Secondo gli attivisti, questo è a dimostrazione del fatto che il trattato per l’abolizione delle armi nucleari deve essere portato avanti senza di loro. 

La Gran Bretagna ha dichiarato che non parteciperà alla conferenza internazionale sulle conseguenze a livello umanitario dell’uso di armi nucleari, che si terrà a Oslo la settimana prossima. Il meeting prenderà in esame gli impatti, sia immediati che futuri, delle armi nucleari, e le capacità internazionale di fronteggiare tali incidenti. La decisione della Gran Bretagna di allinearsi con gli altri P5 [Permanent five, cioè i cinque paesi membri permanenti dell’ONU], rifiutando di partecipare al dibattito su tali effetti comprovati ne dimostra il disprezzo nei confronti degli interessi e delle preoccupazioni della comunità internazionale tutta.

Ad oggi, sono 128 le nazioni che si sono registrate alla conferenza. Tra di esse, la maggior parte del paesi dell’UE e della NATO. Partecipano i maggiori esperti scientifici i, comprese personalità provenienti da istituzioni britanniche di importanza chiave come Chatham House e la London School of Hygiene and Tropical Medicine.

Durante la Conferenza di revisione del 2010 , tutti i paesi aderenti al TNP (Trattato di Non Proliferazione) avevano mostrato preoccupazione per le conseguenze catastrofiche, sul piano umanitario, dell’utilizzo di armi nucleari. Ma ora il Regno Unito e gli altri P5 sembrano dire che non intendono nemmeno parlare di queste conseguenze.

In preparazione della conferenza, alcuni appartenenti alla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari) del Regno Unito hanno reso noto una serie di studi sugli effetti dell’utilizzo di armi nucleari da parte del Regno Unito o sul suo territorio, o di un incidente in uno stabilimento di produzione di queste armi su territorio britannico. Questi studi sono stati presentati in parlamento, ottenendo in risposta un assordante silenzio da parte del governo, che non ha prodotto alcun tipo di elemento riguardante le implicazioni umanitarie di questi scenari. Uno di questi studi mostrava che, se fosse sganciata una testata nucleare da 100kT sopra Manchester, 81.000 persone rimarrebbero uccise e altre 212.000 ferite nel giro di un minuto.

Il rifiuto della Gran Bretagna di prendere in esame le conseguenze sul piano umanitario delle armi nucleari è molto preoccupante, ma non sorprende, e rafforza la nostra convinzione che le nazioni veramente intenzionate all’eliminazione delle armi nucleari devono cominciare ora i negoziati per un trattato che le metta al bando ,” ha dichiarato Thomas Nash, direttore di Article 36 . “Un trattato per la messa al bando deve andare avanti con o senza la partecipazione delle nazioni che posseggono armamenti nucleari. La storia dimostra che la messa al bando di un’arma precede (e può aiutare a incoraggiare) la sua eliminazione, non sarà diverso per quelle nucleari..”

Il nuovo rapporto di Article 36 “Mettere al bando le armi nucleari “, pubblicato questa settimana, fa appello agli stati perché concordino il divieto di armi nucleari che abbia valore giuridico persino se gli stati in possesso di queste armi rifiutano di partecipare, e perché si faccia in modo da aumentare le zone denuclearizzate esistenti e si considerino le armi nucleari alla stregua di armi di distruzione di massa. Un tale cambiamento sul piano giuridico contribuirebbe alla delegittimazione degli armamenti nucleari, necessaria per sciogliere il caos nel quale le nazioni nucleari si trovano impantanate

Richard Moyes, manager di Article 36, ha dichiarato: “Il rifiuto della Gran Bretagna di partecipare a un dibattito sui danni provocati dalle armi nucleari sui popoli e sull’ambiente rispecchia la loro convinzione che nulla può avvenire senza di lei. Ma se i paesi possono discutere sugli effetti delle armi senza il Regno Unito, allora possono anche negoziare un trattato per metterle al bando in sua assenza.”

Contatti:

Thomas Nash, Direttore, Article 36, Cell: +44 (0) 7711 926 730 thomas@article36.org

www.article36.org

Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia