Far ritorno è sempre una possibilità. Tornato a Medellín, mi sono ritrovato a guardare le fotografie che ha lasciato mia madre, le tende, le piccole statuine di porcellana che lei amava, e in un armadio c’erano tutti i miei vestiti, le camicie, cravatte e scarpe da sera. Quelle che usavo quando ero avvocato in Colombia. Se ne occupava prima mia madre e poi mia sorella, stirandoli, usando addirittura l’appretto sui colletti delle camicie. Mi sono cambiato e ho indossato il primo vestito che ho mai comprato: uno blu con sei bottoni. L’ho messo con la stessa cravatta e la stessa camicia che ho usato per la mia cerimonia di laurea. È stato… soddisfacente. Dopo essermi guardato allo specchio e aver rievocato il ricordo di mia madre, ho messo tutti i miei vestiti in una borsa e li ho dati a mia sorella, chiedendole di donarli. Il ricordo aveva già fatto il “suo” lavoro.

Ho visto una scena simile nel documentario Gönderen: İlhan Sami Çomak è un poeta che è stato in prigione da quando aveva 21 anni; ora ne ha 47. Nel film, sua madre apre una cassa da cui ne estrae una giacca piegata perfettamente e poi mostra una foto in cui İlhan la indossa.

Per fare questa intervista è stato necessario scrivere le mie domande, tradurle in turco e inviarle per e-mail alla sua avvocatessa a Istambul. Sono molto grato all’avvocatessa e alla traduttrice per aver collaborato con me.

İlhan, ti ringrazio molto per averci concesso questa intervista.

JS: Come sta fisicamente? Questa è una domanda molto importante, soprattutto in epoca COVID e considerando che fa parte di una categoria ad alto rischio. Inoltre, mi piacerebbe sapere se la sua poesia è cambiata con la pandemia.

ISC: Credo che sia più opportuno parlare di questo argomento partendo da una prospettiva più ampia, cominciando prima dal Coronavirus.

La mia salute è, tutto sommato, buona, o forse sarebbe più corretto dire che è miracolosamente buona. Il “raggiungimento” di questa condizione non descrive dettagliatamente il vivere e il godere di una buona salute dopo tanti anni passati tra le dure condizioni della prigione, la cui natura – si sa- calpesta la tua esistenza. Le carceri devono essere state costruite per mettere delle catene intorno al corpo, agli occhi, all’anima. Tuttavia, continuo ad avere fortuna; abbiamo alcuni pappagallini e poterli accarezzare è un salvavita che appaga la mia sete in questo autentico deserto. È un po’ contradditorio che la mia compagnia qui consti di uccelli, conosciuti per la loro mancanza di limiti. Ma, d’altro canto, il fatto che ricordino la libertà li rende compagni perfetti, trasmettendomi anche tanto piacere.

Ciò che voglio dire è che, se vuoi trovare tutti gli elementi che si oppongono alla natura umana, dovresti cominciare a cercare qui, in carcere. Ma il peggio è finito. Non è sbagliato dire che l’anima e il corpo siano sottoposti ad una croce perpetua. Tutto quello che succede qui è destinato a questa fine. Io so molto bene, per esperienza personale, che qui ci sono tante colline del Golgota e che ognuno sopporta un dolore diverso.

Molte persone che sono state imprigionate per tanto tempo, come me, non sono in grado di sopportare queste due condizioni. Negli ultimi anni, li ho visti combattere contro gravi malattie dalle quali non si sarebbero mai ripresi. Alcuni semplicemente non possono più sopportarlo e muoiono. L’idea di morire dopo tutti quegli anni e così vicino alla libertà… mi riempie di una terribile angoscia. Il dolore diventa anche più profondo quando vedo quel che accade alle persone che conosco.

È importante notare la realtà delle condizioni qui e allora quando mi riferisco ai miracoli intendo che, per quel che so, non ho alcuna malattia grave.

Da molto tempo conduco una vita piuttosto ordinaria e non ho mai messo in pericolo la mia autodisciplina. Conoscendo tutte le difficoltà, ho provato a crearmi uno spazio personale, usando il potere della mia immaginazione. Mi sveglio e mi addormento a orari regolari, faccio esercizio nelle prime ore del giorno nella mia piccola cella e mi tengo occupato tutto il tempo. Ho sempre un motivo che mi spinge a farlo. Il proposito? La poesia, naturalmente. Scrivere poesia, leggere e lavorare con questo scopo, sono l’essenza della mia vita. La poesia e la letteratura, in generale, sono per me pietre miliari per contrastare questo “regime della crudeltà”. Organizzo la mia vita intorno ad esse, posso dire con sicurezza che la poesia ha rinforzato il mio corpo, rinvigorendo la mia anima. Tutta questa attività creativa è un notevole punto di resistenza che mi tiene in vita. Scrivo poesia e lei mi ricompensa dandomi la carica necessaria per alimentare un sentimento familiare di gratificazione creativa che non si può provare in nessun altro modo. Mi lascia un senso di integrità spirituale dentro e di salute fisica fuori. Sembra che ci facciamo del bene a vicenda. Amo la poesia e credo che anche lei si preoccupi per me e posso assicurarlo perché non mi ha mai abbandonato.

Il Covid non ha provocato alcun cambiamento importante nella mia vita. Ci sono state alcune restrizioni in prigione, dovute alla pandemia, ma non ho avuto conseguenze tanto tragiche come quelle avvenute al mondo fuori. Nell’ultimo anno, la gente ha affrontato le restrizioni per la prima volta. Dato che ho vissuto la maggior parte della mia vita con le più dure ristrettezze, mi sono interessato più alle reazioni delle persone a questi cambiamenti; ho anche pensato che, dopo una breve esperienza simile a quella della vita di un prigioniero, le persone sarebbero diventate più sensibili e comprensive e che devono comprendere di gran lunga meglio l’evidente importanza dell’amicizia, gli affetti e la vita sociale. Ora notano anche il valore delle piccole cose di cui adesso non possono godere, o di quelle che sono state bloccate, riconoscendo come queste contribuiscono ai benefici della propria salute in tanti modi.

Di fatto, riguardo la questione di prima se la pandemia ha cambiato la mia poesia, non credo di poter rispondere adesso, dato che qui dentro siamo esclusi dalla brutalità dei suoi effetti. In ultima istanza, i nostri sentimenti, e i loro conseguenti flussi creativi, ci mettono sempre del tempo per adattarsi ai fatti e troviamo solo in seguito le parole per descriverli. Ciononostante, non credo che la mia poesia sia cambiata con la pandemia dato che, al di là di tutta la pressione psicologica, non ci sono state nuove esperienze che hanno segnato la mia poesia. Dopotutto, sono 27 anni che vivo questo terribile incubo! Il Covid non mi ha portato nuove parole né nuove prospettive. D’altro canto, ho pensato a quanto sia difficile fare quel che faccio io in carcere, ma ancora di più, farlo dopo aver passato quello che equivale ad una vita in prigione. Mi ha fatto pensare che la mia poesia deve essere apprezzata insieme alle mie capacità, alla mia perseveranza e alla determinazione provata costantemente.

La vita non è mai stata facile per me; la mia poesia ha sperimentato le mie stesse difficoltà, al di là di tutti questi viaggi. Ho seguito le notizie sul Covid e le sue ordinanze letali con una gran tristezza. Per cui, questo periodo mi fa sentire un cittadino del mondo; mi fa percepire una solidarietà più viva e stretta tra i popoli della terra come mai si era vista prima. La pandemia ci ha ricordato che le persone, e ancor più i loro problemi, devono essere affrontati con uno spirito di reciproca comprensione. Questo avviso è stato ascoltato del tutto? Non credo. Ma mi rende felice vedere ancora una volta che la mia vita di lotte mi ha insegnato una cosa così sublime come inchinarsi davanti al dolore degli altri. Il Covid ha portato via tanta gente, ma ci ha anche mostrato i valori che dobbiamo ricordare. Assicuriamoci di tenerlo bene a mente.

JS: Può spiegarci i motivi della sua incarcerazione? Come possiamo contribuire alla sua libertà?

ISC: Sono in carcere per due motivi: uno è ovvio e l’altro, quello che pesa di più sul piatto della bilancia, giace nascosto sotto la superficie.

Il motivo più evidente è che sono stato coinvolto in un bel po’ di incidenti a Bingöl, dove sono nato e cresciuto. Poi, come se non fosse abbastanza, ci sono stati incendi forestali ad Istambul mentre studiavo lì in estate. I testimoni hanno esposto prove infondate alla polizia, inclusa una dichiarazione in cui io ero considerato il responsabile degli incendi. E con questo, una notizia ufficiale arrivata dopo essere stato interrogato e torturato per 19 giorni, si è trasformata – più o meno – in un’accusa. Tutto si è concluso quando sono stato condannato dal tribunale militare.

L’accusa su cui si basa la mia incarcerazione è sorprendentemente incoerente. La condanna che ho ricevuto è così lontana dall’ottica logica o reale da essere stata annullata due volte. Una delle due dalla Corte Suprema Amministrativa Militare. Sono stato processato tre volte in 22 anni, ma la decisione iniziale della commissione delle tre persone della Corte di Sicurezza dello Stato, ovvero un tribunale militare, non è mai stata annullata. Anche se le leggi attuali diminuiscono le pene di prigione a 22 anni, mi hanno comunque condannato… inoltre, io sono curdo e da molto tempo esiste una crudele pratica chiamata “la legge del nemico” che si usa per punire i curdi. A questo mi riferivo quando ho parlato dell’altro aspetto meno trasparente della mia reclusione, quello che piega pesantemente la bilancia.

La realtà per coloro che non si adattano alla definizione pubblica di un giusto cittadino è spietata. Questo è esattamente ciò che ho sperimentato. Non è qualcosa di personale, da molti punti di vista. Nessuno può sapere dove nascerà né chi saranno i suoi genitori. Io sono nato da una madre e da un padre curdi e dal momento in cui ho aperto gli occhi sono stato catapultato in un clima di discriminazione, oppressone e gravi difficoltà economiche, in un clima in cui mi è stato proibito parlare la lingua curda, che ho imparato da mia madre. Non si limita all’essere un cittadino di seconda classe, davanti al conflitto che si genera nel non poter parlare la tua lingua materna; e davanti all’incessante oppressione e discriminazione, lo Stato attua senza considerare la legge universale dei diritti umani. E credo di dover sottolineare che questo accade solo perché sono curdo. Il fatto di essere stato rinchiuso per tanti anni è il triste risultato di questo modo di vivere.

Sono sicuro che, come avvocato, anche lei ne sarà stato testimone quando viveva in Colombia. I fatti non sono così importanti per i potenti. Si impegnano ad intimidire le persone con il fine di far accettare le proprie parole come vere. Per questo esistono i tribunali in questo paese: per essere la mano che collega alle parole dei potenti, e che arriva impunemente per prenderti per il collo e soffocarti mettendoti in una cella, una mano che reprime i desideri legittimi e democratici, imponendo la disciplina e mantenendo tutti a bada attraverso questo tipo di punizioni. Da curdo, questa è stata la mia realtà da quando sono nato.

Anche se sono cosciente di questo destino predeterminato, ho provato negli anni a spiegare e dimostrare la mia innocenza dinanzi ai tribunali, ma non posso descrivere quanto sia sfiancante. Da un lato, conosco la realtà: io sono innocente, sono davvero innocente. Devo dirlo ad alta voce. Dall’altro, sapevo che mi stavano processando secondo la “legge del nemico” e che le mie parole non sarebbero state ascoltate. Credo che questo sia il mio ostacolo. Desideravo tanto essere libero e sono stato abbastanza ingenuo da pensare di poter essere ascoltato, se avessi spiegato la realtà dei fatti, vale a dire che sono innocente. Ma non è stato così. Non ho potuto farmi ascoltare da quei giudici. Non volevano ascoltarmi, ecco perché sono ancora qui.

Si prospetta che la mia condanna termini fra tre anni e mezzo. Per sei anni il mio espediente è stata la Corte Costituzionale turca dopo una richiesta della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) nel 2014. Spero in una risposta ai miei ricorsi, ma persistono nel loro silenzio. A volte mi chiedo se mi abbiano dimenticato, dato che hanno tardato così tanto nel prendere una decisione. Se ne prendono una positiva, potrò uscire dal carcere, ma non posso nutrire alcuna speranza. Sembra che ciò di cui si ha bisogno, sia un potere in grado di obbligare la Corte Costituzionale e la CEDA ad intervenire, ma io non ce l’ho. Oltre a questo, è importante che gli amici mi ascoltino. Forse non mi darà ancora la libertà, ma fa in modo che il mio spirito sia più libero. Non mi hanno dimenticato, insieme alla mia poesia, non mi hanno dimenticato. È quello che voglio sapere. I miei amici devono ricordarmelo, questa è la mia speranza.

Sono giunto a te, Vita

Di İlhan Sami Çomak

Per Ipek Özel

E le ombre degli alberi si avvolgono,

gli uccelli poggiano la loro conoscenza sulle ali.
Il vento soffia un’ovazione
e dal sole proviene il bisogno di toccare.

È questo linguaggio delle foglie
e la tenerezza vanno dirigendo,
ora che il tempo di ribellarsi è arrivato.

Ancora, sui pendii c’è sempre la grazia della rinuncia.
Rifletti vicino al fiume quando si potrà.

Vena eloquente nei libri dell’acqua, i nodi vogliono sciogliersi.
Sto parlando del suono di alcuni colori. Negandolo,
l’estate abbraccia la primavera e con pochi passi lenti.

Perdonami. Perdona questa nuvola tremante.
Sono giunto a te con il dolore nelle mani screpolate dal fango.
Sono giunto a te chiedendoti che l’infanzia superi le pareti del giardino.
Sono giunto a te con l’arte di respirare il riposo mattutino.

Non distruggere le pareti del mio guardino.
Lascia che il sentiero si riempia con le soavi forme delle foglie.

Lascia che lungo il cammino dei sogni cresca l’erba.
Non ci sono città da raggiungere. È tutto qui.

Apri la finestra. Aprila quando nitriscono i cavalli
nella grandezza del mondo. Aprila senza parlare,
aprila, il cielo si eccita con i simboli occulti della mia mente.

Della fugacità dell’estate, l’inverno infinito.
Sono giunto a te dicendo: “Apri la porta al cospetto dell’esistenza”
mentre il cielo si eccita nella sua immagine.

Sono giunto a te, dicendo: “Apri la porta del futuro.
Apri la porta dell’esistenza, per me”.

İlhan Sami Çomak (nato nel 1973) è un poeta curdo, nato a Karliova in Bingöl, provincia della Turchia. È stato arrestato nel 1994. In prigione, Çomak ha pubblicato otto libri di poesia ed è diventato uno dei prigionieri politici con una delle condanne più lunghe della Turchia. Nel 2018, Çomak ha vinto il premio Sennur Sezer per la poesia, con il suo ottavo libro Geldim Sana (I Came to You).

Caroline Stockford, traduttrice legale e letteraria dal turco all’inglese. Attualmente svolge il ruolo di consigliera degli affari turchi per la PEN Norway.

Jhon Sánchez, autore colombiano di romanzi in inglese. Il signor Sánchez è arrivato a New York nel 1998, dove attualmente è avvocato. Nel 2021, New Lit Salon Press pubblicherà una sua raccolta di racconti Enjoy a Pleasureble Death and Other Stories that Will Kill You. Il signor Sánchez vuole ringraziare John Arturo Cárdenas per i suoi commenti editoriali.

Traduzione dall’inglese di Caterina Mauriello. Revisione: Silvia Nocera