Di Asa Winstanley per Middle East Monitor

E’ stata la storia dell’estate, anche se mancano ancora tre settimane alle primarie del Partito Laburista. Quelle che all’inizio sembravano le elezioni interne più noiose mai tenute sono diventate eccitanti con la candidatura, in giugno, del deputato di sinistra Jeremy Corbyn.

Liquidato all’inizio come l’outsider di rango a cui si permette di partecipare alla gara per dare un contentino agli attivisti di base più a sinistra, la campagna di Corbyn ha preso presto un grande slancio. E’ diventato un vero fenomeno: riempie le sale di tutto il paese, è in testa ai sondaggi e il mese prossimo potrebbe diventare il leader dell’opposizione.

Nessuno, (neanch’io) lo prevedeva, ma ora che sta succedendo non è poi così difficile capirne le ragioni. Corbyn ha animato molte campagne, soprattutto a sostegno della causa palestinese e contro la guerra, sostiene la campagna di solidarietà con la Palestina ed è presidente della Stop the War Coalition. Per decenni è stato un outsider e un ribelle nel suo partito, opponendosi più di cinquecento volte alle direttive laburiste.

Non ha mai fatto parte di un governo ombra (a differenza dei suoi tre rivali alle primarie) e tanto meno è stato ministro, mentre sia Any Burnham che Yvette Cooper sono stati membri del governo di Gordon Brown, eppure sembra che sia proprio questo suo ruolo a farlo apprezzare a tanti attivisti di base del Partito Laburista. Questo vale sia per chi ne fa parte da molto tempo, che per le ondate di nuove leve che di recente si sono iscritte al partito come membri effettivi o sostenitori, pagando 3 sterline per votare alle primarie.

E’ ormai chiaro che Corbyn sta cavalcando un’ondata di appoggio popolare: molta gente è stufa marcia di anni di ortodossie neo-liberiste e guerrafondaie. Resta da vedere se questo slancio riuscirà a continuare fino alle lontane elezioni politiche del 2020 e a coinvolgere un elettorato più ampio. Che ottenga o no la leadership del partito il 12 settembre, è comunque sicuro che le cose sono cambiate per il meglio. Corbyn è già riuscito a cambiare la “narrazione”.

Burnham ha cercato di imitare una delle proposte più popolari di Corbyn, ossia la ri-nazionalizzazione delle ferrovie; il suo piano però è più timido di quello, molto più completo, di Corbyn, ma questo tentativo di scimmiottamento mostra l’effetto che il rappresentante di Islington North ha già sul Partito Laburista.

Il partito si sta spostando a sinistra. Questo succede a livello di base, grazie all’imponente rivolta democratica di gente che non ne può più di vent’anni di ortodossia alla Blair e succede nonostante la resistenza dei “grandi” del partito come Tony Blair, Gordon Brown, David Milliband, Neil Kinnock e ora Betty Boothroyd, che hanno tutti criticato Corbyn definendolo un avanzo del passato.

In realtà sono questi estremisti di destra ad appartenere al passato. Sono troppo arroganti per riconoscere che il mondo è cambiato in modo irrevocabile dal 1994, quando Blair ha iniziato a impossessarsi del Partito Laburista. E’ ironico che i media del sistema continuino a definire dei “modernizzatori” personaggi superati come Blair, David Milliband e Liz Kendall (la candidata alle primarie considerata più vicina a Blair).

Il termine “modernizzazione” è sempre stato un eufemismo per spostare a destra il partito e abbandonare I suoi principi socialisti, ma ormai questo non funziona più neanche per i membri del partito che si sono lasciati ingannare da questa narrazione. Nessuno degli altri tre candidati è riuscito a presentare un’immagine coerente e neanche delle proposte concrete.

La campagna di Corbyn, invece, ha spiegato in modo regolare e dettagliato quello che farebbe all’opposizione o al governo, presentandolo sempre in termini di “proposte”, un segnale indicativo di un sincero impegno per l’inclusione e la democrazia.

I suoi decenni di attivismo contro l’ingiustizia e la guerra gli hanno permesso di ottenere l’appoggio di chi ha partecipato a tutte queste campagne. Corbyn non ha avuto bisogno di presentazioni: sappiamo che è un uomo di integrità e principi. E soprattutto i suoi principi riflettono i nostri.

Per noi membri della comunità di solidarietà con la Palestina questo significa aspettarsi che mantenga la sua parola, se diventerà leader dell’opposizione. Non sto dicendo che la rinnegherà: so che è una persona sincera e che tiene alla causa palestinese e alla lotta contro l’ingiusta occupazione israeliana, ma Corbyn dovrà affrontare un’accanita resistenza nei confronti dei cambiamenti che vuole introdurre prima nel Partito Laburista e poi (incrociamo le dita) nel paese. Lo stiamo già vedendo con la campagna di calunnie lanciata dai mass-media nei suoi riguardi, arrivando a definirlo un anti-semita.

L’esperienza del referendum scozzese e la battaglia del popolo greco con l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale sul debito mostrano che i sistemi di potere ormai consolidati fanno tutto il possibile per resistere al cambiamento radicale di cui c’è bisogno.

Tocca a noi come movimento di solidarietà con la Palestina (e a tutti gli altri movimenti che si occupano di temi distinti ma collegati tra loro) contrastare con forza questi poteri.

Per il momento, se Corbyn vincerà le primarie, avremo la promessa di un alleato nei livelli alti del potere. L’esperienza dei movimenti democratici sudamericani degli ultimi vent’anni comunque offre una chiara lezione: mandare il proprio leader al potere è solo l’inizio. I veri cambiamenti devono venire dal basso.

 

Redattore associato di Electronic Intifada, Asa Winstanley è un giornalista investigativo e vive a Londra

Traduzione dall’inglese di Anna Polo