bea johnson
Sprecare fa parte dello stile di vita di chi vive nella società moderna industrializzata. Sprechi alimentari, sprechi di consumi energetici, sprechi di materie prime, sprechi di risorse naturali sono il frutto di comportamenti e modi di vivere ormai talmente consolidati, specialmente nel mondo occidentale sviluppato, che diviene quasi impossibile pensare e credere che si possa agire e vivere diversamente.

Ma di fronte ai dati sugli sprechi, soprattutto quelli recentissimi sugli sprechi alimentari e in un contesto di crisi planetaria senza precedenti, quale quella attuale, occorre seriamente chiedersi come potere contribuire individualmente, senza demandare ad altri, nell’ideazione e nella costruzione di nuovi stili di vita collettivi più consapevoli, più coscienziosi, meno onerosi e meno dannosi per la nostra esistenza e per la salute del pianeta.

Occorre educare e sensibilizzare il cittadino-consumatore ad una differente maniera di stare e convivere nella società ma sembra altresì necessario mediatizzare maggiormente le numerose esperienze positive già esistenti che possono nel concreto divenire modello e speranza ai fine di tracciare un solco-separatore tra il falso benessere di cui ci siamo decorati e un reale ben vivere sociale.

Ma lo spreco zero è realistico? Probabilmente neppure i più fervidi sostenitori della decrescita felice, quelli del ricorso al riuso, al riciclo e alla riduzione dei consumi credono in una società a “spreco zero”. Si tratta effettivamente di un obiettivo, di un target difficilmente raggiungibile per grandi collettività, forse un’utopia nell’epoca moderna, per lo meno nel mondo cosiddetto civilizzato. Se su larga scala lo spreco zero sembra un obiettivo chimerico, a livello individuale esistono delle eccezioni sorprendenti che lasciano speranza e segnano un cammino.

Così proprio dalla società che ha la nomea di essere consumistica per eccellenza, quella statunitense, arriva l’affascinante storia di Bea Johnson.

Bea, giovane francese trapiantata negli States, ha deciso di adottare lo stile di vita “spreco zero” e così che la sua famiglia con due bambini riesce a produrre solamente un chilo di spazzatura all’anno mentre in media una famiglia americana ne produce circa 450 chili.

Bea, eco-blogger e autrice del libro Zero Waste Home, è prodiga di consigli ed entusiasta per quello stile di vita che conduce da ormai oltre un lustro e che trova i suoi pilastri e motori in primis nel rifiuto (delle cose inutili) e poi nel ridurre, nel riuso e nel riclico.

 

Spinta inizialmente dalla causa ambientalista, Bea ha pian pianino apprezzato i vantaggi che offre lo “Zero Waste Lifestyle” e che principalmente scaturiscono dalla semplicità e dalla qualità di quel modo di vivere. Come sostenuto in una recente intervista, quella scelta di vita si traduce nel beneficiare di grande disponibilità di tempo libero per lei e per tutta la famiglia ma anche, cosa non meno importante, nel rilevante risparmio finanziario legato alla riduzione dei consumi e a quelle best practice quotidiane che permettono inutili spese e evitano aggravi di uscite monetarie.

La famiglia Johnson conserva il cibo in barattoli di vetro, utilizza buste in tessuto per fare la spesa, rifiuta il packaging per quei prodotti inevitabili che acquista nei negozi, auto-produce prodotti di cosmesi e d’igiene, vive del necessario chiedendosi e valutando giornalmente cosa sia realmente e strettamente utile da ciò che è puramente voglia. Inevitabilmente lo stile di vita dei Johnson ha un impatto su quello del vicinato, degli amici, dei compagni di scuola dei figli, dei negozianti che vengono “educati” ad accettare lo stile di shopping di Bea e famiglia.

Uno stile di vita, per molti estremo, ma realizzabile, al quale è comunque possibile tendere che modifica i nostri limiti intellettuali, culturali e visivi, quelli di animali da consumo, consentendo di porci in un’altra prospettiva, quella di cittadini consapevoli, attivi e partecipi di differenti modi di intendere il nostro esistere.

Chissà se coniugare l’estremismo del nostro modus vivendi con quello, almeno apparente, dello “spreco zero” non possa infine permettere di fondere positivamente l’idea di economia moderna sviluppatasi nei secoli e che ci ha reso esclusivamente consumatori, con quella dell’ecologia e del rispetto a 360° che, forse, racchiude in se il concetto di vera qualità del vivere nell’era moderna.

di Dario Lo Scalzo