La rivoluzione è un lavoro politico. Si tratta di una realizzazione concreta. Lontano dalle mase che la fanno, nessuno può praticarla con validità ed efficacia. Il lavoro rivoluzionario non può essere isolato, individuale. Gli intellettuali veramente rivoluzionari non hanno altra scelta che accettare di essere parte di un’azione collettiva “.                                                            José Carlos Mariátegui

Ottantasette anni fa, il 16 aprile 1930, moriva, per una malattia che risaliva all’infanzia, a Lima José Carlos Mariátegui. Aveva 36 anni, era ancora giovane. Il suo pensiero e la sua azione sono ancora attuali, innanzitutto in Perù e in latinoamerica. Per Mariátegui il marxismo non era “né calco né copia”, ma applicazione creativa a una realtà specifica, nel suo caso il Perù. “Il Perù si trovava ad un’enorme distanza dall’Europa. Le barche europee, per approdare ai suoi porti, dovevano avventurarsi in un viaggio lunghissimo. Per la sua posizione geografica, il Perù risultava più vicino e più prossimo all’Oriente”; J. C.Mariátegui, Siete ensayos de interpretación de la realidad peruana (Lima) Biblioteca Amauta, 1986, in Obras completas, Vol. II, p. 19.

Hugo Chávez Frías a Caracas nel 2005 lo ricordò con queste parole:” José Carlos Mariátegui, peruviano è uno dei grandi ideologi del socialismo. Del socialismo originario dell’America latina… Sentiamo l’attualità e la validità…Incominciamo a conoscere sto immenso peruviano, rivoluzionario, ideologo, in questo compito di riscattare le nostre radici.”

Tra i padri fondatori del pensiero critico marxista in America latina, José Carlos Mariátegui è considerato tutt’oggi a Cuba, in Bolivia, in Venezuela, in Colombia e in tutta America Latina, un riferimento essenziale da cui partire per la costruzione di una prospettiva storica per il  socialismo del terzo millennio.

Un esempio, tra i tanti, importante dell’influenza del pensiero di Mariátegui.

Nella discussione sulla legge del valore e sulle categorie mercantili nella transizione al socialismo (1963-1964) con Charles Bettelheim e altri, Ernesto Che Guevara parlò dell’ideologia meccanicista e produttivista dei  sostenitori del calcolo economico, che erano per socialismo basato sul mercato. Questa disputa di ordine teorico ebbe il suo corrispettivo politico nella polemica sul carattere della rivoluzione che i paesi latinoamericani dovevano concretare. In sintesi, Guevara (“Mensaje a los pueblos del mundo a través de la Tricontinental”, in Obras, La Habana, Casa de las Américas, 1970, tomo II, p. 589), riassunse la sua prospettiva riprendendo puntualmente l’analisi mariateguiana: “D’altra parte le borghesie autoctone hanno perso tutta la loro capacità di opposizione all’imperialismo – se mai qualche volta l’ebbero – e formano solo il suo carro di coda. Non ci sono più cambiamenti da fare: o rivoluzione socialista o caricatura della rivoluzione”. Questa affermazione di Guevara è in armonia con la seguente di Mariátegui: “La rivoluzione, latinoamericana, sarà nient’altro e niente meno che una tappa, una fase, della rivoluzione mondiale. Sarà, semplicemente e puramente, la rivoluzione socialista. A questa parola aggiungete, secondo i casi, tutti gli aggettivi che volete: «antimperialista», «agrarista», «nazionalista-rivoluzionaria». Il socialismo li suppone, li precede, il fonde tutti”. In “Aniversario y balance” (editoriale), in Amauta, II, 17, Lima, settembre 1928.

L’ Amauta,dal quechua amawt’a, maestro,saggio come Mariátegui è chiamato e ricordato, non è ancora molto conosciuto in Europa, nonostante qui maturò politicamente durante il suo soggiorno tra il 1919 e il 1923.  ATorino durante il biennio rosso  fu spettatore dell’occupazione delle fabbriche, conobbe da vicino “L’Ordine Nuovo” e il programma con cui Gramsci voleva rinnovare  Partito Socialista e criticava il riformismo e la passività della burocrazia del partito e del sindacato. Come corrispondente del giornale peruviano  El Tiempo,  Mariátegui partecipò anche, nel gennaio del 1921, al Congresso di Livorno, dove Gramsci e gli altri componenti della frazione comunista del Partito Socialista costituirono il Partito Comunista d’Italia. In Italia, poi, si sposò con Anna Chiappe.

Ritornato in Perù Mariátegui  sottolineò la differenza tra la situazione in Europa e le necessità specifiche del Perù. Secondo la sua analisi, nei paesi europei i  la classe operaia può sviluppare il socialismo, mentre in America Latina i partiti rivoluzionari non possono prescindere dai contadini e dai lavoratori indigeni. Il suo pensiero ebbe una relazione col pensiero critico di Antonio Gramsci. Il nesso tra il sistema di idee dei due dirigenti marxisti è sempre stato oggetto di attenzioni da parte degli studiosi di entrambi gli autori, tanto da “costare” al peruviano il noto appellativo di Gramsci amerindio.Senza dubbio, esistono straordinarie coincidenze nel pensiero di questi dirigenti rivoluzionari. E anche a questo si deve un certo parallelismo nel destino posteriore delle loro idee, poiché la validità teorica e rivoluzionaria delle loro concezioni fu messa in discussione dal marxismo “ufficiale”.Come quello del peruviano, il pensiero gramsciano si distanziava, da una parte, da una visione “positivista” tipica del marxismo della Seconda Internazionale, mentre dall’altra, respingeva ogni interpretazione dogmatica della teoria rivoluzionaria presente nel marxismo sovietico dopo la morte di Lenin. Per Gramsci il marxismo non era un ricettario di soluzioni date tutte insieme e per sempre. Anche per Mariátegui.

Il lInk con Siete ensayos de interpretación de la realidad peruana, l’opera forse più importante di Mariátegui, è il seguente:

http://resistir.info/livros/mariategui_7_ensayos.pdf

Questo lavoro riunisce testi differenti. Il primo è sulla evoluzione economica del Perú dal periodo coloniale. Il secondo, il più importante, sul problema dell’indio; nessuno prima di lui aveva compreso che senza integrazione dll’indio e la fine della sua schiavitù e sfruttamento non ci sarebbe stato futuro per il Perú. E’ importante sottolineare come l’analisi mariateguiana nulla ha a che vedere con i sostenitori delle specificità delle lotte indigene, che sembrano oggi aver ripreso fiato con un certo tipo di appoggio al neo-zapatismo messicano. Al contrario, egli polemizzava ferocemente contro le correnti democratiche indigeniste legando, tramite la questione irrisolta della terra, la “questione indigena” alla contraddizione di classe principale. Nessuna lotta di liberazione nazionale o rivoluzione democratica avrebbe risolto la contraddizione degli indios peruviani o boliviani, ma solo una rivoluzione socialista. Il terzo saggio sul problema della terra. Il quarto sull’istruzione pubblica. Il quinto sulla religione.Il sesto su regionalità e centralismo. Il settimo sulla letteratura.