A Palermo la soluzione della questione dei rifiuti viene ossessivamente rimandata alla diffusione della raccolta differenziata. Peccato che questa nel passato prossimo abbia dato risultati assai deludenti. Peccato che la presunta tara antropologica degli indigeni (i panormosauri incivili) c’entri poco e niente.

Perché il cuore del problema è un mix di disservizi e interessi di cui non è impossibile scorgere la trama.

Vediamo di cosa si tratta. Raccolta differenziata sarebbe la priorità della pubblica amministrazione, il suo obiettivo primario.

Nel 2019 a Palermo raggiungeva appena 130.000 cittadini su 700.000. Per questi (poco più del 20% dei residenti) la differenziata in realtà superava di poco il 50%. Il dato della differenziata è rimasto invariato rispetto al 2018, mentre addirittura peggiorava rispetto agli anni precedenti. Complessivamente solo poco più del 20 % dei rifiuti prodotti nell’area metropolitana viene differenziato. Siamo di venti punti percentuali sotto la media isolana.

Il bilancio è pessimo: la differenziata rimane confinata in ambiti ristretti e con livelli negativi di performance. Parliamo di Palermo, ma la situazione accomuna tutti i grandi centri isolani. Con uno stesso copione obbligato. La Regione sanziona i Comuni per il mancato risultato atteso con un’addizionale regionale, che serve a risarcire – secondo contratto – le aziende private per i mancati ricavi attesi dalla differenziata. Insomma, gli enti pubblici prevedono obiettivi non raggiungibili (sbagliando le stime) e così devono risarcire gli imprenditori privati, che non rischiano nulla! Come se un fruttivendolo andasse al mercato con la garanzia che l’invenduto gli tornasse comunque risarcito, con una compensazione nominale basata su fantomatiche stime di mercato. Perché le imprese che gestiscono la differenziata non sono associazioni di volontariato, anzi ci guadagnano due volte perché sono gli stessi che gestiscono gli impianti per l’indifferenziata.

La Regione Sicilia sanziona le amministrazioni comunali, ma il costo del loro errore ricade sui contribuenti con una TARI maggiorata. Se sono “fortunati”, perché il loro municipio ha dichiarato il dissesto finanziario (vedi Monreale), perdono anche tutte le agevolazioni precedenti (come quelle per la distanza dei cassonetti o l’unico residente).

E’ di giugno 2020 l’approvazione del consiglio comunale di un debito fuori Bilancio pari a 9,5 milioni di euro per far quadrare i conti della RAP, la società controllata dal Comune del capoluogo della Sicilia che si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Un debito per mettere una pezza al buco dei conti in rosso, senza aumentare la già carissima TARI, deliberato nonostante il parere contrario della Ragioneria generale del Comune e del Collegio dei Revisori dei Conti (la faccenda potrebbe finire sul tavolo della Corte dei Conti).

Su questa montagna di rifiuti e debiti aleggia il fantasma della discarica di Bellolampo, di cui si era decretata e festeggiata la chiusura più di un anno fa. In realtà Bellolampo non è mai stata chiusa, anzi!

A settembre dello scorso anno era scoppiato il caso: la sesta vasca – satura da mesi – aveva una capienza di meno di due milioni di metri cubi. Non potendola ulteriormente utilizzare 450 tonnellate al giorno venivano sversate a terra, mentre 450 partivano per il catanese. L’ARPA denunciava allora la gestione di Bellolampo (sarebbero stati da 18.000 a 60.000 le tonnellate di immondizia gettate sugli spiazzati) e quella spedita nel catanese (400 tonnellate al giorno) che nel frattempo ci veniva rimandata indietro perché non a norma nel pretrattamento.

Non entro nel merito delle inchieste giudiziarie che dall’autunno scorso ad oggi hanno investito i vertici ed il personale della RAP deputato alla gestione della discarica, perché questo meriterebbe un approfondimento a parte.

Mi limito a dati macroscopici e a fonti ufficiali.

Quelle che nel novembre 2019 ci raccontavano che l’assessorato regionale al territorio aveva dato il via alla realizzazione di una settima vasca nella discarica (badate bene: non si chiude ma la si amplia con una nuova vasca, la settima).

Regione e comune si azzardavano pure nella previsione dei tempi: 14 mesi e voilà, ecco la soluzione. Quasi un milione in più di metri cubi di spazzatura a poco meno di 30 milioni di euro. Un affare che ha la benedizione di sinistra ed ambientalisti locali. Senza questa settima vasca spenderemmo 11 milioni all’anno per portare camion di rifuti nel catanese.

Nel frattempo il male maior del covid fa scorrere acqua sul percolato putrido della discarica dimenticata, quando ad agosto leggiamo che – colpo di scena – a Bellolampo, che non è chiusa, che non è a rischio ambientale e criminale, c’è spazio per ampliare quella sesta vasca da anni considerata non recuperabile.

Un dietro front impressionante. È possibile, ci dicono oggi, ricavare quasi 150 mila metri cubi da destinare a quei rifiuti che – nel frattempo – sarebbero già 40.000 tonnellate sversati sul terreno.

Con inquietante coincidenza di tempi in questi scampoli d’estate 2020 finiscono in manette il dirigente tecnico della discarica e imprenditori del settore dei rifiuti dell’area siracusana.

Ma a noi piace sognare e voltiamo pagina virtuale: ancora sei mesi e Bellolampo, con la sua sesta vasca ritrovata sarà green, e senza malaffare, perché adesso il sindaco ha aumentato la vigilanza (anche armata) per proteggerla dai privati e dalla mafia.

In questi sei mesi (ma sognate senza chiedermi di quale semestre si parli) non porteremo più fuori dalla provincia le 500 tonnellate che non riusciamo quotidianamente a smaltire in loco, svuoteremo e bonificheremo gli spiazzali, liberandoli dalle 40 mila tonnellate sversate, risaneremo il bilancio fallimentare di RAP e l’ambiente. E speriamo che non piova (o che piova quanto basta a spegnere gli incendi non inquinando le falde o allagando i sottopassi). Viva S. Rosalia!

Vedi anche:

 

La munizza nella calza. Un anno tra i rifiuti