Nel 1932, Sigmund Freud ed Albert Einstein hanno condotto una corrispondenza pubblicata sotto il titolo “Perché la Guerra?” Vedi  ‘Perché la guerra: la poco nota corrispondenza di Einstein e Freud su violenza, pace, e natura dell’ essere umano’. Questo dialogo fra due figure così influenti del XX secolo simboleggia in vari modi lo sforzo compiuto da molti uomini per comprendere questo fenomeno misterioso e così incredibilmente dannoso dell’esperienza umana: l’istituzione della guerra.

In un articolo recente, il Professor Johan Galtung, fondatore della ricerca sulla pace, ha voluto ricordarci della riflessione lasciataci da Freud e Einstein a questo riguardo, riflettendo sul loro dialogo ed individuandone i limiti, come ad esempio il loro insuccesso a rintracciare ed elaborare le cause e tutte le componenti del conflitto. Vedi ‘Freud e Einstein sulla Pace’.

Ovviamente, Freud ed Einstein non sono stati i primi a porsi questa domanda. Il loro dialogo è stato preceduto da molti individui ed organizzazioni, come la Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà (Women’s International League for Peace and Freedom) e l’associazione pacifista War Resisters’ International, che hanno cercato di capire, prevenire e/o bloccare determinati conflitti, ma anche di comprendere e porre fine alla stessa istituzione della guerra, come esemplificato dal patto Kellogg-Briand del 1928 che bandisce la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Inoltre, visto l’insuccesso delle iniziative precedenti, molti individui ed organizzazioni dopo Freud e Einstein si sono impegnati a capire, prevenire e/o impedire i conflitti, e questi sforzi sono andati in diverse direzioni.

Uno dei più famosi tra questi è Mohandas K. Gandhi, che ha sviluppato e condiviso un modello di resistenza basato sulla nonviolenza chiamato satyagraha (aggrapparsi alla verità) per superare la violenza e lo sfruttamento su larga scala. Il suo concetto di nonviolenza è stato applicato con successo alla causa dell’indipendenza indiana contro il dominio coloniale degli inglesi. Pur essendo consapevole di dovere molto a chi fosse venuto prima di lui, Gandhi esaltava l’importanza di trovare nuovi mezzi per lo sviluppo futuro. “Se vogliamo il progresso non dobbiamo ripetere la storia, ma costruire una storia nuova. Dobbiamo aggiungere nuovi tasselli all’eredità che ci è stata lasciata dai nostri antenati.”

Il mio viaggio nella comprensione della violenza umana è iniziato con la morte dei miei due zii Bob e Tom durante la Seconda Guerra Mondiale, dieci anni prima della mia nascita. La mia infanzia, negli anni 50 e 60 è cosparsa di loro ricordi, come la partecipazione a cerimonie di commemorazione all’altare del ricordo, dove veniva esaltato il loro servizio militare. Vedi “My Brothers” sul sito web di mio padre.

Però, all’inizio del 1960, grazie agli articoli di giornale e alle foto, sono venuto a conoscenza dello sfruttamento e della fame in Africa ed in altre parti del mondo, e come tutti gli studenti universitari all’inizio del 1970, leggevo libri sulla distruzione dell’ambiente. Il problema non era solo la guerra; la violenza assumeva anche molte altre forme.

“Perché gli esseri umani sono violenti?” continuavo a chiedermi. Dato che pensavo che la risposta a questa domanda ci fosse, da qualche parte, continuavo a leggere, non solo Freud e Karl Marx, ma anche i lavori di molti altri studiosi, come Frantz Fanon, anarchici, femministe e tutti coloro che scrivessero da un’altra prospettiva, offrendo diverse spiegazioni, dirette, strutturali o altro.

All’inizio degli anni 80 avevo iniziato a leggere Gandhi e a comprendere la nonviolenza, nel modo in cui Gandhi l’aveva praticata e spiegata, con una profondità che sembrava superare gli attivisti che conoscevo e anche le opere degli studiosi che avevo letto.

Inoltre, iniziavo ad avere la sensazione che la mente umana non potesse essere compresa limitandosi a considerarla solo come un organo pensante, e che molta letteratura e molti professionisti della psicologia e specialmente della psichiatria non fossero riusciti a tenere conto della sua profondità emotiva e della sua complessità e delle implicazioni che tutto ciò avesse per i conflitti e la violenza. Per questi motivi mi fu chiaro che l’eredità di Freud era stata davvero compresa e sviluppata solo da pochi. Tutto ciò è accaduto perché il problema principale riguarda i sentimenti (e in relazione alla violenza la paura repressa e la rabbia in particolare). Vorrei spiegarne il motivo.

La violenza è qualcosa che normalmente si identifica come qualcosa di fisico: essa implica azioni come colpire, tirare pugni e utilizzare delle armi. Questo è un tipo di violenza, quello più spesso denunciato, che viene inflitto su popolazioni indigene, donne, e persone di colore, ad esempio.

Tuttavia Gandhi ha anche identificato lo sfruttamento come violenza e Galtung ha elaborato questo concetto con la sua nozione di “violenza strutturale”. Sono state identificati anche altri tipi di violenza, che assumono molte forme, come la violenza finanziaria, la violenza culturale, e la violenza ecologica. Però, la violenza può essere ancora più impercettibile e quindi molto meno visibile. Ho etichettato queste due forme di violenza come “violenza invisibile” e “violenza completamente invisibile”. È tragico, ma la violenza invisibile e la violenza completamente invisibile ci sono inflitte senza pietà dalla nascita e pertanto ne siamo tutti terrorizzati.

Cosa sono quindi la violenza invisibile e la violenza completamente invisibile?

Essenzialmente, la violenza invisibile è nelle piccole cose che facciamo ogni giorno, in parte perché siamo semplicemente “troppo occupati”. Ad esempio, quando non abbiamo tempo per ascoltare ed apprezzare i pensieri ed i sentimenti di un bambino, questo impara a non ascoltare sé stesso, distruggendo il suo sistema di comunicazione interna. Quando non lasciamo che un bambino dica ciò che vuole (oppure lo ignoriamo quando lo fa), egli sviluppa delle disfunzionalità nella comunicazione e nel comportamento perché cerca di soddisfare le proprie esigenze (è una strategia basilare di sopravvivenza, si è programmati geneticamente per farlo).

Quando incolpiamo, condanniamo, offendiamo, prendiamo in giro, imbarazziamo, rimproveriamo, umiliamo, scherniamo, provochiamo, facciamo sentire in colpa, inganniamo, mentiamo, corrompiamo, ricattiamo, facciamo del moralismo e/o giudichiamo un bambino, miniamo il suo senso  di autostima e gli insegniamo a incolpare, condannare, offendere, prendere in giro, imbarazzare, rimproverare, umiliare, schernire, provocare, far sentire in colpa, ingannare, mentire, corrompere, ricattare, fare del moralismo e/o giudicare.

Il risultato principale di questo bombardamento di violenza invisibile durante l’infanzia è che il bambino viene travolto completamente dalle emozioni di paura, dolore, rabbia e tristezza (tra molte altre). In ogni caso, anche i genitori, gli insegnanti, ed altri adulti si intromettono con le espressioni di queste emozioni e con le risposte comportamentali che sono naturalmente generate da queste, ed è questa violenza completamente invisibile che spiega come si verifichi la disfunzione comportamentale.

Per esempio, ignorare i bambini quando esprimono le loro emozioni, consolarli, rassicurarli o distrarli quando le esprimono, prenderli in giro o ridicolizzare le loro emozioni, terrorizzarli per non fargliele esprimere (per esempio urlando quando piangono o si arrabbiano), e/o controllare in modo violento un comportamento generato da queste emozioni  (per esempio picchiandoli, bloccandoli o rinchiudendoli dentro una stanza), fanno sì che il bambino non abbia altra scelta se non quella di reprimere inconsciamente la propria consapevolezza di queste emozioni.

Quando un bambino viene spaventato e reprime la propria consapevolezza delle emozioni (invece di essere libero di avere le proprie emozioni e di agire di conseguenza), egli ha anche inconsciamente represso la consapevolezza della realtà che ha provocato queste emozioni. Ciò provoca conseguenze catastrofiche per l’individuo, la società e la natura, perché egli ormai reprimerà facilmente la consapevolezza delle emozioni che hanno lo scopo di comunicargli come agire in ogni circostanza e acquisterà progressivamente una varietà di comportamenti disfunzionali, che potranno manifestarsi con la violenza verso sé stessi, verso gli altri, o verso l’ambiente.

Inoltre, questo danno emozionale (o psicologico) può portare ad una combinazione unica dei comportamenti violenti. Alcuni di questi individui finiranno a lavorare in uno di quei ruoli che specificatamente richiedono o “giustificano” l’uso della violenza, come la polizia, gli avvocati e i giudici ed anche i soldati dell’esercito. Altri agiranno al di fuori della “violenza legalizzata” e verranno etichettati come “criminali”.

Ma voi vi starete chiedendo qual è il nesso fra la guerra e l’infanzia.

La risposta è semplice: gli autori di violenze, e tutti quelli che collaborano con loro, “nascono” durante l’infanzia. E questi autori e collaboratori sono tutti estremamente spaventati, senza alcun potere e odiano sé stessi – per maggiori dettagli sulle caratteristiche psicologiche degli autori di violenza ed i loro collaboratori, vedi Perché la Guerra? e Fearless Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice – E continuano a svolgere tutte le funzioni essenziali per la creazione, il mantenimento, la preparazione, e la legittimazione delle istituzioni della guerra.

Se non fosse per la violenza a cui noi tutti siamo soggetti impietosamente durante l’infanzia, non vi sarebbe alcun interesse alla violenza o a qualsiasi forma di guerra. Se fossimo cresciuti senza violenza, saremmo ovviamente pacifici e collaborativi, e spenderemmo il nostro tempo cercando di sviluppare il nostro potenziale evolutivo e di promuovere gli altri e la nostra stessa vita, invece di entrare a far parte della macchina militare (o burocratica o aziendale) di qualcun altro.

Se questi argomenti ti toccano, ti invito a fare  ‘La mia promessa ai Bambini’.

Se ti interessa anche ridurre la violenza nel mondo, considera la possibilità di partecipare al ‘Progetto Flame Tree per Salvare la Vita su Terra’, sottoscrivendo l’impegno online ‘La Carta del Popolo per Creare un Mondo Nonviolento’ e visita questi due siti web su come impostare la tua campagna per la nonviolenza e contro la guerra: Nonviolent Campaign Strategy Nonviolent defense/liberation strategy.

Un bambino non nasce per fare la guerra, ma se gli infliggi abbastanza sofferenza e distruggi la sua capacità di diventare sé stesso, egli sarà terrorizzato e percepirà la violenza e la guerra come la società vuole che egli le percepisca. E così la guerra e la violenza prospereranno.

Se vogliamo fermare la guerra, dobbiamo innanzitutto fermare la guerra degli adulti contro i bambini.

 

Traduzione dall’inglese di Gentian Cane, revisione di Francesca Conte tramite Trommons