L’Istituto Regina Margherita di Palermo è un Liceo con più di 2000 alunni che frequentano indirizzi diversi, dal Liceo delle Scienze Umane, al Liceo Linguistico, al Liceo Musicale e Coreutico. Un mondo variegato di storie e di volti che si riversa ogni giorno nel centro storico di Palermo, tra i monumenti arabo-normanni e l’antico mercato di Ballarò. 

Ed è in questa scuola, la prima in Sicilia, che entra la “carriera alias ” ovvero la possibilità per tutti gli studenti e le studentesse di aver riconosciuta nei documenti scolastici – nonostante le recenti beghe parlamentari – l’identità di genere scelta. Entra dalla porta principale, su proposta dei rappresentanti degli studenti al Consiglio d’Istituto che la ha approvata, “senza alcun problema e all’unanimità” ci racconta Marta Sabatino, rappresentante di istituto, che insieme ai suoi compagni ha raccolto mille firme di adesione alla proposta, tra gli studenti e le studentesse della sua scuola. “Abbiamo deciso di avviare una petizione anche perché era una proposta fortemente voluta dal corpo studentesco e il Consiglio d’Istituto ha accolto e recepito l’istanza. In alcune scuole del Centro- Nord il protocollo è stato già attuato e la riteniamo una scelta importante perché sapevamo che c’era questa esigenza e conoscevamo personalmente alcuni ragazzi e ragazze della nostra scuola che vivono questa difficoltà. Molti di loro stanno già chiedendo informazioni perché sentono la necessità di essere chiamati con un nome diverso da quello anagrafico e quindi averlo riconosciuto li aiuta. Adesso in tutti i documenti interni alla scuola, compresi i compiti in classe, si potrà utilizzare il nome scelto. È solo l’inizio di un percorso ma un primo passo che legittima l’identità di genere che viene spesso sminuita.”

 Il ruolo delle famiglie è fondamentale, se si tratta di un/una minorenne, il supporto e il consenso dei genitori non saranno di poco conto. “È vero”, continua Marta “molte famiglie non accettano ancora questa decisione, però il fatto che la scuola dia questa possibilità può essere una spinta per iniziare a parlarne, per far capire che non è una scelta infantile perché c’è un riconoscimento delle istituzioni”. 

Ma nella pratica, tutti sono pronti ad accettare questa nuova sfida?

Ci saranno delle remore, tra i ragazzi, tra i professori e questo può compromettere un sereno processo di integrazione? 

“In realtà a non accettare di usare il nome elettivo di ragazzi e ragazze trans che si definiscono tali sono più i professori che gli altri studenti. È un problema generazionale, per noi è abbastanza normale che si chieda come si vuole essere chiamati, mentre per alcuni docenti può costituire un problema. Ma in generale nella nostra scuola sono davvero pochi quelli che rifiutano di farlo; ad esempio in altre scuole ci sono stati problemi maggiori e dovranno essere i rappresentanti degli studenti ad avviare una discussione”.

C’è un percorso che questi studenti e queste studentesse dovranno intraprendere, alla richiesta seguiranno i colloqui con la psicopedagogista della scuola, la professoressa Rosmery Inzerra che ha avuto l’incarico di sostenerli nell’attivazione del protocollo. “Lo sportello d’ascolto che la scuola ha attivato non è un setting clinico”, tiene a precisare la docente, “ma uno spazio di riflessione personale e di confronto, oltre che di supporto psicologico”.  

“Certo è un percorso non facile e che ha bisogno dell’attenzione di tutti” ci dice la professoressa Lidia Mulé, coordinatrice di un consiglio di classe che ha seguito alcuni casi, “si tratta di dinamiche particolari, che non sempre i docenti o gli stessi studenti sono in grado di affrontare con la necessaria competenza. La famiglia assume un ruolo fondamentale, così come le Associazioni con le quali collaboriamo; questi ragazzi e queste ragazze non possono sostenere da soli un periodo così complesso della loro vita e io ho chiesto che ci vengano dati gli strumenti e una formazione specifica per supportarli e guidarli senza commettere errori di comunicazione.” 

E poi ci sono i problemi burocratici da risolvere, dal registro elettronico, i cui dati anagrafici non possono essere modificati in attesa che si concluda l’iter giuridico per il riconoscimento della nuova identità, all’integrazione del Regolamento di Istituto; si pensa di inserire momentaneamente una nota che segnali il nome scelto dal ragazzo o dalla ragazza o di utilizzare solamente il cognome negli atti amministrativi. 

“Ma al di là delle procedure e dei timori”, sottolinea la professoressa Giulia Cordone, una delle docenti del Consiglio d’Istituto che convintamente ha sostenuto la richiesta, “si tratta di una decisione che ha un valore culturale enorme, una vera rivoluzione copernicana. La scuola si apre ad una nuova sensibilità ed è un piccolo ma importante passo per aggirare gli ostacoli che si contrappongono al riconoscimento dell’identità di genere e che renderà più facile per tutti gli studenti e le studentesse transgender il rapporto con i compagni e con i professori.”