Una delle attrazioni turistiche dell’Olanda sono i suoi mulini a vento, considerati ormai parte integrante del suo paesaggio. Eppure oggi il tema dell’energia eolica va spesso a scontrarsi con la difesa/tutela del paesaggio, un conflitto che riguarda anche tutte le fonti energetiche o quasi. Grandi parchi fotovoltaici, centrali geotermiche, centrali fossili, hanno tutte un impatto negativo sul paesaggio, questo impatto sembra essere più evidente con le fonti “pulite” perché essendo l’energia fornita da sole e vento meno concentrata rispetto alle fossili, richiede una estensione maggiore a parità di produzione.
Possiamo immaginarci che tra qualche secolo frotte di turisti vengano a fotografare estasiati le pale eoliche del 21esimo secolo, come oggi avviene per i mulini a vento olandesi del ‘700? Al momento tenderei a escludere questo, come non credo che lo sguardo delle persone del futuro verso le attuali turbine idroelettriche vi troverebbe la stessa bellezza che noi vi troviamo nei mulini ad acqua ancora funzionanti. Perché questo? Non siamo più in grado di fare qualcosa che oltre ad essere utile sia al contempo “bello” come facevano i nostri antenati?
L’uomo ha sempre modificato il paesaggio. Sono modifiche importanti al paesaggio ad esempio i fari presenti sulle coste, che spesso caratterizzano un paese o una località di mare e sono anch’essi un’attrazione turistica, ad esempio sulle coste bretoni.
Persino il paesaggio agricolo oggi più apprezzato è una modifica del paesaggio. Un tempo al posto delle monoculture di viti e ulivi che incantano i turisti che visitano la Toscana, c’erano vaste foreste di querce e frassini, che lasciavano posto al castagno a quote leggermente più alte.
Dunque ciò che sembra oggi diventare motivo di scontro non credo sia tanto l’artificiosità di un nuovo elemento quanto la sua disarmonia con il contesto. Forse nella nostra valutazione di ciò che è armonico e ciò che non lo è, abbiamo dentro di noi un conservatorismo innato che ci fa riconoscere come bello ciò a cui siamo già abituati e che quindi ci rassicura, e preoccupante ciò che è nuovo? Questo è magari in parte vero ma credo che sia una interpretazione insufficiente. I tralicci che portano le linee di alta tensione continuano a sembrarci brutti e disarmonici anche se la nostra generazione li ha sempre visti. Ci sembrano brutte molte periferie e costruzioni nate nel boom edilizio del dopoguerra, anche se ci siamo nati. E il senso di equilibrio e di armonia nel mulino bianco di Chiusdino che una nota marca di prodotti alimentari ha scelto per la sua strategia di marketing, probabilmente era percepito anche ai tempi della sua costruzione, o di quella del mulino a vento di Monterifrassine, sopra Pontassieve (evidentemente anche nei tempi passati si sceglievano i crinali per sfruttare l’energia eolica in Toscana…)
Perchè nelle innovazioni più recenti la capacità di coniugare efficienza ed armonia si è persa?
Certo questo tema può sembrare secondario: se si pensa alla catastrofe climatica a cui stiamo rischiando di andare incontro, il tema della bellezza può sembrare comprensibilmente sacrificabile, un vezzo. E se un aerogeneratore non è così bello come i mulini olandesi o come i fari della Normandia possiamo dirci che l’importante è che produca più kilowattora possibili anche a costo di essere più brutto. In questo ragionamento ci troviamo così a sposare la logica efficientista del sistema consumistico capitalista, ma soprattutto ci scontriamo con una questione che già trent’anni fa aveva intuito un ecologista molto acuto, Alex Langer: “la conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”. Non basta, diceva sempre Langer, la paura delle catastrofi, la pur necessaria spinta etica… ci vuole anche “una consapevole e qualificata volontà di vivere bene”.
Per questo temo che una chiamata alle armi “per le rinnovabili” che si contrapponesse a una parallela chiamata alle armi “per la tutela del paesaggio”, oltre a dilaniare irrimediabilmente il mondo ambientalista, potrebbe portare alla doppia sconfitta, sul piano degli obiettivi climatici e su quelli della tutela del territorio. Senza tener conto di un altro punto chiave della crisi ecologica in atto, ovvero quello della biodiversità, e sul fatto che grosse cantierizzazioni e consumo di suolo possono in qualche modo impattare su questo tema la cui urgenza sembra pari a quella delle emissioni di CO2.
Ecco allora che la necessità di ritrovare l’armonia, diventa non più solo un vezzo. Non si tratta soltanto di avere qualche turista del futuro che possa ammirare un panorama dalla sommità di un aerogeneratore in montagna come oggi lo può ammirare dalla sommità di un faro bretone, ma di far sì che un territorio senta come desiderabile la presenza di un elemento indispensabile per la società umana, che lo senta parte della propria identità e riconoscibilità. Se il paesaggio del prossimo futuro si prospettasse particolarmente alienante, difficilmente salveremmo il pianeta, perché distruggere un presente per salvare un ipotetico futuro generalmente è una formula che non funziona.
Se la nostra salvezza viene da un aerogeneratore, quell’aerogeneratore dovremmo farlo bello, proprio come gli uomini del passato che credevano unanimemente che “extra ecclesia nulla salus”, cercavano di fare bella la propria “ecclesia”. Dovremmo iniziare a pensare a concorsi per la realizzazione di un progetto di produzione di energia, concorsi in cui il progetto vincitore verrà scelto sia in base a criteri ecologici (biodiversità), paesaggistici (armonia) e produttivi (efficienza).
Dovremmo pensare a una scelta dei materiali che preveda il più possibile l’utilizzo di elementi del territorio. Oggi i borghi ci appaiono armonici perché sono un riflesso e una continuazione del territorio su cui poggiano. La pietra rosa del Subasio dà ad Assisi, che sorge sulle sue pendici, le caratteristiche tonalità. I tetti di ardesia caratterizzano l’alta Corsica e scompaiono là dove tale tipo di roccia metamorfica non è più presente. Stesso discorso per le baite di tronchi di conifere delle valli alpine, gli esempi sono innumerevoli. Riprodurre invece lo stesso modello di aerogeneratore ovunque, in Toscana come in California o in Asia, perché quel modello standard fatto da una qualche multinazionale in qualche hub produttivo si è mostrato quello più conveniente in termini di economie di scala eccetera, oltre ad avere degli effetti deleteri da un punto di vista della lunghezza della filiera, dei costi energetici di questa lunghezza e degli spostamenti delle componenti, significa continuare sulla strada del conflitto tra energia e paesaggio, tra globalizzazione e territori.
E’ utopistico, irrealistico fare questo tipo di ragionamenti? Sulle colline di Scandicci, intorno a Firenze, sono stati progettati dei tralicci di alta tensione dall’archistar Norman Foster in sostituzione di brutti tralicci preesistenti. Certo la sfida di produrre alla svelta una quantità enorme di energia (centinaia di terawattora annui solo per l’Italia) ci porta a badare al sodo, al netto di tutti gli altri aspetti. Eppure se vogliamo tenere insieme tutti i pezzi della transizione ecologica, dalla biodiversità alla riduzione delle emissioni alla tutela del territorio alla desiderabilità di un futuro sostenibile, non possiamo esimerci dal farli.
Ripensare la nostra società insostenibile e renderla sostenibile è un esercizio molto complicato, ricorda un po’ il gioco del “mikado”, in cui per portare ordine in una situazione caotica serve spostare con molta accortezza i legnetti per evitare di smuoverne altri. Allo stesso modo per portare ordine nel caos ecologico, energetico, sociale, finanziario che abbiamo creato, serve agire sul singolo elemento caotico evitando ripercussione negative sugli altri.
Non saprei dire se davvero la bellezza salverà il mondo, ma ricordando quello slogan di alcuni scioperanti che dicevano “vogliamo il pane, ma anche le rose”, trovo che un’eventuale salvezza dal caos in cui ci siamo cacciati come umanità debba mettere insieme questi due elementi. Il pane del fabbisogno energetico, e le rose di un contesto armonico e desiderabile, devono trovare il modo di marciare nella stessa direzione.