Una donna dalla schiena dritta è così che Franca Imbergamo, la giudice che ha fatto condannare in via definitiva Gaetano Badalamenti per l’omicidio di Peppino Impastato, ha più volte indicato Felicia Bartolotta, la madre del giovane comunista di Cinisi assassinato dalla mafia; ma questa definizione si attaglia perfettamente anche a lei, coraggiosa senza ostentazione, colta senza traccia di orpelli, affettuosa senza difetto di rigore, etico e professionale. Oggi è candidata al ruolo di Procuratore della Repubblica del capoluogo siciliano.  

 

d. Cosa ricorda di più appassionante e difficile in quegli anni di fine secolo a Palermo, coinvolta com’era nell’impegno antimafia e per i diritti delle donne?

r. Sono stati anni indimenticabili. Palermo dopo le stragi cercava di risorgere anche attraverso l’iniziativa giudiziaria. Nonostante le difficoltà e gli errori che certamente possiamo aver compiuto, credo che il lavoro dei magistrati abbia contribuito a segnare l’inizio di una nuova epoca. L’impegno antimafia però non si limita all’iniziativa giudiziaria e anzi si concretizza soprattutto nel lavoro della cosiddetta società civile. Da questo punto di vista è stato per me un onore collaborare con i movimenti antimafia di Palermo e con le Associazioni di donne impegnate a promuovere il riscatto dell’intera collettività. Tornando al lavoro giudiziario certamente la parte più difficile è sorta quando abbiamo osato indagare sui Colletti Bianchi e sulla borghesia mafiosa collusa con Cosa Nostra. L’azione della magistratura a quel punto cominciò ad essere sempre più osteggiata, sino alla promozione di alcune riforme volte essenzialmente ad ostacolare quel tipo di indagini.

 

d. Per ragioni personali, ha poi scelto di trasferirsi a Roma. Che cosa ha rappresentato questa nuova tappa nella sua carriera e perché ha deciso di rimettersi in giuoco, con un eventuale ritorno nella sua terra, proprio adesso?

r. L’esperienza romana, presso la Procura Nazionale Antimafia, ha rappresentato la necessaria prosecuzione dell’attività già svolta in Sicilia. Lavorare nell’Ufficio creato da Giovanni Falcone mi ha permesso di osservare l’evolversi delle Mafie su tutto il territorio nazionale ed anche all’estero. Oggi mi occupo in particolare del coordinamento delle indagini relative al distretto di Palermo ed alle Stragi del 1992-93.

 

d. Amministrare la giustizia a partire dal proprio essere donna non è senza significato: lo sguardo femminile sul delitto e sul diritto rappresenta un valore aggiunto per la democrazia non solo formale, ma sostanziale. 

r. Le donne hanno avuto certamente la possibilità di sperimentare anche nel campo dell’antimafia e della giustizia il proprio valore per la difesa dei diritti di tutti i cittadini. Forse in questo senso essere donna rappresenta una vera opportunità per osservare i fatti delittuosi anche con riferimento al loro valore umano e sociale.

 

d. Com’è cambiata la città e com’è cambiata la mafia, secondo lei, in questi ultimi anni e quali iniziative reputa indispensabili contro l’attuale degrado?

r. Palermo è certamente una città profondamente diversa da quella che era agli inizi degli anni Novanta: oggi la Mafia non ostenta più il suo strapotere sul territorio, anche se certamente continua a gestire i propri interessi criminali. Abbiamo assistito infatti al fenomeno del cosiddetto inabissamento, una Mafia che come quella degli anni Settanta, dei Badalamenti e dei Bontade, non esercita la violenza se non assolutamente necessaria e cerca di evitare che avventure stragiste come quelle promosse dai Corleonesi possano ostacolare gli affari più lucrosi. Per quanto concerne le iniziative necessarie per migliorare la situazione, io credo che la risposta che ogni cittadino può dare consista nel chiedere una buona Amministrazione: la vera rivoluzione democratica è la buona amministrazione. 

 

d. Infine, quali riforme della giustizia ritiene più urgenti?

r. La giustizia è oggi al centro dell’attenzione di tutti, personalmente credo che prima di affrontare riforme epocali si potrebbe cercare di far funzionare quello che c’è dotandola di uomini e mezzi adeguati. In ultimo, vorrei sottolineare come il problema più urgente da affrontare a mio giudizio sia la condizione delle nostre carceri, perché nessun Paese può dirsi civile se la pena non rieduca il condannato.