La manifestazione di sabato 13 giugno in piazza Cavour a Como per i diritti delle persone senzatetto era un dovere a cui non si poteva venire meno. È ciò che ci siamo detti quando abbiamo cominciato a ragionare su cosa fare, su come cercare di rispondere a delle esigenze di fatto indilazionabili, in questa fase così precaria della vita politica e sociale.

Foto di Fabio Cani

La questione delle esigenze e dei diritti delle persone senzatetto è complessa e ormai incancrenita. Da anni ormai ripetiamo (e ovviamente non solo noi che abbiamo organizzato la manifestazione di oggi ) che questi problemi sono strutturali e profondamente connessi con molte delle tendenze che questa postmodernità iperliberista ha ribaltato sulle fasce deboli e, ancora di più, fragili della società: molti elementi di questa situazione (anche a Como) sono connessi con il progressivo aprirsi della forbice sociale (ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri), con l’espulsione di molti soggetti dal mondo della produzione e dalla possibilità di procurarsi un reddito per quanto minimo, con le storture del mercato immobiliare che a molti ha letteralmente sfilato la possibilità di avere una casa, con i contraccolpi delle politiche miopi (per non dire altro) riguardo al fenomeno epocale delle migrazioni, con le modalità prescrittive-punitive del concreto agire e legiferare dello Stato.

Di fronte a tale complessità, che richiederebbe un profondo ripensamento delle politiche sociali a livello tanto globale quanto locale, le istituzioni ostentano il proprio disinteresse e la totale incapacità di prendere atto della gravità della situazione e dell’impatto di ciò sulla vita delle persone.

Le vicende comasche, più o meno recenti, sono l’esempio esasperato di questo modo di procedere, o meglio di non procedere affatto. Il problema dei senzatetto è stato affrontato, così come quello dei migranti, solo in chiave emergenziale: abbiamo avuto un’emergenza stazione, diverse emergenze freddo, e da ultimo anche un caso particolare dell’emergenza covid-19. Certo, qualcosa è stato fatto, ma alla “fine” (reale o proclamata per tale) di tutte queste emergenze si è sempre ricominciato da capo, sempre ripartendo dalla totale incomprensione degli elementi stabili e strutturali di queste esigenze, e quindi persino nell’impossibilità di “capitalizzare” qualche elemento già messo a punto. Basta pensare a quanto successo durante il cosiddetto lock-down con la realizzazione, per quanto tardiva e insufficiente, del secondo dormitorio e – soprattutto – con l’apertura di una sorta di servizio “diurno”; appena possibile quest’esperienza è stata chiusa (non è passata nemmeno una giornata dalla prima riduzione dei divieti di circolazione!). E poi la chiusura dell’emergenza freddo è seguita a ruota. E quindi non è appellandosi alle esigenze sanitarie di questa particolare fase che si può sperare di trovare una soluzione…

La palese insensatezza di queste scelte e di queste tendenze ha provocato la decisione autonoma, da parte di molte persone che si vedevano nuovamente sbattute in strada, di protestare al Municipio, ovvero presso la sede di quella istituzione che non solo in tutti questi anni non è stata capace di trovare una soluzione al problema (nonostante precise indicazioni e anche una presa di posizione “trasversale” da parte del consiglio comunale), ma che dovrebbe essere proprio il luogo del raccordo tra le esigenze della città e le pratiche politiche. La risposta di chi ha (o avuto) la responsabilità di governare questa città è stata particolarmente scomposta, fino al vertice di sproloqui da parte della ex vicesindaca Locatelli. Molte cose sono state dette, qualche promessa è stata fatta, ma – pur cambiando l’ordine dei verbi e dei sostantivi – il risultato non è mutato: lunedì 8 giugno le strutture di accoglienza sono state chiuse.

Altre ipotesi sono state avanzate nei giorni successivi. Nessuno può dire se queste avranno più gambe per marciare rispetto a tutte le precedenti.

Per tutte queste ragioni non potevamo aspettare a scendere in piazza; era indispensabile rendere evidente che la questione non riguarda solo qualche decina di persone fragili ed emarginate. Certo: su di loro l’esito di queste non-scelte è particolarmente drammatico. Ma il problema coinvolge l’intera città – ma si dovrebbe dire, veramente, che coinvolge tutto il nostro orizzonte politico-sociale-culturale. È una questione di diritti, cioè dei fondamenti del vivere civile.

La manifestazione di oggi, che ha visto la partecipazione di almeno 300 persone, che ha visto atteggiamenti compresi ma non cupi, si è voluta esprimere in modi inclusivi e popolari, con simboli che vorremmo definire affettuosi nei confronti delle persone coinvolte e di questa stessa città, che non si merita questa amministrazione inconcludente.

Nessuno di noi pensava che una manifestazione in piazza Cavour potesse essere il momento risolutivo di questo groviglio di incapacità e di miopi interessi, ma l’abbiamo concepita come una tappa di un percorso che sappiamo irto di difficoltà, ma che non può fermarsi. Da domani intorno ai concetti fondamentali che in piazza Cavour sono stati espressi bisogna costruire un ampio movimento che coinvolga realtà associative, culturali, di volontariato, sindacati, partiti, cittadine e cittadini. L’affermazione dei diritti a un certo punto non potrà più essere rinviata.

Non sarà facile, lo sappiamo.

A margine del pomeriggio di oggi riporto due scambi di battute, assolutamente autentici, che danno la misura di quanto e come bisogna lavorare. Mentre stavamo allestendo il terreno con i cerchi per il “distanziamento”, si avvicina una signora e chiede “Cosa fate?”. Rispondo: “Allestiamo una manifestazione per i diritti dei senzatetto”. “Italiani?”. “Anche. Non siamo mica razzisti”. “Io sì !!”. Poi alla fine, dopo i discorsi e i simboli, mi si avvicina una coppia di senzatetto, e chiede “Ma tutta questa cosa come finisce?”. Dico: “Beh, intanto ne parleranno in tanti e magari…”. “Sì, ma e noi? Noi siamo per strada, sotto i portici del Crocifisso!”. Aggiungo, quasi sottovoce: “Forse qualche possibilità in più c’è, adesso”. Cos’altro potevo dire?

[Fabio Cani, Como senza frontiere, ecoinformazioni]

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Cronaca della manifestazione con foto e video.