Come attiviste ed attivisti-* del C.s.a. Officina Rebelde svolgiamo la nostra quotidiana attività politica nello storico quartiere di San Berillo, quartiere che da anni è abitato da comunità di lavoratrici sessuali, pensiamo sia quindi ora di pronunciarci pubblicamente sul tema visto che nei rapporti con le componenti del quartiere, come in quelli con il resto del del mondo, cerchiamo di portare avanti un discorso politico radicale di reale ribaltamento dell’esistente. Un discorso che abbiamo definito con le quattro A di antifascismo, antirazzismo, antisessismo ed anticapitalismo;

Quello che diremo è basato non su preconcetti ideologici o sulla voglia di posizionarci in questo o in quell’altro modo dentro un dibattito che spesso troviamo inutilmente radicalizzato, ancorato a questioni terminologiche ed incapace di affrontare i nodi reali della condizione delle persone e soggettività che abitano il nostro quartiere. Quello che scriviamo rispecchia la nostra peculiare esperienze e le nostre scelte come gruppo politico perchése è vero che il nostro spazio interagisce e lavora con le donne di San Berillo, il nostro gruppo politico non è un gruppo che tematizza l’esperienza del lavoro sessuale o della tratta e quindi non possiamo pigliare parola per queste persone ma solo raccontare le nostre impressioni;

La tratta esiste: esistono donne, e tante, che vendono il proprio corpo sotto minaccia fisica o psicologica. Specialmente quelle ridotte in stato di parziale o totale clandestinità dalle politiche migratorie dell’Unione Europea. La tratta va debellata con ogni mezzo. Non esiste altro da dire su questo;

A San Berillo, per storia e per tradizione, esiste chi si prostituisce e lo fa non perchè ridotto in schiavitù o minacciato. Dentro le coordinate e con le contraddizioni che attraversano il tema della libertà nel mondo occidentale possiamo parlare di persone che, temporaneamente o per lunghi periodi, “scelgono” di esercitare questa professione. Molte donne trans rifiutate dai loro contesti familiari scelgono San Berillo per accumulare i soldi necessari a pagarsi le spese delle operazioni, lo stesso fanno molte donne senza permesso di soggiorno o con la cittadinanza italiana che, però, non hanno alternative economiche. San Berillo, storicamente, è sempre stato “accogliente”. Ha sempre accolto chi faceva scelte differenti rispetto a quello che era il costume sociale dominante;

Per noi, quindi, non da un punto di vista ideologico ma molto pratico si pone dentro il nostro lavoro nel quartiere il problema di come stare accanto alle soggettività che hanno fatto questa scelta, come in generale si pone dentro la società il problema di stare dalla parte degli oppressi per costruire assieme a loro una possibile alternativa di vita. E sul fatto che chi si prostituisce oggi sia oppresso non sussiste alcun dubbio: chi vive questa condizione è perennemente esposto alle vessazioni di clienti, di autorità locali e nazionali, e come ci testimoniano i recenti avvenimenti proprio del nostro quartiere ad ogni genere di abuso da parte della polizia;

Da questo punto di vista non possiamo non concordare con quello che dice il movimento delle lavoratrici sessuali in Italia: la prima cosa da fare è abbattere lo stigma sociale contro le-i-* prostitute-i* che è la precondizione di qualsiasi condizione di negazione totale dei diritti. Oggi lo stigma si concreta non solo del dispregio delle “persone per bene” ma anche in una serie di misure legislative che non sono finalizzate o non hanno l’effetto di “tutelare” chi si trova in questa condizione quanto quello di respingerlo nell’illegalità, impedendogli non di essere sfruttato quanto piuttosto di esercitare la propria attività in sicurezza e lontano dalla strada, ad esempio, affittando una stanza, oppure senza essere multato in nome di ordinanze sul decoro;

Del resto si è vista in maniera evidente nel dibattito pubblico sui fatti del 18 Marzo a San Berillo, la strategia con la quale la destra, rappresentata dai leader dei comitati di cittadini benpensanti che vogliono cacciare via chi si prostituisce dal quartiere, tende ad invisibilizzare la prostituzione come problema sociale e le persone che la praticano rigettando ogni riferimento al lavoro sessuale come “professione”. Perché, citiamo testualmente le asserzioni del leader del Comitato dei Residenti di Corso Sicilia, che tanto si dà da fare negli ultimi anni perché San Berillo sia raso al suolo: “il termine esatto è “prostituta” e non “ sex worker”. Per i valori che ci hanno lasciato i nostri genitori il LAVORO, quello del sudore della fronte, è una cosa SACRA. L’attività di quella signora non ha nulla a che vedere con il lavoro.” oppure ancora, citando la frase di un poliziotto in questura “Signora o signorina resti sempre una puttana”. Anche questa vicenda, quindi, ci ha confermato che usare termini che sottraggano la dignità ad una categoria di persone, perché carichi di stigma sociale, è il primo modo che un sistema sociale ha di costruire una oppressione sistematica e di rafforzare lo sfruttamento;

Questo non significa che noi legittimiamo la sproporzione di poteri tra sessi dentro la quale nasce il lavoro sessuale, noi prendiamo atto del fatto che questa sproporzione esiste, che questa contraddizione è agita da forze che vogliono fare dei corpi delle donne un elemento di valorizzazione del profitto e di moltiplicazione di logiche patriarcali, come avviene nei bordelli tedeschi, e che le logiche neoliberiste sono spietate;

Noi viviamo dentro questa sproporzione, come viviamo in una società capitalista. Prendiamo ogni giorno posizione contro di essa ma il nostro quartiere vive dentro dentro i confini tracciati dai conflitti che vive quest’ultima. Allo stesso modo pigliamo atto, facciamo solo un esempio tra tanti, del fatto che esistano le fabbriche dentro il nostro territorio ed esiste gente che sceglie di andarci a lavorare, con il rischio di morire di tumore ogni giorno. E con questo o con altri esempi non stiamo mettendo a paragone l’intensità di questo o quello sfruttamento, perché è vero che non sono tutti uguali ed alcuni sono più radicali e pericolosi. Stiamo ragionando sul metodo con il quale si vive dentro le contraddizioni e dalla parte degli- delle oppresse, consapevoli o inconsapevoli che siano. Per cui il nostro atteggiamento dentro il quartiere non può essere il medesimo che avremmo se vivessimo in una società socialista e femminista in cui il conflitto tra i generi o la contraddizione di classe viene risolta distruggendo il patriarcato ed il capitale;

Dentro questa situazione, e non in quella che vorremmo, che ci viene posta di fronte in primo luogo da chi ha scelto il quartiere, dobbiamo posizionarci. In primo luogo facciamo una scelta di campo: tra chi compie violenze sulle donne, tra la borghesia ipocrita di Corso Sicilia, tra le istituzioni inette, violente ed arroganti, noi scegliamo chi vive il nostro quartiere con le sue contraddizioni. In secondo luogo noi agiamo per dare potere e facoltà di scelta ai soggetti deboli, in modo da renderli più “potenti”, più consapevoli, più politici. E questo vuol dire anche affrontare alcuni nodi irrisolti del nostro vivere sociale. Se è la povertà endemica di questa città ad avere contribuito a creare la prostituzione, non possiamo non rilevare come, più di mille moralismi, abbia contribuito il reddito di cittadinanza a levare dalle strade una intera generazione di lavoratrici sessuali. Allora è utile lottare per il reddito universale, ampliare questo concetto. Se sono le leggi fasciste e razziste sull’immigrazione volute da centro destra e centro sinistra a fare sì che persista una condizione di schiavitù dentro la quale le donne finiscono nella tratta o devono scegliere San Berillo, allora noi lottiamo contro ogni frontiera e contro l’ipocrisia delle celebrazioni istituzionali e dei ministeri delle pari opportunità. Se con la scusa del “decoro” si tenta di rigettare sotto il tappeto un problema sociale causato dal potere, un mercato della carne a cui si servono in primis gli ipocriti tutori delle forze dell’ordine, allora noi siamo contro ogni decoro.

Se le soggettività in transizione vengono costrette a procurarsi i soldi per realizzare le loro scelte di genere con il lavoro sessuale, allora noi siamo ancora di più per il diritto di avere un sistema sanitario accogliente, pubblico e gratuito. Se le scelte legislative di criminalizzare il fenomeno, visto che alla fine colpiscono quasi sempre chi si prostituisce, impediscono che, al di là del profitto di terzi, ci si autorganizzi per affittare case, regolarizzare la propria posizione pensionistica, con il fisco, acquisire diritti, allora noi siamo contro la criminalizzazione. Nessuna di queste cose importa riconoscere a nessuno il diritto di comprare qualcuna-o, il quale nel nostro ordinamento è giustamente vietato dalla costituzione. Sulla pelle e sul corpo delle donne, per quello che ci riguarda, non deve potere essere stipulato nessun contratto, né oggi, né domani, né mai. Il problema, come si vede, è molto più terminologico che politico. Si tratta solo di riconoscere che chi compie un lavoro sessuale, e non chi paga per esso o chi vuole arricchirsi con esso, ha dei diritti e di aiutarlo a conseguirli

 

nota – OfficinaRebelde Catania