E mentre tra i sottomessi tecnocrati la condiscendenza è legge e l’ordine stabilito viene difeso a ferro e fuoco, tra i dissidenti si apre un ampio dibattito. Che non dovrebbe essere giudicato male né sottostimato.

Questo dibattito è la chiave del futuro, è imprescindibile per questo presente fatto di confusione, combustione e inquietudine, ma soprattutto è fondamentale per il futuro. Perché è la direzione del popolo, e non quella dei governi, che permetterà di giungere a nuove forme di gestione della quotidianità nelle società.

**Soluzioni**

Vogliamo delle soluzioni e continuiamo a credere che queste giungano dall’esterno, anche se questi movimenti sociali che si stanno costituendo sono, nella loro essenza, parte della soluzione.

La grave opinabilità del sistema politico europeo, lontano dai bisogni della gente, porta a un punto di discredito totale che permette, per lo meno, di interrogare l’essenza delle ideologie che monopolizzano il pensiero occidentale.

L’economia non viene più concepita come una scienza (un vecchio paradigma che crolla), ma come un’ideologia che impone credenze e dogmi con la freddezza di un laboratorio: la vita è una sala operatoria senza più anestesia. E di fronte al discredito dei chirurghi e della medicina ufficiale, la gente opta per trattamenti alternativi.

**Nella pancia del lupo**

Tale ricerca è di notevole profondità, perché a essere rimpiazzata non è la dirigenza, ma i paradigmi, nel radicamento di una nuova concezione del mondo, della società, dell’essere umano e del suo ambiente circostante. Come diceva Eduardo Galeano dopo una passeggiata in Plaza de Catalunya, invasa dall’accampamento 15M “questo mondo di merda è in attesa di un mondo migliore”.


*Accampamento in Plaza Catalunya*

Questo dibattito avviene nella pancia di questo mondo malato che va perdendo pezzi mentre cerca di curare l’incurabile. E il dibattito non si limita agli obiettivi, ai risultati, ma si spinge sino ad affrontare il modo per arrivare a tali risultati, in altre parole, a come ci accingiamo a percorrere questo cammino.

Concettualmente si discute molto sui metodi e si commettono, in modo abbastanza sistematico, alcuni errori che non favoriscono di certo la chiarezza.

**Pacifismo o nonviolenza?**

Il pacifismo non è un metodo di azione. Il pacifismo è l’opposizione alla guerra e il desiderio di vivere in un mondo di pace. Il pacifismo per esprimersi nel mondo ha bisogno di una metodologia e sono state molte le forme utilizzate per evitare le guerre, ad iniziare da una possibile terza guerra mondiale in un mondo bipolare, come quello in cui si ritrovarono, tra gli altri, Bertrand Russell e Albert Enstein, in piena crisi dopo l’utilizzo della bomba atomica.

Più avanti si può studiare l’opposizione alla guerra d’Algeria in Francia o alla guerra del Vietnam negli Stati Uniti. In tempi più recenti si possono considerare l’opposizione all’invasione dell’Iraq con milioni di persone nel mondo che hanno manifestato il 15 febbraio 2003 o il veto posto da Russia e Cina a un intervento militare in Siria negli ultimi mesi. Sono esempi diversi di momenti in cui il pacifismo si è espresso nel mondo.

Ma come regola generale quest’azione si traduce in tattiche nonviolente. Non sia altro che per il profondo odio che si può provare nei confronti della violenza, per non voler ricorrere alle strategie del nemico o per ottenere il più ampio sostegno possibile.
In questo senso possiamo considerare gli esempi delle sommosse in Tunisia ed Egitto, nelle quali alla resistenza dei rispettivi regimi, i dissidenti hanno prevalso in una forma di lotta nonviolenta. Oppure possiamo osservare l’instancabile lotta dei monaci buddisti del Myanmar, che dopo anni hanno ottenuto le elezioni, con le quali Aung San Suu Kyi ha ottenuto un posto nel congresso a seguito della dissoluzione dell’autoritario governo birmano. Per non parlare della lotta per i diritti civili della comunità afroamericana guidata da Martin Luther King o l’anticolonialismo di N’Kruma in Gana e Gandhi in India, massimo esponente nonché ideologo della disobbedienza civile, il vuoto dell’autorità e altre armi della nonviolenza.

**La nonviolenza come percorso**

La nonviolenza non è un modo di atteggiarsi, ma un modo di fare, agire, progredire. “Non c’è un cammino verso la pace, la pace è il cammino”, diceva Mahatma Gandhi, discernendo tra il risultato e il modo per ottenerlo.

In questo senso credo che siano esempi molto validi quelli che si stanno sperimentando con il movimento degli “indignati” in Spagna e con il movimento studentesco cileno. Due gruppi che non desistono dalla loro formula non violenta per portare avanti la propria lotta.
La nonviolenza ha bisogno di creatività, necessita collaborazione e richiede sforzo. Non possono esercitarla i deboli.

Ma questi due movimenti sono riusciti in qualcosa di molto interessante: l’unità e il sostegno. Vaste frange della popolazione si sono messe d’accordo con le loro rivendicazioni e buona parte di ciò si deve all’applicazione della nonviolenza, che permette di entrare in contatto con la protesta e prestare attenzione al messaggio, che non è catartico e disintegratore come accade nel caso del confronto, ma cerca di essere inclusivo.

“Non stare a guardare, unisciti a noi!” si gridava in tutte le capitali europee e in più di 200 città spagnole il 15 maggio 2011 e si ripeteva nell’anniversario di questo risveglio collettivo.

**Nuove forme**

La costruzione della nonviolenza oltre ad aver generato un largo consenso, ha permesso che nascesse un nuovo modo di agire insieme, stabilendo una nuova forma di relazione e di comunicazione tra i partecipanti alla lotta sociale.

L’**orizzontalità** è un modo di evitare la nonviolenza della manipolazione e dell’abuso delle gerarchie.

**Prima di tutto le persone**, è stato un dictat di alto valore morale che non fa riferimento né a un’ideologia, né a un credo, né a un obiettivo che sia al di sopra delle persone, il che vuol dire che niente è al di sopra del bene comune, e questo va bene per tutti.

Altro elemento importante che si è sviluppato è la premessa secondo cui **non importa da dove vieni, importa dove vai**. Che nella pratica mette al centro il progetto comune della proprietà delle idee o se uno cerca l’identificazione con il passato. Nel futuro c’è posto per tutti, sempre e quando non si pretenda di uniformare tutti.

Questo modo di fare e di portare avanti un progetto è ciò che ha dotato di tanta forza, tanta partecipazione e tanta convergenza questi due esempi che ho considerato. E in questo dibattito sul futuro, sulle strategie, sui passi da compiere non c’è posto per dubitare dell’utilità della nonviolenza. È uno scalino su cui si è saliti e dal quale non si vuole scendere.

La nonviolenza non si discute, si applica o non si applica. Per questo motivo il nuovo mondo che stiamo per dare alla luce non può essere simile ai genitori del caos, del dolore e dell’ingiustizia.

Traduzione di Ada De Micheli