti patrimoniali, le identità, tutte condizioni per l’affermazione di autonomia e capacità di autogoverno;
  • la sovranità alimentare ed energetica, il governo collettivo dei beni comuni, i modelli produttivi e di consumo fondati sulla valorizzazione delle risorse locali e sull’inclusione sociale.

Tutto ciò rappresenta il presupposto per affermare un modello di sviluppo sostenibile non assistito ed etero diretto, “ma autocentrato e capace di produrre relazioni solidali dentro le comunità e tra comunità diverse. La partecipazione in tale contesto non rappresenta il pur indispensabile potenziamento della democrazia, ma diventa vero e proprio strumento di liberazione della vita quotidiana, della vita collettiva, pratica ordinaria di governo mirata alla creazione di benessere riferito alla qualità complessiva dell’esistenza di ognuna e ognuno”.

Concludendo: “É il momento di un urgente, rinnovato, responsabile, cooperativo protagonismo dei soggetti sociali attivi dell’area mediterranea, in grado di creare o potenziare relazioni tra gruppi, associazioni, movimenti, istituzioni locali a forte vocazione democratica, per dare vita ad una vera e propria Agorà degli abitanti del Mediterraneo e per creare una massa critica che spinga verso il cambiamento”.