Da pochi giorni nell’ultraconservatrice Arabia Saudita le donne possono finalmente utilizzare le biciclette, ma si tratta di un diritto (o, piuttosto, di una “concessione” fatta dal sovrano Abdullah) con forti restrizioni.

La «Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio», organismo che controlla nel Paese il rispetto delle regole religiose così come concepite nella rigorosa interpretazione wahhabita dell’islam (e da cui dipende una vera e propria squadra di polizia, conosciuta come mutawwiʿa), ha deliberato agli inizi di aprile l’autorizzazione per le donne a pedalare, purché lo facciano esclusivamente a fini «ricreativi» (quindi, ad esempio, non per fare compere o semplicemente spostarsi) nei parchi e nelle aree di svago; purché non viaggino comunque da sole, ma sempre accompagnate dal marito o da un parente di sesso maschile; e purché indossino l’abaya, la locale veste lunga che le copre interamente. Altra forte raccomandazione è quella di non passeggiare sulle due ruote in luoghi «a forte affluenza di passanti maschi».

Una conquista, sì, ma solo parziale. Il sogno incarnato dalla giovanissima Wajda nella pellicola La bicicletta verde, la prima diretta da una regista saudita e pluripremiata a livello internazionale, non potrà realizzarsi completamente, ma solo in una piccola dose. Si tratta comunque di una piccola conquista di libertà in un Paese dove la questione femminile è tra i punti più problematici. L’incrocio tra una potente dinastia (gli Al-Sa’ud) e un’interpretazione dei testi islamici molto rigorosa e tradizionalista (spesso ai limiti del fanatismo e ritenuta lontana dal vero significato islamico anche da alcuni tra gli stessi musulmani), che è alla base del Regno costituito nel 1932, costringe la donna ad una posizione di inferiorità e di stretto controllo sociale e legale, come e più di un minore.

La castità, il pudore e il controllo in pubblico della sessualità, tra i princìpi cari in generale alla religione islamica, sono in questo contesto totalmente a carico della donna e del suo corpo, che devono incartare la tanto agognata virtù. E che, per farlo, sono oggetto di numerosi divieti, tra i quali, ad esempio, quello di guidare l’automobile: ha colpito tutto il mondo nel 2011 la protesta denominata Women2Drive che chiedeva proprio il superamento di quest’interdizione. Altri diritti negati alla donna sono, ad esempio, quello di avere un posto di lavoro o chiedere in prestito del denaro senza il consenso del «tutore» che si occupa di loro, che tra l’altro viene debitamente allertato ogni qualvolta la sua “controllata” oltrepassi i confini del Paese. Il rischio, secondo le autorità, è sempre lo stesso: la perdita della verginità al di fuori del contratto matrimoniale, ritenuta molto più probabile se la donna ha in generale contatti con altri uomini non permessi dal marito o dagli uomini della famiglia.

Negli ultimi tempi, tuttavia, si sono fatti alcuni passi avanti, probabilmente grazie alla volontà del sovrano Abdullah bin Abdulaziz al-Sa’ud di attenuare la sua rigidità con provvedimenti di stampo riformatore: le donne potranno votare ed essere votate dal 2015 nelle elezioni municipali (le uniche che si tengono nel Regno saudita) e far parte del consiglio consultivo (Majlis al-Shura); inoltre due atlete saudite hanno potuto partecipare ai Giochi Olimpici di Londra 2012.

La situazione resta tuttavia ancora grave, e al di fuori di ogni culturalismo o mentalità neocolonialista, va sottolineata la grande responsabilità anche delle potenze occidentali nella discriminazione di genere presente in Arabia Saudita. Essendo lo Stato della penisola araba uno dei principali e più fedeli alleati degli Stati Uniti (e di conseguenza dell’Unione Europea e dell’Occidente tutto), si chiude un occhio sulle violazioni dei diritti umani al suo interno pur di soddisfare gli interessi geopolitici e geostrategici. La classica doppia morale, per la quale in alcuni Paesi le violazioni non vengono tollerate (anzi, vanno combattute e pure con la forza delle armi), mentre in altre possono tranquillamente esistere e diffondersi.