“Abbiamo preso le armi e ci rivoltiamo in modo che Djotodia e i suoi combattenti se ne vadano via che il paese possa vivere nella pace”: per la prima volta in settimane di confronto armato è uscito dal silenzio Richard Bejouane, a capo delle milizie di autodifesa “Anti-Balaka”, costituite da ex membri delle forze armate centrafricane, da semplici contadini e abitanti dei villaggi stanchi dei soprusi dei ribelli dell’ex coalizione Seleka, autrice del colpo di stato dello scorso marzo. In dichiarazioni rilasciate a fonti di stampa internazionale sia dal capo milizia che da Alfred Rombhot, ex ufficiale delle forze armate centrafricane (Faca), emerge l’esistenza di un “fronte comune di opposizione armata” al presidente di transizione. “Miliziani cristiani e ex membri delle Faca hanno unito le proprie forze e lavorano insieme” ha detto Rombhot, aggiungendo che circa 2000 uomini sono pronti a “combattere contro gli uomini di Djotodia, utilizzando tutti quegli strumenti a disposizione, dai machete alle frecce avvelenate”.

I proclami del ‘fronte anti-Djotodia’ sono stati resi noti dopo che il capo dello Stato ha dato la sua disponibilità a “dialogare con gli Anti-Balaka (…) che non sono nemici ma i nostri fratelli”, ma anche a “tendere la mano a tutti quelli che hanno sete di giustizia e pace”. Djotodia, ex capo militare della Seleka, è il primo presidente musulmano in un paese a stragrande maggioranza cristiana. Secondo il capo dello Stato, gli Anti-Balaka, che rivendicano una maggior rappresentanza nel governo dell’etnia Gbaya (quella dell’ex presidente François Bozizé, originario dell’ovest, ndr), sarebbero pronti ad avviare un negoziato in cambio di “garanzie sulla loro sicurezza” e di “un’amnistia”.

In un contesto di confusione generalizzata sia sul piano militare che politico, il presidente ha destituito tre ministri “che non sono reperibili e non governavano più” e ha deciso di “congelare” fino a data da destinarsi i conti bancari e le transazioni finanziarie dello Stato centrafricano. I ministri destituiti sono Josué Binoua, della Sicurezza e dell’Ordine pubblico, quello delle Finanze e del Bilancio Christophe Bremaidou e dell’Allevamento, Joseph Bendounga. A lasciare l’incarico è anche il direttore generale del Tesoro (che gestisce le casse dello Stato), Nicolas Geoffroy Gourna Douath.

A Bangui, dove il contrasto armato tra le due parti rivali è dilaniato in violenze su vasta scala tra le due principali comunità ai danni dei civili, la situazione rimane tesa ed incerta. In base all’ultimo bilancio Onu, l’ultima ondata di violenza cominciata lo scorso 5 dicembre ha causato almeno 450 morti e 160.000 sfollati nella sola capitale oltre a 160 altre vittime in altre regioni del Centrafrica. “Ogni giorno altri corpi vengono ritrovati nei quartieri e nelle foreste. Giovedì scorso 27 musulmani sono rimasti uccisi a Bohong, un villaggio della regione di Bouar (ovest), in un attacco di milizie cristiane” ha confermato l’Alto commissario Onu per i diritti umani. La spirale di violenze, tensioni e rappresaglie ha causato una grave crisi umanitaria a Bangui, dove le decine di migliaia di sfollati sono accampati in condizioni igienico-sanitarie precarie e necessitano di aiuti urgenti. Ieri l’arcivescovo della capitale, monsignor Dieudonné Nzapalainga, ha consegnato aiuti agli sfollati del campo del Monte Carmel e nella sua omelia alla chiesa Saint Charles ha chiesto ai cristiani di “dare prova di tolleranza”, di “non vendicarsi e non uccidere”, seguendo l’esempio di Mandela “uomo di pace e di riconciliazione”.

Sul fronte diplomatico sono invece arrivate accuse dalla Comunità economica dei paesi dell’Africa centrale (Ceeac) che ritiene l’ex presidente Bozizé “responsabile” della crisi in atto a Bangui, auspicando che venga processato dalla Corte penale internazionale (Cpi). In Camerun, confinante con il Centrafrica, le autorità di Yaoundé hanno deciso di far rimpatriare tutti i concittadini residenti nel paese vicino alla luce della “totale incertezza dei prossimi giorni”. La Francia, che ha dispiegato 1600 soldati nell’ambito dell’operazione Sangaris, ha annunciato che al Consiglio europeo del 19 dicembre chiederà la creazione di un apposito fondo per “il finanziamento urgente” della risposta alla crisi in Centrafrica. Un appello a “non lasciare che le voci dell’odio alimentino divisioni che prima non esistevano” è stato lanciato dal segretario generale Onu, Ban Ki-moon.