Il problema REMS sta nell’eccessivo ricorso a misure di sicurezza detentive, non nella scarsità dei posti. Come è possibile che si stabilisca una misura detentiva per una persona imputata per aver lanciato un cartone di vino contro il sindaco, come è successo a Tivoli?

Il 15 dicembre la Corte Costituzionale si pronuncerà su una istanza di un magistrato di Tivoli che ha sostenuto l’illegittimità della legge 81 del 2014, il provvedimento che ha disposto la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG). La questione sollevata riguarda il passaggio di competenza della esecuzione delle misure di sicurezza dal Ministero della Giustizia alle Regioni, che gestiscono le REMS ((Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). La Corte con l’Ordinanza 131/2021 ha posto 14 quesiti al Governo sulle questioni aperte (riguardo in particolare alle liste di attesa per l’ingresso nelle REMS), allo scopo di avere tutti gli elementi per una decisione che si preannuncia difficile e contrastata.

La chiusura degli OPG, una “rivoluzione gentile”
Per avere gli elementi di giudizio rispetto alla delicata questione, ricordiamo il percorso che ha condotto alla legge 81 del 2014.

La legge che ha determinato il superamento della istituzione totale più ignobile, il manicomio giudiziario, è stata approvata sull’onda dello sdegno civile provocato dall’emergere della intollerabile realtà degli OPG, a seguito dell’iniziativa della Commissione Marino del Senato. L’orrore di quei luoghi provocò l’indignazione di molti, compreso il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che non esitò a definire gli Opg una istituzione indegna di un paese civile.

Il Parlamento approvò dunque la legge 81, ma la sua applicazione si rivelò da subito difficile. Per superare i ritardi, il Governo nominò nel febbraio 2016 un Commissario unico per la chiusura degli OPG e un anno dopo si concluse quella che è stata definita “ una rivoluzione gentile”.

La riforma istituisce un nuovo sistema di presa in carico dei “folli rei”(le persone che hanno commesso un reato dichiarate “inferme di mente” e prosciolte): in cui le REMS dovrebbero rappresentare l’anello ultimo e residuale nelle offerte di cura da prestarsi di norma sul territorio. Le REMS non rappresentano dunque la sostituzione del OPG, poiché, nello spirito della riforma, la misura di sicurezza detentiva dovrebbe essere una extrema ratio. Proprio qui sta uno dei punti critici della riforma, poiché questo principio cardine, che segna la netta discontinuità con il modello precedente, appare ben poco applicato. Si determina perciò un conflitto fra lo spirito della legge e la sua concreta attuazione, alla base delle attuali difficoltà.

Le REMS si differenziano dai precedenti OPG per alcune caratteristiche: il principio di territorialità, il numero chiuso, la messa al bando della contenzione e la gestione affidata al Servizio sanitario, senza la presenza di Polizia penitenziaria. In più, la misura di sicurezza detentiva (in REMS) ha un limite temporale.

La gestione sanitaria delle REMS, col rispetto rigoroso del numero massimo di posti previsti per ciascuna struttura, ha garantito cure adeguate e programmi di reinserimento efficaci. Si sono però verificate liste di attesa di soggetti che hanno commesso reati e sono destinati alle REMS ( persone valutate incapaci di intendere e volere, perciò prosciolte per “infermità mentale”; in più giudicate pericolose socialmente e in quanto tali destinate alle misure di sicurezza detentive da eseguirsi nelle REMS).

Le liste di attesa per le REMS, le risposte giuste e quelle sbagliate
La presenza delle liste di attesa non è imputabile alla carenza di posti nelle REMS, né tantomeno alla gestione sanitaria che impone il numero chiuso per rispettare la qualità delle cure prestate; ma piuttosto al principio di extrema ratio della misura di sicurezza detentiva che la legge ha sancito, ma largamente disatteso nella pratica giudiziaria.

Si è verificata una proliferazione di pronunce di pericolosità sociale con indicazione di misura di sicurezza detentiva che hanno saturato le REMS, con in più una percentuale abnorme di misure di sicurezza provvisorie (l’equivalente di una detenzione cautelare). Questo eccesso di ricorso alle misure di sicurezza provvisorie (in contrasto – lo ripetiamo- con la previsione della legge 81) è stato censurato dal Consiglio Superiore della Magistratura nell’aprile 2017. Anche il Comitato Nazionale di Bioetica, in ben due pareri, ha ripreso queste raccomandazioni (La cura delle persone con malattie mentali, settembre 2017; Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere, marzo 2019).

Da qui scaturisce il problema della presenza in carcere di persone prosciolte in attesa di trovare disponibilità in REMS, falsamente imputato alla “carenza di posti” in REMS.

Su queste presenze, occorre un approfondimento. In primo luogo, queste persone erano detenute in carcere poiché sottoposte a custodia cautelare: la loro posizione cambia quando un giudice, o spesso un PM, in seguito a una perizia psichiatrica, decide di trasformare la custodia cautelare in misura di sicurezza provvisoria, senza considerazione della fattibilità e senza individuare una soluzione alternativa non detentiva (sulla base del principio della REMS come extrema ratio). Basti pensare al caso sollevato dal Giudice di Tivoli: davvero non era possibile alcuna misura non detentiva per una persona imputata per aver lanciato un cartone di vino contro il sindaco senza peraltro colpirlo? Davvero la pericolosità sociale di chi ha commesso un reato così bagatellare non può essere contenuta che rinchiudendolo in una REMS?

La condizione di chi permane in carcere illegittimamente è senza dubbio grave, tanto più che ad oggi in carcere il trattamento dei detenuti con patologie legate alla salute mentale non è affatto ottimale e le cosiddette articolazioni di salute mentale sono più simili a manicomi che a luoghi terapeutici. Occorre, però, mettere a fuoco il problema reale (il crescente ricorso a misure di sicurezza detentive) e non promuovere soluzioni, come l’aumento delle REMS e la loro gestione penitenziaria (invece che sanitaria), che ripropongono un ritorno all’OPG.

Colpisce certo, che l’attenzione rivolta alla cura delle persone in lista d’attesa in carcere non sia la stessa rivolta alla cura di tutti i detenuti con problematiche di salute mentale, così come colpisce che le anime belle che gridano allo scandalo delle liste di attesa non segnalino la presenza di una REMS a Castiglione delle Stiviere che per dimensioni, collocazione e struttura rimane un reperto della archeologia criminale.

Niente di nuovo sotto il sole. Basta ricordare le polemiche contro la 180 che venne accusata per anni di avere causato l’abbandono e la morte dei dimessi dai manicomi e la sofferenza delle famiglie, per capire le profonde radici della istituzionalizzazione.

Se la Corte Costituzionale accogliesse il ricorso, torneremmo al manicomio giudiziario, cancellando una prova di civiltà e di umanità. Forse la Corte troverà un modo per uscire dall’impasse, suggerendo pratiche per risolvere le inevitabili contraddizioni.

Dopo l’OPG: è ora di riformare il Codice Penale
Per risolvere la situazione delle REMS, un primo intervento è stato assunto, seppure in ritardo: nel dicembre 2021 è stato insediato un Organismo di Coordinamento che dovrà affrontare e risolvere le criticità che inevitabilmente si sono prodotte, considerando i diversi interlocutori delle 32 Rems presenti nelle regioni (Asl, magistrati di sorveglianza, prefetture, Dipartimenti Salute Mentale).

In secondo luogo, va ingaggiata una battaglia culturale per la corretta attuazione della legge che ha chiuso gli OPG.

Più alla radice, bisogna fare un passo avanti, dalla “rivoluzione gentile” ad una riforma complessiva che affronti il nodo del proscioglimento per infermità mentale. Il limite della legge attuale è stato quello di operare una riforma senza toccare il Codice Penale, il Codice Rocco fondamento del regime fascista.

La soluzione legislativa elaborata dalla Società della Ragione è stata presentata da Riccardo Magi alla Camera dei Deputati (proposta di legge n. 2939): la proposta abolisce il “doppio binario” e istituisce il diritto di ogni persona al giudizio, contro ogni presunzione di “irresponsabilità”.

Ma il destino delle persone con disabilità psicosociali non dovrà comunque essere il carcere, facendo leva sul diritto a cure adeguate, tramite misure alternative individualizzate.

La Corte Costituzionale deve scegliere. Senza prefigurare il ritorno all’inferno.

(A cura di Giulia Melani, Katia Poneti e Grazia Zuffa)