Alla fine, il Governo Tsipras ha superato un nuovo difficile scoglio: con una maggioranza assai risicata (151 favorevoli e 148 contrari) il Parlamento greco ha confermato la fiducia al Governo di Syriza, dopo la crisi innescata dalle dimissioni del ministro della difesa, Kammenos, e la conseguente uscita del suo partito, i Greci Indipendenti (di destra) di ANEL, dalla coalizione di governo. Motivo del dissidio: l’implementazione degli «Accordi di Prespa», in base ai quali viene riconosciuta una nuova denominazione ufficiale della Macedonia, oggi ancora ufficialmente FYROM, nella forma pattuita di “Repubblica della Macedonia del Nord”, in cambio della fine della controversia diplomatica con la Grecia e dell’apertura, per la ridenominata “Macedonia del Nord” del percorso di adesione alle istituzioni euro-atlantiche.

Ma cosa prevedono gli Accordi di Prespa? Al di là della retorica politica e delle rivendicazioni nazionalistiche, si tratta, in effetti, di un accordo-quadro, che interviene su due grandi capitoli: la risoluzione della disputa sul nome, legata a sua volta allo sviluppo di rinnovate relazioni di «buon vicinato», e la intensificazione delle relazioni bilaterali, sia sotto il profilo politico-istituzionale sia sotto il versante economico-commerciale. In base all’art. 1 (comma 3), viene riconosciuta alla attuale FYROM la denominazione ufficiale di “Repubblica della Macedonia del Nord” (abbreviata in “Macedonia del Nord”), i/le cittadini/e macedoni saranno ufficialmente designati come “Macedoni/Cittadini della Repubblica della Macedonia del Nord”, la sigla automobilistica viene ad essere «NM» o «NMK».

L’art. 1 (comma 4) prevede, ovviamente, una procedura di ratifica e, in particolare, di revisione costituzionale per l’attuale FYROM, mentre l’art. 2 prescrive che questa potrà richiedere l’adesione alle organizzazioni internazionali e, in particolare, alla UE e alla NATO, solo sotto le insegne della sua nuova denominazione, e l’art. 3 sancisce, in maniera esplicita, non solo che «le parti confermano le frontiere esistenti come confine internazionale duraturo e inviolabile», ma anche che «si impegnano a rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica dell’altra parte». Per di più, l’art. 4 esplicitamente afferma l’impegno, per le parti, a non manifestare né sostenere alcun genere di dichiarazione o presa di posizione «irredentista», facendo subito riferimento, al successivo art. 5, al rispetto delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

Che la disputa sul nome non costituisca solo fatto di “sovranità nazionale” ma attenga anche a motivazioni storico-culturali, persino identitarie, più profonde, emerge con chiarezza dall’art. 7 laddove le parti dichiarano che «il modo come ciascuna intende il termine “Macedonia” e “Macedone” si riferisce a un differente contesto storico e a un diverso patrimonio culturale»; «la lingua ufficiale e gli altri attributi della attuale FYROM non fanno riferimento alle antiche civiltà, storia, cultura elleniche della regione settentrionale (omonima) della Grecia»; e, inoltre, (art. 8) è previsto un meccanismo di consultazione reciproca in caso di eventuale abuso o inappropriatezza nell’utilizzo di simboli o di denominazioni «che fanno parte del patrimonio storico e culturale» da una delle due parti.

Ma c’è anche l’altra faccia dell’accordo, che ha goduto senza dubbio di minore ribalta mediatica, ma che pure è non di meno sostanziosa, come dimostra il successivo art. 9., in base al quale la cooperazione strategica tra Grecia ed attuale FYROM viene, per la prima volta, estesa a tutti i settori, puntualmente elencati, «agricoltura, protezione civile, difesa, economia, energia, ambiente, industria, infrastrutture, investimenti, relazioni politiche, turismo, commercio, trasporti e cooperazione transfrontaliera», demandando a un futuro “Piano d’Azione” bilaterale la definizione del quadro dei settori in cui sviluppare tale cooperazione.

Inoltre, lo sviluppo delle relazioni bilaterali prevede, ancora in base ai termini dell’accordo, il rilancio delle relazioni diplomatiche, con l’elezione dell’Ufficio Diplomatico greco a Skopje e dell’Ufficio Diplomatico macedone ad Atene in vere e proprie Ambasciate (art. 10) e con l’istituzione di un Consiglio di Cooperazione di Alto Livello (HLCC) tra i due governi, con a capo i rispettivi primi ministri (art. 12). Non solo si tratta dello sviluppo delle relazioni economiche e commerciali bilaterali, ma, in particolare, del lancio della cooperazione «in materia di energia, specificamente attraverso la costruzione, la gestione e l’utilizzo dei gasdotti e degli oleodotti di connessione (esistenti, in costruzione e progettati), e riguardo alle risorse di energia rinnovabili» (art. 14).

L’accordo delinea dunque non solo un orizzonte diplomatico, ma un ben più corposo contesto strategico. Anche per questo, per la portata complessiva e le profonde ricadute, anche in termini socio-culturali ed economici, un accordo “pesante” su cui il governo di Syriza ha ottenuto, lo scorso 16 gennaio, una nuova fiducia.