Prendo a prestito una parola inventata durante il ventennio del secolo passato e riportata in auge dallo studioso, scrittore e psicoanalista Massimo Recalcati sulla “fascistizzazione” delle menti, sulla voglia dell’uomo forte e dello stato autoritario che in questo momento sembrerebbe prevalere nei desideri dei cittadini un po’ in tutto il mondo ma in special modo nel nostro paese, dove la richiesta di sicurezza, accentuata dalla comparsa dell’ormai tristemente famoso Coronavirus, viene barattata volentieri con la rinuncia a pezzi di libertà, individuale e collettiva.

Oggi (ma potrebbe succedere per altre questioni e altre “emergenze”) rinunciamo a diritti fondamentali come il movimento, la critica, l’espressione, la socialità, il lavoro, l’affettività, in cambio di una presunta immunità alla malattia. Presunta, perché non c’è nessuna garanzia che il prezzo pagato serva per avere quel prodotto, a ottenere quel risultato anzi. A sei mesi dallo scoppio della cosiddetta “pandemia” da virus Covid 19, siamo ancora al balbettio di tecnici, scienziati e politici sulle origini, sulle cause e soprattutto sugli strumenti per fermarlo, mentre egli viaggia indisturbato decidendo dove e chi colpire e soprattutto quando placarsi e acchetarsi, come sembra stia fortunatamente succedendo e come è successo a tutti i virus che accompagnano e hanno accompagnato l’umanità nelle migliaia di anni precedenti.

Ho scritto “rinunciamo” e non “ci costringono, ci obbligano, siamo costretti…”; rinunciamo volontariamente, ci autoreclusiamo, ci autoisoliamo. Certo, sotto la minaccia di multe e sanzioni, o peggio con il controllo sociale affidato al vicino di casa, di quartiere, di pianerottolo, scatenando i peggiori istinti umani come l’invidia e la delazione che, sarà un caso, ma ricordano così tanto i regimi autoritari di destra e di sinistra (e quindi fascisti) che purtroppo abbiamo tragicamente sperimentato nel secolo passato. Scegliendo opportunisticamente come facciamo da sempre, la convenienza contro e in barba alla tanto sbandierata e decantata libertà. Quella la lasciamo agli eroi, ai sognatori, agli ingenui.

Deve essere l’istinto di sopravvivenza, l’unico che ci guida al di là dell’intelligenza, dei sentimenti, degli ideali, quello che ci spinge ad aggrapparci ai rottami per non affondare; a seguire ciò che si presenta meglio per noi, che è più grosso, ci dà più garanzie, parla meglio, gesticola, affascina, fa “la ruota”, anche se è un bastardo, anche se il prezzo che ci farà pagare sappiamo che sarà salato, che sia il capobranco o il pifferaio magico a richiedercelo. E in questo sì, siamo fascisti e opportunisti insieme: fascisti quando ci affidiamo all’elemento forte o al presunto tale che sia in grado di guidarci da qualche parte senza tanti sforzi, senza tanti impegni da parte nostra e opportunisti, poiché scegliamo “al momento”, adeguandoci alla situazione, al risultato immediato mettendo da parte tutto ciò che riguarda il “dopo”, il futuro, il sogno e quindi il rischio, il progetto.

Detta banalmente: “E’ meglio un uovo oggi…”. E quindi anche le idealità, le “fedi” come si diceva una volta, che hanno tempi lunghi per la realizzazione vengono rifiutate. Pertanto sì, e ahivoglia a parlare di esseri intelligenti, pensanti, anima e coscienza, qui vale la legge darwiniana, vince il più forte, quello che si adegua, che si plasma e si fa plasmare dalla vita, dall’ambiente, dalle condizioni esterne e non oppone resistenza pur di sopravvivere. E non è detto che sia sbagliato se si saltano appunto i sogni, le fantasie e i voli pindarici e si pensa a “vivere” quel tanto che la vita ci concede.

Centrale in ciò è la figura del capo, del Duce, ma anche, come nelle democrazie moderne, il Presidente. Un capo che non fonda il suo potere sul carattere sacro o legale della sua autorità, ma sulle sue presunte doti eccezionale che ne fanno una figura brillante, sopra la media, infallibile; l’unico punto di mediazione fra gli interessi individuali e sociali divergenti e contrapposti che si pretende di annullare. Il parallelo è quello del “semplice” giovane di provincia, dell’uomo qualunque e al massimo del giornalista che diventa Duce, rapportato al “semplice” avvocato di provincia che fino al giorno prima non aveva fatto politica, che nell’Italia moderna diventa Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con delle inevitabili differenze ovvio, dato che allora, nel Ventennio con il Futurismo e l’estetismo in genere… ”l’ideologia fascista derivava tutta la sua passione per la teatralità, la gestualità, il rituale delle molteplici e numerose manifestazioni per mobilitare le masse”. Più che le idee dunque, innovative furono (allora ma anche oggi) le tecniche di condizionamento: la pubblicità, i giornalini a fumetto, la radio e il cinema, le celebrazioni e le adunanze di massa, i dialoghi diretti dal balcone con il “POPOLO italiano” radunato in piazza, la valorizzazione del lavoro manuale (non vi ricorda i pompieri, gli infermieri e i medici eroi, la luce nello studio sempre accesa oppure il Presidente imprenditore?).

“Credere, obbedire e combattere” e chi non lo fa è un nemico, un terrorista da mandare al confino o incarcerare, mentre oggi con la pandemia è un irresponsabile che mette in pericolo la salute di tutti noi e quindi è giusto metterlo alla gogna sui social, insultarlo dal balcone se lo si vede correre in strada, denunciarlo alla forza pubblica se non porta la mascherina. La quale sarà autorizzata, sostenuta dal consenso popolare se userà i droni per stanare chi fa il bagno al mare, gli elicotteri per individuare coloro che passeggiano in montagna, i cani lupo se non si rispetta il distanziamento sociale e infliggere la consueta, salatissima multa.

I discorsi dei duci in tutti i continenti un tempo erano trasmessi simultaneamente attraverso gli altoparlanti, oggi si utilizzano le reti televisive “unificate” o quasi per comunicare i provvedimenti del Nostro di turno, improntati alternativamente sull’ottimismo e la paura, sulla sicurezza e la fiducia nel futuro con l’avvertenza però e con la condizionale: “Che siamo in guerra” e pertanto bisogna obbedire come “soldati” agli ordini dell’autorità suprema, incarnata dal Presidente o dal virologo di turno.

Per ciò che riguarda l’Italia, se un tempo (durante il fascismo ma anche nella prima vita del governo Conte) si usava la retorica della Patria, della razza, della “bella” gioventù e dei nemici esterni, dell’immigrazione selvaggia e dell’invasione, durante la pandemia e con l’entrata del Pd al governo, si è fatto largo uso del paternalismo, della “concessione” del principe… ”Io vi concedo se voi”… Si è in sostanza cambiato strategia e si è ipocritamente indotto gli italiani ad auto responsabilizzarsi, anche qui con l’avvertenza però, con quei “se e ma” sempre pronti che sanno di minaccia: “Se vi ammalate è colpa vostra, se guarirete è merito dei nostri provvedimenti”. E il POPOLO di cui sopra lo ha accettato, non dico sbagliando ma…in modo tragicamente pedissequo, acriticamente, per paura, o per quei retaggi o ritorni mentali di amore per il fascismo che ancora ci portiamo gelosamente dentro: “Se lo ha detto LUI bisogna crederci”. E questo, come ci insegna la storia, non porta affatto bene.