Aveva fatto scalpore, l’estate scorsa, la notizia che al team di robotica delle ragazze afghane era stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti per partecipare alle prime Olimpiadi dedicate a questa disciplina, organizzate a Washington dall’americana First Global. Il blocco era stato causato dal contestato provvedimento introdotto da Trump per bloccare i visti a sette paesi musulmani.

Successivamente, però, le autorità statunitensi avevano fatto marcia indietro e le cinque studentesse di Herat, tutte fra i 14 e i 16 anni, non solo avevano potuto presentare il loro piccolo robot alla gara, ma avevano anche vinto una medaglia, tra l’entusiasmo e l’incoraggiamento di centinaia di loro coetanei delle squadre rivali, ragazzi – e soprattutto ragazze – provenienti da ogni parte del mondo. Una dimostrazione di come la promozione delle STEM, le materie tecnologiche e scientifiche, possa divenire uno strumento potente per colmare il divario di genere e unire persone anche lontanissime tra loro a livello geografico e culturale. Non è un caso che l’anno scorso l’iniziativa Made With Code, creata da Google proprio per affrontare lo squilibrio di genere nei campi STEM, fosse tra gli eventi di punta al Global Citizen Festival: dall’Afghanistan al Sud Sudan, dalla Siria all’Iran, agli Stati Uniti, sempre più ragazze hanno infatti cominciato ad essere coinvolte in progetti simili, e il nostro paese non è da meno. Tra le iniziative targate Italia, spicca quella delle Coding Girls, promossa da Fondazione Mondo Digitale, insieme a Missione diplomatica USA in Italia in collaborazione con Microsoft.

Un’idea che ha preso forma nel 2014 a Roma, proprio per avvicinare le giovani donne alla tecnologia, con la convinzione che il coding – ovvero la programmazione informatica – potesse essere un valido aiuto per colmare il divario di genere nelle materie tecnico-scientifiche e quindi, in futuro, nel mondo del lavoro.

“Ci sono tantissimi posti di lavoro che non vengono raggiunti dai giovani proprio perché non arrivano ad avere le competenze sufficienti – spiega a Unimondo la Vice presidente dell’Associazione Coding Girls e responsabile del programma, Cecilia Stajano – Con Coding Girls offriamo la possibilità di potenziarle durante il percorso scolastico classico”. Come? Attraverso un metodo educativo semplice quanto efficace: le ragazze formate dalla Fondazione Mondo Digitale che hanno voglia di mettersi in gioco, diventano a loro volta delle tutor per insegnare quanto hanno appreso alle loro compagne più piccole, delle scuole medie ed elementari. “Una volta che la scuola dimostra di avere un numero sufficiente di ragazze appassionate che vogliono andare avanti, diventa per merito un Coding Girls Club a cui noi continuiamo a fornire monitoraggio e formazione”. Al momento esistono 24 Coding Girls club in Italia (divisi tra Roma, Milano, Napoli e Catania), ognuno di loro abbinato a una o più scuole di grado inferiore. Il progetto, però, ha tutta l’intenzione di crescere e ampliarsi, a livello territoriale ma non solo: “Un prossimo passaggio sarà infatti la creazione di un’alleanza con le università, in cui si nota una certa dispersione, proprio per permettere a quante più studentesse di continuare il percorso formativo”.

Indirizzato soprattutto alle ragazze (circa 4 mila le studentesse coinvolte ogni anno) il progetto nel tempo si è allargato anche a un 20 per cento maschile. “La realtà lavorativa è fatta di uomini e donne che devono saper collaborare” continua Stajano. La quale ammette comunque l’esistenza, ancora oggi, di stereotipi radicati, a partire dall’infanzia. In Italia, infatti, la percentuale di donne che occupano posizioni tecnico-scientifiche è tra le più basse dei Paesi Ocse: il 31,7% contro il 68,9% di uomini e solo il 5% delle ragazze quindicenni italiane aspira a intraprendere professioni tecniche o scientifiche. Eppure il tasso di occupazione supera l’80%. “Spesso pensano di non essere adatte ed è un peccato, anche perché, a pari formazione, le donne hanno una capacità di sintesi e di logica molto brillanti, che possono essere davvero messe a vantaggio del team. E i compagni maschi se ne accorgono subito”. L’importante, però, è iniziare il prima possibile, ed ecco perché la scuola assume un ruolo essenziale. Così, tra lezioni alle più piccole, giornate di formazione, hackathon e tour per l’Italia, le Coding Girls imparano – e insegnano – a programmare, a realizzare piccoli videogiochi, scenari, app e ambientazioni, accrescendo la loro autostima e creatività, così come le loro competenze.

Non solo: “Imparano il dietro le quinte della tecnologia e se ne impadroniscono, evitando così di diventare meri consumatori e consumatrici inconsapevoli dei prodotti offerti a cascata dalle multinazionali, e partecipando a progetti che possono anche migliorare il mondo, come la creazione di app in grado di aiutare chi è svantaggiato”. Inoltre, come abbiamo visto per quanto riguarda le Olimpiadi di Robotica citate all’inizio, le STEM (o STEAM, dove la A sta ad indicare la componente artistica e creativa) possono essere un modo per abbattere le barriere e promuovere la cittadinanza globale, permettendo ai giovani di entrare in contatto con realtà diverse dalla propria e di collaborare ovunque si trovino. “Per lo stesso motivo, sono anche uno strumento per capire che è possibile fare la differenza anche restando dove si è – spiega ancora la vicepresidente di Coding Girls – Molte ragazze non si possono muovere per motivi economici, di salute, di famiglia, e qui la tecnologia ci viene incontro perché è molto democratica, ti permette di sentirti al pari di un cittadino che può muoversi con maggiore facilità e di partecipare a progetti anche molto ambiziosi, in cui la collocazione geografica è ininfluente. Senza contare che le risorse disponibili in rete e aperte a tutti sono moltissime”.

Concetti che spiegano il successo e la promozione di iniziative simili in ogni parte del mondo, anche in contesti molto diversi tra loro. La stessa gara di robotica di Washington ne è un esempio, con la partecipazione di team iraniani e iracheni, squadre dalla Birmania, dal Marocco, dall’Estonia, presente il Sud Sudan dilaniato dalla guerra civile, e perfino una squadra di giovani rifugiati e rifugiate siriani (il cosiddetto “Team Hope”).  Una sfida tra pari nel segno della tecnologia, della creatività e della costruzione di un futuro più equo e inclusivo per tutti, e in cui anche il nostro paese – grazie alle Coding Girls – sta facendo la sua parte.

Anna Toro

 

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