Il prossimo 2 Aprile, in occasione della giornata mondiale della consapevolezza sull’Autismo, in diverse città italiane i tassisti aderiranno a un’iniziativa per avviare una campagna di sensibilizzazione su questa condizione

È una giornata di piena primavera qui a Fiumicino e a renderla ancora più bella è la voce orgogliosa di Giuseppe Mele, papà di Valerio. Giuseppe è uno degli organizzatori dell’evento che venerdì prossimo vedrà coinvolti i tassisti di molte città italiane. Le sue parole sono piene di forza e di speranza, si percepisce subito che quest’uomo sta portando avanti una causa importante.

Giuseppe mi racconta che coloro che prenderanno parte all’iniziativa hanno unaninememente scelto un fiocco blu, simbolo dell’autismo, come segno di riconoscimento. Questi piccoli fiocchi saranno attaccati alle automobili di centinaia di tassisti per richiamare l’attenzione di tutti e scuoterci dalla nostra indifferenza. Un fiocco blu per gridare “Noi siamo qui, non ignorateci”. Il presidente dell’associazione Tutti taxi per amore-OdV, Marco Salsiccia, che sostiene l’iniziativa, ha dichiarato:

Un fiocco blu per ricordare un tema sempre presente nell’associazione Tutti taxi per amore-OdV, favorire l’inclusione sociale, tutti uguali, tutti diversi, tutti importanti”.

Giuseppe parla dell’autismo come di una condizione e non una malattia. I disturbi dello spettro autistico portano chi ne soffre a un isolamento continuo ed estenuante. L’atteggiamento delle persone care è fondamentale per aiutare questi bimbi a uscire dalla loro bolla.

Il papà di Valerio fa riferimento all’autismo usando un’eloquente metafora: “L’autismo è come un astuccio di colori: l’involucro rappresenta il disturbo, le matite al suo interno sono i bambini e i colori rappresentano le varie forme di questa condizione”.

Accettare e conoscere le peculiarità dell’autismo non è certo facile, ma è il primo e fondamentale passo verso un percorso di vero aiuto nei confronti dei bambini che vivono questa condizione.

Giuseppe e sua moglie Daniela mi confessano che molto spesso, a fronte di una diagnosi di autismo, si prova vergogna e paura. Si prova senso di smarrimento e la voglia di isolarsi e di chiudersi è forte. Purtroppo questo atteggiamento di chiusura, che non è assolutamente da biasimare, peggiora le condizioni di chi, a causa del proprio stato, è già portato a vivere in un mondo quasi totalmente disconnesso dal nostro.

L’intento di questa iniziativa è duplice. Da una parte si vuole mandare un messaggio a tutte le famiglie con ragazzi autistici. Mamme e papà, fratelli e sorelle non siete soli. C’è una rete pronta a sostenervi e a comprendere le vostre difficoltà. Sebbene possa rappresentare uno sforzo notevole, l’apertura all’altro è una delle chiavi necessarie per affrontare le sfide che questa condizione pone. Dall’altra, il messaggio è rivolto a tutti coloro che non conoscono questo disturbo, vuoi per indifferenza, vuoi per timore. Giuseppe, Daniela e migliaia di altri genitori intendono sensibilizzare le persone e soprattutto i genitori di bambini normodotati sul tema dell’autismo. Purtroppo molto spesso, i bambini con autismo sono sottoposti a un doppio isolamento. Il primo muro è quello invisibile che questa condizione mette tra il bambino e l’ambiente circostante. Il secondo è quello imposto dalla società. Il messaggio che si vuole far arrivare è che le persone autistiche sono speciali e che venir scelti da loro è un dono. I genitori dovrebbero insegnare ai loro figli a non aver paura di un modo di comunicare diverso e ad approcciarsi a questi bimbi con serenità. Naturalmente il messaggio deve partire dagli adulti, che ci si augura siano un buon esempio comportamentale per i propri figli.

Solo uniti e con l’azione congiunta di più parti è possibile abbattere gli stereotipi nati intorno all’autismo.

Si fa riferimento anche alla presenza dello Stato, che sovente lascia queste famiglie senza nessun sostegno. Giuseppe mi racconta che i medici raccomandano l’importanza di una diagnosi precoce, da fare subito alle prime avvisaglie. Peccato che, subito dopo la diagnosi, tutto il peso di questa difficile condizione ricada sulle spalle delle famiglie, economicamente ed emotivamente. Ecco qui che lo scopo di questa campagna diventa triplice: l’appello è rivolto anche allo Stato. Che nessuno rimanga indifferente. Che ognuno sia capace di mettersi nei panni dell’altro per poter guardare le cose da un prospettiva diversa.

La coach Elaine Hall ci suggerisce che: “ci vuole un villaggio per crescere un bambino. Ci vuole un bambino con autismo per elevare la coscienza del paese”. Prendendo spunto dalle sue parole, riflettiamo su quanto noi, come individui e come società, possiamo dare a questi ragazzi, ma anche alla grande ricchezza che essi rappresentano.

Per chi desidera conoscere meglio l’autismo segnaliamo il portale autismoinmovimento.