La Multimage ha da poco pubblicato (in collaborazione con Trascend University Press) la seconda edizione del libro di Alberto l’Abate Metodi di analisi nelle scienze sociali e ricerca per la pace: una introduzione.

Il volume è il  primo manuale di insegnamento di Metodologia di Ricerca per la Pace dopo l’introduzione di questi studi nelle Università italiane. Il manuale, nell’edizione inglese, è utilizzato anche dall’ ”Università Transcend per la Teoria e la Pratica della Pace” di Galtung, per allievi di tutto il mondo.

Questa nuova edizione si è avvalsa della revisione di Mauro Pellegrino ed ha una nuova introduzione che qui sotto riproduciamo.

Per volontà dell’Autore e dell’Editore il libro, anche per tutto il mese di aprile viene venduto con uno sconto del 30%: si può ordinare alla mail info@multimage.org precisando le copie e dove lo si vuol ricevere (spedizione a carico dell’editore).


Sull’insegnamento di Metodologia della Ricerca per la Pace a livello universitario in Italia

 

Premessa alla seconda edizione

 

Verso la fine del secolo precedente un gruppo di professori universitari di discipline diverse, ma tutti attivi in Organizzazioni Non Governative Italiane che si occupavano di conflitti e di pace, ebbero un incontro, a Roma, con alcuni dirigenti del CUN (Comitato Nazionale Universitario), per proporre l’introduzione, nei curriculum universitari, anche dello studio di questa tematica, come  avveniva in vari  paesi del mondo. Tra i docenti presenti all’incontro il compianto Giovanni Salio, fisico, già docente all’Università di Torino, poi dedicatosi a organizzare uno dei centri italiani più attrezzati e efficienti nella ricerca e nella formazione su queste tematiche, e cioè il “Centro Studi Sereno Regis” di Torino; il Prof. Antonino Drago, fisico, già docente all’Università di Napoli, e fondatore, nel 1931, insieme a Borrelli (il prete degli scugnizzi di Napoli poi dedicatosi all’approfondimento della formazione alla nonviolenza), dell’Istituto Italiano di Ricerche per la Pace che, per anni, in collaborazione con l’Associazione internazionale, di cui era sezione, che portava avanti queste ricerche a livello mondiale (IPRI), ha organizzato convegni e ricerche molto importanti soprattutto sulle forme di Difesa Popolare Nonviolenta; il prof. Mazzariti, storico, docente all’Università di Roma, uno dei fondatori e dirigenti della Comunità di Sant’Egidio che si era distinta, tra l’altro, per avere facilitato accordi di pace sia in Africa (Algeria, Madagascar), sia nei Balcani (Kossovo); il prof. Umberto Allegretti, giurista, dell’Università di Firenze, molto attivo come dirigente di attività culturali e di formazione alla Casa per la Pace di Pax Christi, all’Impruneta, il prof. Giorgio Gallo, che insegnava informatica per la pace al’Università di Pisa,  ed il sottoscritto Alberto L’Abate, del Movimento Nonviolento Italiano, sociologo, docente all’Università di Firenze ed partecipante attivo della “Campagna per una Soluzione Nonviolenta del problema del Kossovo” il quale, per questa organizzazione, (cui aderivano 12 ONG italiane) aveva portato avanti importanti attività di formazione di formatori al dialogo interetnico ed alla riconciliazione nel Kossovo del dopoguerra. Su richiesta dei dirigenti del CUN di proporre il modo con il quale introdurre questi studi nei curriculum universitari, la proposta di questi docenti è stata quella di modificare la classe 35 allora solo di “Cooperazione allo sviluppo” in “Cooperazione allo sviluppo ed alla pace”, cosa che è avvenuta ed ha permesso a molte università italiane di aprire corsi su queste tematiche. La classe 35 si è poi modificata nella classe L37 che si definisce così “classe delle lauree in scienze sociali per la cooperazione, lo sviluppo e la pace”. Nel 2016 le lauree di primo livello in Italia che, all’interno di questa classe, si occupavano, esplicitamente, di : “pace”, o di “gestione, mediazione e trasformazione dei conflitti”, o di “cooperazione internazionale”, erano 11, ed esattamente, quelle di Roma (La Sapienza), Macerata, Parma, Messina, Bari, Torino, Pisa, Bologna, Napoli, Firenze, Palermo.

Ma se si va a vedere i loro programmi l’insegnamento della materia “Metodologia della Ricerca per la Pace” risulta inesistente. Ci sono insegnamenti di statistica, di metodologia della ricerca, spesso divisa tra insegnamenti che privilegiano i metodi quantitativi, ed altri quelli qualitativi, ma un insegnamento che superi questa divisione e cerchi di elaborare un metodologia che studi, sia quantitativamente sia qualitativamente, i problemi della nascita dei conflitti e delle guerre, e sui metodi per superarli, sembra non essere presente. Unica eccezione, almeno per un certo tempo, nel quale il sottoscritto è stato incaricato di questo insegnamento, l’Università di Firenze. In questa l’insegnamento di “Metodologia della Ricerca per la Pace” faceva parte del curriculum ufficiale del corso biennale, successivo al triennio, definito “Metodi e tecniche della ricerca sociale”, ma accettato anche come crediti nella materia “Sociologia dei conflitti e ricerca per la pace” nel corso triennale precedente. Ma questo insegnamento aveva avuto anche degli importanti precedenti nell’insegnamento, per vari anni, prima della nascita di questi corsi, da parte dello stesso docente, di “Metodologia della Ricerca Sociale” prima all’Università di Ferrara, poi in quella di Firenze. A Ferrara, in particolare, con la collaborazione di una collega pedagogista, Gabriella Rossetti, e del “Comitato locale per la Pace”, era stata impostata e portata avanti una ricerca per capire come sarebbe stato meglio portare avanti attività di educazione alla pace nelle scuole, e sulla base dei risultati di questa ricerca, prima a Ferrara poi, dopo il trasferimento a Firenze, in questa ultima università, ogni anno dal sottoscritto veniva portato avanti un seminario di ricerca che sperimentava con gli studenti di scuole di vario ordine e grado i vari metodi di ricerca, utilizzando la tecnica della ricerca-intervento. I primi risultati di queste ricerche sono riportati nel libro, curato dal sottoscritto: “Giovani e Pace. Ricerche e formazione per un futuro meno violento”, Gaia Editrice, Torino, 2001. Ma in seguito questa documentazione, con i risultati anche di ricerche successive, sono stati introdotti nel manuale di metodologia della ricerca sociale utilizzato, come dispensa, dagli studenti dell’università di Firenze, dando vita, infine, con l’incarico del sottoscritto di insegnamento di “Metodologia di Ricerca per la Pace” all’Università Internazionale, on line, Transcend, per la Teoria e la Pratica della Pace, (diretta dal premio Nobel Alternativo per la Pace, Johan Galtung),  in questo volume. Questo è stato stampato,  prima in inglese (2012) e, l’anno dopo, in italiano, col titolo di “Metodi di analisi nelle scienze sociali e ricerca per la pace: una introduzione”, con una presentazione dello stesso Galtung. Il libro è pubblicato dalla stessa università di Galtung, (Transcend University Press), con una sua prefazione, ed in Italia è stato co-edito da una casa editrice fiorentina “Multimage”, l’editrice dei diritti umani. La prima edizione, pubblicata in non molte copie, è esaurita, e questa è la seconda edizione, completamente rivista dal prezioso contributo di Mauro Pellegrino. L’approccio del sottoscritto, che è alla base di questo libro, è  molto diverso  da quello dei normali testi di metodologia della ricerca in uso nel nostro, ed anche in altri paesi, in quanto cerca di rompere tutti gli steccati che vengono generalmente messi nella maggior parte di questi altri testi: ad esempio tra “consenso” e “conflitto”, tra “quantità” e “qualità”, tra “spiegazione” e “comprensione”, tra “tutto” e “parte”, ed infine anche su approcci che si focalizzano solo sulle “strutture sociali” ed altri che tengono conto anche degli “individui” che vivono ed operano all’interno di queste strutture. E questo attraverso il metodo dialettico della ricerca della tesi, della antitesi e della sintesi. Che l’autore sia riuscito o meno in questo sforzo, ed in questa ricerca, che Galtung ha trovato molto valida, è un dubbio che il sottoscritto non ha del tutto fugato, e che si augura che i lettori del libro lo aiutino a chiarire e superare. L’autore ritiene che questo libro  potrebbe essere molto utile per l’insegnamento di questa materia all’interno dei corsi prima citati, ed anche in altri, di secondo livello, che sono la prosecuzione di questi triennali. E’ infatti importante che gli studenti che seguono questi corsi, e si laureano come operatori di pace (e non di guerra come i militari), sappiano che la pace e la guerra non sono solo dei fatti che avvengono per ragioni spesso non chiare (sempre diverse a seconda dei vari contendenti), ma sono anche dei processi che nascono molto prima e che, se si ricercano seriamente le vere cause, e si interviene al momento giusto (prima che la violenza sia esplosa) possono essere aiutati ad andare nel senso voluto, e cioè verso la pace, e non verso la guerra. Ma questo non vuol dire che, se non si interviene prima,  la violenza non può essere risolta, ma solo che la sua risoluzione e la sua trasformazione (come ci insegna Galtung), è sicuramente più difficile quando la violenza e la guerra  si sono  già sviluppate ed i morti e le distruzioni di beni essenziali per la vita dei contendenti sono elevati, ed hanno aumentato notevolmente gli odi reciproci, ma solo che oltre alla capacità di prevenzione, gli studenti di questi corsi hanno la necessità di imparare anche altre competenze, come quelle della mediazione, della negoziazione, della riconciliazione, tutte capacità comunque che richiedono alla base una buona conoscenza dei metodi di ricerca, e di quella che è stata chiamata, in questo stesso libro, “l’incertezza creativa” come base della ricerca stessa. Mi auguro che questo libro possa risultare effettivamente utile sia per i docenti di metodologia della ricerca che dei loro allievi dei corsi di laurea prima citati, ed anche di altri che affrontino seriamente questo tema

 

Firenze 22 gennaio 2017                                      Alberto L’Abate