Pubblichiamo il comunicato «In mensa c’eravamo tutt*!» del CUA Bologna
Ieri si è svolta la seconda udienza del processo, cominciato lo scorso 2 febbraio, a 23 studenti che parteciparono alle mobilitazioni contro il caro-mensa nell’autunno del 2016. Eravamo in centinaia ad affollare piazza Puntoni, e mentre al tempo provarono a chiuderci con lo schieramento della polizia, oggi quelle stesse ragioni vengono portate in Tribunale. Ma ripercorriamo velocemente che cosa è successo.
I prezzi della mensa universitaria, appaltata alla società privata Elior, erano – e sono rimasti – tra i più alti su tutto il territorio nazionale. Proprio per avere dei servizi fondamentali ad un prezzo accessibile, dal 2014 si avviò una mobilitazione che rivendicava l’adeguamento dei prezzi allo standard nazionale, permettendone così un accesso garantito a tutti gli studenti. Di fronte alla latitanza di Er.Go e UniBo, la pratica dell’autoriduzione dei prezzi divenne il mezzo con cui centinaia di studenti e studentesse indicarono una soluzione concreta ad un bisogno concreto. «Oggi 3 euro possono bastare» era quello che cantavamo e quello che volevamo. Quindi la risposta della giunta Ubertini, nell’ottobre del 2016, fu la militarizzazione della mensa universitaria tramite l’ausilio delle forze di polizia. Teste rotte dai manganelli, cariche, caccia all’uomo in mezzo al traffico di via Irnerio, fermi, arresti, la zona universitaria presidiata come fosse una zona di guerra da camionette di polizia. Poi ci furono le accuse. Estorsori! violenti! – sic. I capi d’accusa sono pesanti quanto grotteschi, un castello di carta montato nella ricerca di un reato associativo mai concesso neanche dai giudici. E come non citare la doppia pena inflitta dall’UniBo ad alcun* denunciat*, sospendendol* per sei mesi dalle attività didattiche. Questa è un pratica che piace molto al Magnifico Rettore, che da allora ha usato, e tutt’oggi continua a usare come minaccia contro studenti e studentesse.
Una prassi grottesca, tramite la quale Unibo si erge a giudice e dichiara arbitrariamente colpevoli, decretando una sospensione tramite un criterio che segue la logica del “colpevole fino a prova contraria”.
Adesso, dopo che Unibo ha già dato la sua sentenza, quei tre anni di lotta per migliorare le condizioni di noi studenti e studentesse saranno messe a giudizio anche in un’aula di Tribunale. Non possiamo che affrontare con un sorriso questo processo, proprio perché sappiamo quanto si sono sforzate le istituzioni di questa città nel trovare un modo per «farcela pagare», per aver osato criticare lo schifo in cui siamo costretti noi giovani, in una città che ci usa e ci butta, considerandoci solo come tasselli da sfruttare nel mondo del lavoro e per l’economia cittadina.
Ciò che riteniamo più importante però è sapere che la solidarietà tra noi studenti è proprio come fu la risposta a quelle ripetute cariche di polizia: tenace, compatta, resistente. Lanciamo quindi un appello di solidarietà concreta ed economica anche per far fronte alle spese del processo e nel prossimo futuro aggiorneremo su eventuali iniziative di benefit in questo senso.
La prossima udienza si terrà l’11 maggio, nella quale parleranno i testi della difesa.
Potranno processarci, potranno incriminarci ma siamo sicur* di essere nel giusto, e di fronte a questi tempi sciagurati sappiamo di avere ancora più ragione di ieri.