La carta è un materiale di origine naturale che viene prodotto a partire da cellulose provenienti da foreste. Tutta la cellulosa importata in Italia, utile ad una produzione di carta (che nel 2018 è stata di 9 milioni di tonnellate, la quarta in Europa), è soggetta a verifica di legalità e circa l’80% è dotata di certificazione di sostenibilità. Il tasso di circolarità, cioè il rapporto tra materie prime secondarie e quelle totali impiegate in tutto il settore, raggiunge il 57%, con eccellenze nella filiera degli imballaggi che toccano punte dell’80%, una percentuale che costituisce l’obiettivo della più recente Direttiva comunitaria nel campo dei rifiuti e degli imballaggi. Alla luce di questi dati è evidente come l’industria della carta italiana rappresenti a tutti gli effetti un’importante fetta dell’economia circolare nazionale, ma nonostante le buone performance, nel corso dell’assemblea annuale dello scorso giugno a Roma, il presidente di Assocarta Girolamo Marchi ha denunciato le grandi difficoltà del settore a migliorare la qualità e la quantità del riciclo perché in Italia “Progetti concreti di economia circolare diventano ostaggi di una burocrazia senza un fine. Non solo non si riescono a recuperare gli scarti del riciclo, ma neanche ad aumentare il riciclo della carta. Non siamo nelle sabbie mobili… ma nelle sabbie immobili”.

I numeri, infatti, dimostrano che nei primi 3 mesi del 2019 è calata la produzione del 2% e il fatturato del -2,2% rispetto ai buoni livelli dello stesso periodo 2018. Ma come mai? Secondo Marchi “Il settore cartario che in passato è riuscito a contenere gli effetti della crisi e che sta cercando di costruire delle strategie di rilancio si trova a combattere contro un alto costo del gas e la mancanza di impianti di recupero per la gestione degli scarti del riciclo”. L’industria della carta italiana che utilizza grandi quantità di gas, lo fa oggi con prezzi superiori del 15% rispetto a quelli dei concorrenti esteri perché gravati dalle componenti parafiscali che via via aumentano. Senza impianti per recuperare energia dagli scarti del riciclo, poi, non è possibile ridurre il consumo di combustibili fossili e chiudere il cerchio virtuoso della filiera. Anche per questo sono pochi gli imprenditori che decidono di investire in un settore con delle potenzialità, ma ancora immerso nelle “sabbie immobili della burocrazia”. Per Assocarta il Governo deve intervenire quanto prima per ridurre questo “spread” e agire sull’agevolazione di un’economia circolare che rimane un’opportunità per il Paese e vanta ancora degli standard da eccellenza europea.

L’ultimo rapporto ambientale del settore cartario, presentato il 30 maggio all’Unione industriali di Torino da Assocarta, ha di fatto confermato la buona salute di un comparto nazionale dove l’economia circolare è già una realtà. In Italia si riciclano 10 tonnellate al minuto di carta, un giornale rientra nel ciclo produttivo in media dopo 7 giorni, una scatola entro 14 giorni e ogni anno vengono evitate 20 discariche grazie al riciclo della carta.  “Il ciclo della carta è un esempio di bioeconomia circolare in quanto è una tecnologia che ha saputo coniugare la sostenibilità con l’impiego di materie prime rinnovabili e il riciclo dei prodotti a fine vita” ha spiegato Marchi, “ma questo non significa che anche questa filiera industriale, come del resto tutte le altre, non produca scarti che è necessario gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità”. Il riciclo in cartiera, infatti, produce degli scarti che sono limitati rispetto alle grandi quantità di materiali impiegati, ma sono in gran parte ineliminabili. Si tratta di scarti del tutto simili ai rifiuti urbani che finiscono in impianti regionali anziché in impianti di termovalorizzazione dedicati, presenti solo in Umbria e in Lombardia. In Paesi come Germania o Austria, lo smaltimento in discarica è ridotto al minimo, ma “Non è così in Italia, dove non solo non riusciamo a produrre energia dagli scarti con la termovalorizzazione come fanno i nostri concorrenti europei, ma non riusciamo neanche a trovare impianti per gestirli. Non riusciamo, quindi, a chiudere il ciclo proprio in un’ottica di economia circolare” ha concluso Marchi.

Se la situazione non cambia non è difficile immaginare che molti imprenditori saranno costretti a stipulare accordi settoriali per esportare i nostri scarti all’estero con buona pace dei principi dell’economia circolare e, soprattutto, della bilancia commerciale del Paese. Inutile poi stupirsi se i nostri concorrenti esteri producono a prezzi inferiori: se lo fanno è perché recuperano i nostri scarti industriali, servizio per il quale si fanno pagare e producono energia. Per Assocarta “In assenza di qualsiasi azione del Governo, il rischio sempre più vicino è che si blocchi la produzione, quindi il riciclo della carta e, conseguentemente, la raccolta differenziata della carta su suolo pubblico (e su quello privato) in Italia. Né il Paese né l’industria della carta vogliono questo, ma l’inerzia può andare oltre le peggiori aspettative”. Che fare? Da Assocarta avanzano tre proposte sul fronte end of waste: “Accesso prioritario agli scarti di riciclo della carta negli impianti esistenti; avviare subito tutti gli impianti industriali già completati, inclusi gli impianti di recupero degli scarti del riciclo asserviti alla produzione; considerare in maniera strutturale, nella pianificazione regionale in materia di rifiuti, il recupero degli scarti del riciclo”. “Volta la carta e il gallo si sveglia” cantava Fabrizio De Andrè, ma non pare che su questo punto il Governo italiano si sia ancora svegliato.

Articolo di Alessandro Graziadei

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