Presentato ieri mattina in pompa magna il Patto per il lavoro e il clima dell’Emilia Romagna. “Un grande successo del modello Emilia” per Bonaccini un “patto non all’altezza” per 71 sigle ambientaliste unite nella rete. RECAER.

E’ stato il cavallo di battaglia della lista Emilia Romagna Coraggiosa, raccontato in lungo e in largo un anno fa per tutta la campagna elettorale; ieri, dopo i primi 12 mesi di legislatura, è finalmente nato: il Nuovo patto per il clima e il lavoro dell’Emilia Romagna.
L’accordo fissa come obiettivi strategici, senza dettagliare un cronogramma chiaro, il 100% di rinnovabili entro il 2035 e lo 0 netto di emissioni di CO2 entro il 2050.

Il Patto è stato una riproposizione, in termini di modus operandi, di quello per il lavoro che venne firmato nel 2015. In quell’occasione alla scrittura parteciparono la Regione, il mondo produttivo e sindacati, ma vennero lasciate fuori le associazioni e i comitati ambientalisti.  Questa volta, complice “la svolta ecologista” promossa dalla Vice-presidente Schlein – che ha anche la delega alla transizione ecologica e al suddetto patto- sono state coinvolte nel processo anche associazioni e comitati ecologisti ed ambientalisti. Per favorire un miglior coordinamento tra gli ecologisti è nata la rete RECAER, che raggruppa una settantina di associazioni, movimenti e comitati del territorio.

Un patto, stando ai piani, che avrebbe dovuto mettere d’accordo Regione, associazioni, imprese, enti ed istituzioni per scrivere un piano dettagliato nel quale unire la necessità di uscire dall’emergenza climatica ed ecologica ed avviare la transizione energetica, ricorrendo al know how tecnologico di cui secondo il Governatore “l’Emilia Romagna non è seconda a nessuno.” Questo è dunque il senso del coinvolgimento anche degli atenei di Bologna, Modena e Reggio Emilia, Ferrara, Parma.

Sebbene nei piani della Regione il Patto avrebbe messo d’accordo tutti, nei fatti non è stato così.  Infatti, ieri contestualmente alla presentazione ufficiale, la RECAER ha fatto uscire un comunicato nel quale spiegava i motivi della “non firma”. Si legge “ll Patto (…) non è all’altezza della svolta necessaria per affrontare il tema urgentissimo della conversione ecologica e del contrasto al cambiamento climatico, dell’uscita dai combustibili fossili, dell’uso sostenibile delle risorse e  della preservazione e valorizzazione ambientale come vettori fondamentali per  disegnare un nuovo modello produttivo e sociale. Un documento di buone intenzioni che non mette in discussione le enormi contraddizioni con cui la Giunta avalla, parallelamente, l’operato di ENI di un grande impianto di cattura e stoccaggio della CO2 a Ravenna, (intervento bastevole da solo a invalidare qualsiasi strategia carbon-free). Nulla è detto sull’incremento del trasporto pubblico ferroviario, sulla riqualificazione edilizia, sulla completa elettrificazione dei sistemi energetici, non ci sono indicazioni strategiche sull’idrogeno e i suoi sistemi di produzione e sul superamento della produzione di energia da biomasse.”

Insomma, la rete si sente tradita perché delle 700 pagine di proposte prodotte, in fretta e furia in un processo che è durato da agosto a dicembre in una fase di crisi in cui era impossibile incontrarsi fisicamente, è stato accolto davvero pochissimo nel nuovo patto. Dunque degli oltre 120 attori coinvolti, solo 51 hanno firmato.

Unica defezione del fronte ambientalista è Legambiente Emilia Romagna, che non fa parte della rete e ha aderito al Patto con diversi distinguo, sottolineando “che non si tratta di un punto di arrivo ma di un punto di partenza” e che “su tutti i temi di criticità aperti-dalle nuove autostrade, alle levate di scudi contro l’eolico in Romagna, dai poli logistici alla tutela della natura fluviale, allo stoccaggio della CO2 di Eni- manterremo sempre e comunque la piena autonomia di dissenso e di vertenza”.

Una scelta quella di Legambiente che non sembra inficiare il fronte Ambientalista emiliano visto che l’associazione era in presidio con RECAER sotto la regione per il no al progetto di re iniezione della CO2 a Ravenna che la regione vorrebbe affidare ad Eni.

Insomma, l’Amministrazione Regionale sembra più interessata a vendere all’esterno il “Modello Emilia”, fatto di sinergie tra mondo produttivo e associazioni, all’insegna dello “sviluppo sostenibile” piuttosto che attuarlo con scelte coraggiose. Tra sei mesi ci sarà la possibilità di aggiornare il documento, RECAER si dice “pronta a proseguire se le forme di questo confronto si rivelino, finalmente, realmente partecipative attraverso la presenza a tavoli di lavoro permanenti.” La nostra speranza è che il dialogo venga ripreso per non perdere la possibilità di investire i tanti soldi del recovery fund nella vera transizione ecologica.