Il provider svizzero di posta elettronica criptata Protonmail ha fornito, sotto costrizione legale, delle informazioni sugli attivisti francesi di Youth for Climate, che sono poi stati perquisiti. Questa procedura dimostra “l’accanimento” della polizia contro gli attivisti del clima e i limiti della riservatezza su internet.

Il caso sta iniziando a causare polemiche sul web e nella cerchia degli attivisti. Protonmail, un servizio di posta elettronica criptata con sede in Svizzera, ha fornito alla polizia francese i dati di alcuni dei suoi utenti coinvolti nel movimento per il clima. Fondata nel 2013 da ingegneri del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e del CERN (l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare), Protonmail si presenta come “il più grande servizio di posta elettronica sicura del mondo”.

Il sito è cresciuto rapidamente e ora ha più di 20 milioni di utenti. Open source e crittografato automaticamente end-to-end, Protonmail è particolarmente popolare tra gli attivisti. Offre un alto grado di privacy e, a differenza di altre tecniche, è molto facile da usare. Il suo slogan è: “Sicurezza senza problemi”.

Tuttavia, questo non gli ha impedito di fornire alla polizia gli indirizzi IP degli attivisti coinvolti in Youth for Climate. Da un anno, questi sono sotto sorveglianza massiccia dopo aver occupato uno spazio nel quartiere di Place Sainte-Marthe a Parigi. I giovani attivisti lottavano in questo quartiere contro la gentrificazione e la speculazione edilizia e difendevano una visione decisamente sociale dell’ecologia.

“Abbiamo avuto dieci processi. Questo ha danneggiato il collettivo e distrutto delle vite”.

Nel settembre 2020 avevano organizzato un campo climatico coperto da Reporterre (quotidiano francese online di ecologia, N.d.T.). Si sono tenute numerose conferenze per “riappropriarsi della strada” con l’economista Thomas Piketty, il ferroviere Anasse Kazib e il ricercatore Malcom Ferdinand. Uno squat è stato occupato in edifici di proprietà di promotori immobiliari prima di essere violentemente sgomberato il giorno dopo. Due mesi dopo, nel novembre 2020, gli attivisti hanno occupato un altro luogo disabitato da cinque anni, che hanno chiamato L’Arca. Questa occupazione ha fatto scalpore sulla stampa perché il locale apparteneva alla Siemp, una società che gestisce alloggi popolari, che lo aveva affittato a Le Petit Cambodge, uno dei ristoratori vittime degli attentati del 13 novembre 2015.

I proprietari hanno sporto denuncia e, dopo una decisione del tribunale di Parigi, gli attivisti sono stati sfrattati a gennaio. Un attivista è stato addirittura multato di 15.000 euro per violazione di domicilio. La repressione è continuata anche in seguito. “Abbiamo avuto quasi dieci processi”, dice un attivista che vuole rimanere anonimo. Questo ha danneggiato il collettivo e distrutto delle vite. È difficile riprendersi oggi.” Diverse persone sono state bandite dalla visita del sito. Altri hanno ricevuto una condanna a tre mesi di prigione con la condizionale.

La repressione non si è fermata qui. La polizia ha anche lanciato un’indagine ad ampio raggio per scoprire chi c’era dietro l’occupazione. Youth for Climate è stato identificato come “a capo dell’operazione”. Gli investigatori hanno monitorato i social network e spiato gli indirizzi e-mail con cui gli attivisti comunicavano. Anche alcune linee telefoniche sono state intercettate. Il file è di oltre 1.000 pagine e degli estratti sono stati pubblicati sul sito Paris Luttes Info.

Secondo la polizia, “il collettivo militante ‘Youth for Climate’ ha scelto l’occupazione illegale della proprietà privata come mezzo di azione ideologica contro ‘la gentrificazione del quartiere’, ‘la legge sulla sicurezza globale’ e per ‘la protezione del clima’. Lanciata nel febbraio 2019, Youth for Climate ha inizialmente organizzato delle marce settimanali sul clima prima di indurire fortemente la sua linea sostenendo azioni di lotta diretta anticapitalista”, hanno scritto nel dossier.

Diversi mandati di comparizione sono stati inviati a Instagram e Protonmail per scoprire l’identità degli attivisti che gestiscono gli account. Instagram, di proprietà di Facebook, non ha risposto alle richieste. Protonmail invece ha fornito informazioni in risposta alla richiesta. Tuttavia, l’azienda sostiene sul suo sito web che non registra gli indirizzi IP dei suoi utenti. “A differenza dei servizi concorrenti, non registriamo nessuna informazione di tracciamento”, afferma.

Messo sotto accusa sui social network, il provider di messaggistica ha dovuto difendersi. Lunedì 6 settembre, su Twitter, ha detto che non aveva scelta. “Possiamo essere costretti a raccogliere informazioni su account appartenenti a utenti che sono sotto inchiesta penale svizzera. Questo ovviamente non è fatto di default, ma solo se Protonmail riceve un ordine legale per un conto specifico”, ha detto. “Non avevamo motivi o opportunità per fare appello a questa particolare richiesta”. In una dichiarazione pubblicata sul suo sito web nel pomeriggio, Protonmail ha riassunto la sua visione del caso e ha ricordato che è accessibile con garanzie di anonimato molto più elevate attraverso il browser Tor.

Gli attivisti devono “disimparare a credere di essere al sicuro su internet”

La polizia francese ha dovuto passare attraverso Europol, l’agenzia europea specializzata nella lotta al crimine, e chiedere la collaborazione delle autorità svizzere per forzare Protonmail. Per gli attivisti, questa procedura tediosa dimostra “l’accanimento” della polizia: “La dice lunga sul modo in cui ci percepiscono e cercano di farci tacere. Ci vedono come terroristi o criminali”, dice un attivista di Youth for Climate. Come risultato di questa requisizione, sette attivisti sono stati perseguiti per violazione di domicilio. Il loro processo avrà luogo nel febbraio 2022.

L’associazione per la difesa delle libertà La Quadrature du Net, considera il caso come rivelatore: “La comunità attivista deve ora pensare profondamente al suo uso della tecnologia digitale”, ha detto a Reporterre Arthur Messaud, un avvocato dell’associazione. “Per molto tempo, gli attivisti sono stati invitati a affidarsi alla crittografia e a trovare dei provider migliori, ma oggi ci stiamo interrogando su questo”. Di fronte all’arsenale della polizia e al rafforzamento della repressione, gli attivisti devono, secondo lui, “disimparare a credere di essere al sicuro su internet anche se pensano di avere buoni strumenti. Dovremo stare più attenti a quello che ci diciamo, a come lo diciamo e a chi parliamo”.

Traduzione dal francese di Thomas Schmid. Revisione: Silvia Nocera