Venerdì scorso abbiamo avuto il secondo giorno della Scuolina presso il Cospe e anche il secondo giorno del Workshop Creativo organizzato dagli amici Walter e Marcela di Mhuysqa Impact Design. Delle finalità del workshop avremo modo di parlare in futuro. Interessa qui dire ciò che la Scuolina, trasferita dalla campagna alla città, racconta, già dopo solo due giorni di vita.

La Scuolina è nata e ha prosperato per due anni a Poggio alla Croce, piccola frazione in collina divisa fra i comuni di Figline Incisa Valdarno e Greve in Chianti. È emersa naturalmente, fra le attività del Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva, come tentativo di compiere azioni utili all’integrazione dello “straniero” in una piccola realtà, da principio insofferente e fortemente contraria. Sin dall’agosto 2017 la Scuola si è subito materializzata in due pomeriggi la settimana, martedì e giovedì dalle 17 alle 19. La partecipazione spontanea di vari cittadini (una trentina, non solo del paese) e dei ragazzi ospiti del CAS non è mai mancata, fino al luglio scorso, quando la struttura è stata chiusa e i ragazzi trasferiti in altri centri in città.

‒ Ma quali sono i risultati che ottenete? ‒
ci chiesero dei giornalisti che erano venuti a visitarci
‒ Non le rispondiamo noi, osservi semplicemente come stanno entrando questi ragazzi… ‒
‒ Non vedo nulla di particolare… ‒
disse dopo averne visti entrare tre o quattro, affrettandosi sorridenti ad entrare nella stanza della scuola, alcuni curiosi venendo prima a chiedere cosa stessimo facendo
‒ Solo sei mesi fa alcuni di loro le avrebbero fatto paura, immobili in un angolo, cupi senza che ti guardassero mai negli occhi. E le avrebbero fatto paura perché la loro era espressione di paura. Paura di un mondo ostile che, in alcuni casi, per un anno o più non aveva mai rivolto loro una parola. L’isolamento genera paura e la paura genera altra paura, in un circolo vizioso che solo un atto di volontà può rompere, delle volte un atto di coraggio. ‒

Dopo due anni una quindicina di questi ragazzi sono stati integrati tutti in attività di lavoro legali, in forma stagionale o continuativa. In molti casi i datori di lavoro non li vogliono perdere o addirittura ci hanno chiesto se conoscevamo ragazzi simili, in parte perché grandi lavoratori ma anche perché è difficile trovare giovani disposti a fare quei tipi di attività. Ma la più bella testimonianza dei risultati ottenuti dalla Scuolina l’ha data Madou, con questa lettera che ci ha scritto quando è giunta la notizia della chiusura del centro:

Oggi era l’ultimo giorno dello studio a scuola di Poggio alla Croce.
Era una scuola dove gli stranieri imparano un sacco di cose.
Era una scuola dove abbiamo imparato tutto ciò che avevamo bisogno: in italiano; in inglese e soprattutto la cultura italiana.
In questo momento è molto difficile a allontanarci agli abitanti di Poggio alla Croce oppure restare da lontani ai nostri maestri o le nostre maestre.
Ci dispiace moltissimi ma non abbiamo il scelto.
Vi diciamo che non abbiamo tante parole da dire perché vivere con voi è stato molto bello.
Dovete essere orgogliosi di voi stessi perché tutto quello che avete fatto anche state facendo. Avete creato una storia incredibile ed incancellabile nel nostro paesino .
Un paesino che l’umanità è rispettato molto.
Per alcune persone vivere con gli ragazzi Africani è un annoia oppure come un peccato.
Ma con voi non è stato così, sempre con i sorrisi , belle parole , senza delle parolacce né la distinzione di pelle ecc.
Siamo stati fortunati a vivere con voi di un momenti del questo viaggio. Dopo lo studio a Poggio, abbiamo capito che ognuno di noi “dev’essere padroni del proprio destino”
Grazie per averci insegnato del buon atteggiamento ed insegnarci come si funziona in Europa.
Grazie per averci capire che non dovremmo essere come le persone delinquente oppure l’elemosina.
Non vi dimenticheremo mai.

Madou un anno fa non sapeva una parola di italiano.

In un certo senso questa è la scuola che ho sempre sognato e che solo con grande fatica e in modo imperfetto cerco di introdurre nelle attività di insegnamento, siano esse nei normali corsi universitari o nelle sperimentazioni in cui mi intrufolo nella scuola primaria. Ma il modello di scuola non è nuovo. È stato pensato e ripensato, e riapplicato in innumerevoli mutate forme, da personaggi insigni di varia estrazione. Il modello si nutre dell’attivismo di Dewey, della scuola di cittadinanza di Codignola, dell’I care di Don Milani, dell’oppressore che si deve fare oppresso di Paulo Freire ma anche di esperienze contemporanee come quella della Scuola Penny Wirton di Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi o di teorie contemporanee come l’expansive learning di Yrjö Engeström, solo per fare alcuni esempi. Anche la Scuolina di Poggio alla Croce, come ogni nuovo esperimento, si nutre di tutti i precedenti e, al tempo stesso, si adatta alla realtà attraverso l’ascolto, delle persone, del contesto.

Ma nella pedagogia, in quanto disciplina dell’umano, quindi della complessità estrema, non si dimostra mai niente, nel senso delle cosiddette scienze esatte, ma si illustrano possibili soluzioni in specifici contesti. La domanda è: in quali termini e in che misura i modelli suggeriti da singole storie di successo possono essere generalizzati? O, più modestamente, in che misura possono essere trasmessi ad altre situazioni?

Non abbiamo risposte esaustive a queste domande. Sembra tuttavia di poter dire che è difficilissimo trasferire modelli di successo nei contesti chiusi delle istituzioni, che sempre più richiedono formalizzazioni rigide, prive degli spazi e della flessibilità necessari per far fiorire il pensiero e per rispondere realmente alle esigenze e modalità di apprendimento di ogni singolo individuo. Si può invece tentare di trasferire un modello in un contesto aperto, dove non siano le relazioni a doversi adattare a forme precostituite ma siano quest’ultime a vestire l’umanità presente nel contesto.

È precisamente questa la lezione appresa dall’esperienza della Scuolina, che ha avuto luogo nel contesto dell’aiuto alla formazione e all’integrazione di giovani immigrati. La diversità che si riscontra fra questi ragazzi è enorme. I primi tredici giovani che conoscemmo due anni fa avevano dieci lingue madri, alcuni non disponevano di nessuna lingua ponte, alcuni del francese e altri dell’inglese, alcuni erano analfabeti ma uno stava per laurearsi in matematica e un altro leggeva Rousseau e Stendhal. Non esiste alcun contesto formativo istituzionale in grado di affrontare un simile livello di diversità. Inoltre, nessun contesto istituzionale mette realmente al centro la relazione umana, molto prima ancora delle cosiddette competenze ‒ forse sufficienti per alcuni tipi di istruzione ma completamente insufficienti per una formazione vera.

Il modello della scuolina prevede un rapporto fra insegnanti e allievi di uno a uno oppure uno a pochissimi. E pone la massima cura nella relazione. All’inizio è uno stare a fianco, conoscersi, trovare punti di contatto, capire le prime reali esigenze percepite. E su queste, progressivamente, iniziare a condividere lingua, abitudini, norme, conoscenza, in un processo circolare continuo di proposta, verifica degli esiti concreti (non formali) della medesima, riaggiustamento.

Da tutto ciò l’idea di far volare la Scuolina in città. I ragazzi che l’hanno vissuta a Poggio alla Croce sono tutti collegati in una chat e si trovano tutti in città, con i mezzi pubblici a portata di mano. Niente di più facile quindi che lanciare un messaggio ‒ Venerdì prossimo tutti a scuola presso…

Gli amici del Cospe si sono prestati a fornire la sede per questo esperimento. Così siamo partiti con le prime due giornate. E queste sono già bastate a mostrare come il nuovo contesto porti subito nuove opportunità. Intanto alcune operatrici del Cospe hanno preso parte, in varia misura, alle attività. Poi, il primo giorno sono apparsi due nuovi ragazzi, amici dei precedenti allievi in un caso e di una studentessa tirocinante nell’altro. E il secondo giorno si sono presentati un terzo nuovo allievo ma anche nuovi “insegnanti”: una signora amica di uno dei ragazzi , un’educatrice dal quartiere delle Piagge.

E qui veniamo all’essenza del progetto Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva e di quelli che seguiranno: far emergere l’Italia positiva, che non reagisce con la paura al nuovo ma immagina orizzonti da svelare nei nuovi ostacoli. Quell’Italia che quasi nessuno racconta, non la mainstream information, salvo eccezioni, non la propaganda politica. Un’Italia pensante, costruttiva, mite, silenziosa. Che in una parte forse non trascurabile ha anche rinunciato ad esercitare il privilegio del voto. Non pochi i giovani che preferiscono agire piuttosto che votare ‒ Votare chi poi? ‒ mi dicono.

La Scuolina, volata da Poggio alla Croce in città, complementa la mappa della positività che raccoglie storie di accoglienza grandi e piccole, in una doppia azione: esplorazione dell’esistente da un lato, ricerca attiva di un modello di coinvolgimento delle forze positive dall’altro.