La società occidentale è regolata da dinamiche viziose che portano chi ha già più privilegi ad avere più facile accesso alle risorse. In che modo la ripresa post-Covid può creare una società più equa attraverso la partecipazione? Il primo passo è immaginare una “nuova normalità” e costruirla attraverso la collaborazione di diversi settori della società. 

Immaginare la nuova normalità

I momenti storici come quello che stiamo attraversando sono opportunità preziose per immaginare nuove strade e dare forma collettivamente alla nuova normalità, con un dialogo significativo su priorità e trade-off che possa influire sulle scelte politiche man mano che andiamo avanti. Tutto questo chiama anche ad un ripensamento radicale del nostro approccio alle decisioni a livello collettivo, alla governance e al ruolo dei cittadini nel processo. Qui è dove la partecipazione può giocare un ruolo insostituibile e unico come strumento per coinvolgere attivamente persone, stakeholder e altri attori, per dare forma a un futuro sostenibile ed equo e rispondere alla domanda che è forse la più fondamentale di tutte: che tipo di società vogliamo ricostruire dopo la crisi?

In Democratic Society, crediamo che nel costruire la nuova normalità, ci sia bisogno di prestare attenzione a due punti: disuguaglianze strutturali e nuovi modi e processi per collaborare, creando istituzioni e società più giuste e partecipative.

“Successo a chi ha successo”

Pensiamo al gioco del Monopoli: non appena si riesce ad avere un piccolo vantaggio sugli altri giocatori, si possono comprare ancora più proprietà, e avere molte più probabilità di vincere la partita. Lo tesso accade nel caso delle dinamiche sociali: per esempio, i bambini che crescono in famiglie benestanti hanno accesso a scuole migliori, magari private, e hanno maggiori probabilità di ottenere posti di lavoro di rilievo. Questo archetipo del “successo a chi ha successo” è al centro dell’economia occidentale, in cui è la struttura stessa che spesso determina chi “vince”.

Il Covid-19 ha portato alla luce numerose disuguaglianze strutturali, che non si limitano solo alla pandemia: è ben documentato che impatti ecologici e disastri climatici impattano di più persone con minore accesso alle risorse, popolazioni indigene o razzializzate. La gentrificazione climatica è un altro trend emergente collegato a forze strutturali più ampie.

Anche quando parliamo di partecipazione si manifestano dinamiche di potere: persone con una lingua madre diversa da quella locale potrebbero non sentirsi altrettanto sicure nel prendere la parola in una stanza piena di madrelingua, così come chi ha meno confidenza con la tecnologia potrebbe non contribuire pienamente a un processo digitale o online. Questo aumenta il rischio che l’esito del percorso non tenga conto dei bisogni o delle prospettive delle voci mancanti, che potrebbero finire per supportare il peso invisibile di quelle scelte o decisioni, ricreando quella dinamica del “successo a chi ha successo” che è dettata da barriere e forze sistemiche.

Una partecipazione equa come antidoto

La dinamica del “successo a chi ha successo” è difficile da scardinare a causa dei feedback che la rinforzano. Fermare questo processo richiede uno sforzo congiunto per sfidare gli assunti di base e i processi che lo generano. Quello che serve è un “contesto win-win dove la cooperazione sostituisce la competizione”.

La partecipazione è uno dei modi di creare questo spazio win-win, essendoci un collegamento fortissimo tra partecipazione e giustizia sociale. Nel contesto della giustizia sociale, questo significa coinvolgere le persone nelle decisioni che hanno impatti sulla loro vita e assicurarsi che abbiano la possibilità di contribuire pienamente alla vita politica e sociale.

Ma la diversità difficilmente appare spontaneamente nei processi partecipativi. Dev’essere integrata attivamente, invitando direttamente dei gruppi marginalizzati, per esempio, o selezionando un campione rappresentativo dal punto di vista demografico. È importante essere consapevoli del rischio di dare una funzione meramente simbolica alla diversità dei partecipanti (tokenism) invece di contribuire attivamente ai processi e alle scelte che influenzeranno la propria vita. Quello che occorre è un tipo di processo partecipativo che risponda ai bisogni e permetta di beneficiare quei gruppi che sono maggiormente influenzati da disuguaglianze strutturali e intersezionali, insieme alla società nel suo complesso.

Una partecipazione equa e collaborativa come nuova normalità

Durante la pandemia, abbiamo assistito alle risposte sia dei livelli istituzionali sia delle comunità, due risposte che tuttavia sono spesso state portate avanti in parallelo. Crediamo che sia importante iniziare a pensare in termini di “e…e” invece di “noi contro di loro”, in termini di collaborazione invece che competizione, per scardinare il circolo vizioso del “successo a chi ha successo”. Risposte dall’alto e dal basso sono entrambe di vitale importanza in tempi di crisi; allo stesso tempo c’è un bisogno urgente di connettere le persone e istituzioni dando forma a nuovi modi di partecipare e dialogare in quella terra di mezzo che sta tra le due.

Per arrivare a questo, è cruciale investire per tempo in strutture partecipative collaborative, flessibili e in grado di adattarsi, capaci anche di tenere il passo con le decisioni in tempo reale che sono richieste in tempi di crisi. Così facendo, la partecipazione può diventare un pezzo del puzzle per costruire una società più equa e collaborativa.

Scritto da Namita Kambli e Martina Francesca

Democratic Society

L’articolo originale può essere letto qui