Di Melissa Moskowitz (*)

Questo porrebbe fine alla partecipazione di maggioranza della consorella Repsol, che al momento possiede il 57,4%.

La spagnola Repsol ha la maggioranza di YPF sin dal 1990, situazione che al governo e ai cittadini argentini piace sempre meno. Una ricerca condotta da Poliarguia Consultores pubblicata sul quotidiano argentino La Nacion rivela che il 62 per cento degli argentini sostiene il progetto di Cristina Kirchner per la nazionalizzazione di YPF. Questa decisione della presidente di promuovere e difendere la nazionalizzazione riflette la crescente convinzione che la compagnia petrolifera “non ha fatto sufficienti investimenti” in Argentina “rispetto alle crescenti richieste del mercato internazionale”.

Le ragioni per cui l’Argentina ha deciso di abbandonare il modello di sviluppo economico neoliberale non sono un mistero. Vari paesi latino-americani vedono la nazionalizzazione come un’alternativa fattibile per lo sviluppo, la stabilità finanziaria e la crescita. In effetti, l’Argentina segue l’esempio di altri paesi latino-americani che stanno costruendo così il proprio modello economico. Nel suo discorso a difesa della nazionalizzazione, la Kirchner ha espressamente citato la Petrobas, compagnia petrolifera brasiliana nazionalizzata.

Sempre più spesso i paesi della regione sudamericana si stanno muovendo verso un modello ibrido tra sistema liberale e nazionalizzazione. Evo Morales, per esempio, ha nazionalizzato la compagnia elettrica spagnola REE, sottolineandone i mancati investimenti nei crescenti bisogni della Bolivia, una rimostranza che rieccheggia quella della Kirchner nei confronti dei mancati investimenti di Repsol in Argentina.

Nel paese la decisione è stata accolta con approvazione. Simon Romero, del New York Times, scrive: “La nazionalizzazione viene percepita in modo positivo in una nazione dove persistono forti risentimenti nei confronti della privatizzazione portata avanti con le politiche economiche liberali degli anni 90, che hanno preceduto la caotica crisi economica degli inizi dell’ultimo decennio”. In un altro articolo, Manuel River, ventisettenne lavoratore nel commercio, parlando del suo sostegno alla decisione, ha affermato che “il governo sta riprendendo quello che ci appartiene”.

Molto inquieti per questa decisione rimangono sia il governo spagnolo che l’Unione Europea, che minacciano di portare l’Argentina davanti al WTO. Il ministro del commercio spagnolo, Jaime Garcia-Legaz, ha affermato: “Ci saranno delle iniziative molto chiare da parte dell’Unione Europea”. Sentimenti riecchegiati anche dal ministro degli esteri spagnolo Jose Manuel Garcia-Margallo, il quale alla BBC ha detto che la Spagna porterà la questione all’attenzione del FMI, della Banca Mondiale e del G-20, aggiungendo: “Cercheremo di mettere l’Argentina sotto pressione, in modo che si renda conto che questa strada non porta da nessuna parte”.

**Una rotella nell’ingranaggio**

L’Unione Europea sostiene la decisione spagnola di affrontare la nazionalizzazione in Argentina con intransigenza. In risposta alla decisione argentina il commissario europeo per il commercio Karel De Gucht ha pronunciato un discorso che mette in chiaro l’ostilità dell’UE nei confronti della nazionalizzazione come via allo sviluppo e alla crescita.
Il discorso di De Gucht, UE – Commercio latino americano/caraibico: un partenariato per il futuro inizia con l’importanza delle [catene del valore](http://it.wikipedia.org/wiki/Catena_del_valore):

*Alcune delle più recenti analisi sul funzionamento dell’economia moderna arrivano da ricerche sull’estenzione e la profondità delle catene del valore. Queste sono ormai un aspetto essenziale della nostra realtà economica. Beni e servizi oggi non sono prodotti in un unico posto o da un’unica azienda.*

Questo è un riferimento alla precedente partecipazione della Repsol nella proprietà della consociata YPF che opera in Argentina. La “catena del valore” indica una serie di procedimenti attraverso i quali passano i prodotti in una economia moderna. Questa velata dichiarazione sembra dire che l’Argentina non sarà in grado di competere sul mercato globale se non collabora con la Spagna. Nazionalizzazione e protezionismo, sostiene De Gucht, sono incompatibili con la mentalità della catena del valore, fondamentale in un’economia di successo.

*Questo significa che per tutte le economie, comprese quelle europee, latino-americane e caraibiche, la prosperità dipenderà in parte dal grado di integrazione economica che un paese è capace di raggiungere. Nel tempo, l’obiettivo per le economie è raggiungere l’efficienza dei costi in quelle aree della catena del valore che aggiungono maggior valore, quelle dove si trovano salari e profitti più alti.*

De Gucht continua poi parlando di come il crollo finanziario, l’ascesa della Cina, il successo dell’esportazione di merci tradizionali con valore crescente rappresentano altrettante sfide alla regione. In risposta a queste sfide, argomenta De Glucht, l’Europa e l’America Latina devono continuare nel loro risoluto impegno per il libero flusso di importazioni ed esportazioni. Qui De glucht si preoccupa non tanto per la contrazione della catena del valore quanto per il minor controllo che avrebbe la Spagna. Inutile sottolineare che non è affatto interessato al controllo da parte dell’Argentina sulle proprie risorse e al desiderio di limitare l’influenza delle multinazionali straniere su di esse.

*Adesso sappiamo che se uno di noi vuole inserire la propria economia nelle catene del valore, allora diventa vitale rimanere aperti, sia all’importazione che all’esportazione. Il commercio globale è valutato oggi a circa la metà della produzione totale. Di questa cifra, circa un terzo rappresenta scambi tra aziende. Se l’America Latina, e l’Europa, vogliono proseguire nel loro sviluppo, devono tener conto di questa realtà: le aziende che producono beni e servizi non sono atleti solitari, ma staffettisti. Se vogliono tagliare il traguardo devono ricevere il testimone dagli altri membri della squadra e poi passarlo al successivo una volta terminato il proprio compito.*

Poi il focus del discorso lascia i temi generali e passa a discutere direttamente il modo in cui l’Argentina ha violato questo impegno al libero flusso di esportazioni e importazioni. De Glucht sottolinea l’importanza del libero mercato e della libera concorrenza, cose che, per il passato, hanno permesso alle multinazionali straniere di approfittare delle risorse naturali argentine.

De Gluck utiliza la metafora di una corsa a staffetta nella quale si presume che tutti i protagonisti siano uguali e corrano alla stessa velocità. Ma multinazionali e nazioni non corrono su un piano paritario, e alcuni paesi sembrano essere sempre vincitori mentre altri rimangono indietro nella corsa. Per di più, la mancanza di investimenti da parte di Repsol nel petrolio argentino non ha fatto altro che piazzare ostacoli lungo la corsa del paese emergente. Secondo alcuni parlamentari argentini, nel periodo in cui Repsol era impegnata in YPF, la produzione di petrolio e gli investimenti in Argentina sono calati. Addirittura, l’Argentina dovette importare gas per la prima volta in 20 anni.

A seguito dell’approvazione della nazionalizzazione alla Camera bassa, il parlamentare Agustin Rossi ha osservato: “A partire da oggi, il petrolio non è più un prodotto per YPF. Il petrolio ora è una risorsa fondamentale per la crescita economica e lo sviluppo del paese”. Il non aver controllo sulle risorse del paese ha finora impedito agli argentini di gareggiare alla pari.

*Siamo perciò molto preoccupati in Europa qundo vediamo queste tendenze ad allontanarsi dai mercati aperti attraverso politiche protezionistiche in alcuni paesi della vostra regione. C’è stato per anni, in effetti, un acceso dibattito tra quanti capiscono che mercati aperti ed economie competitive sono la via per la prosperità e quelli che credono possibile la crescita stando al riparo dietro mura protettive. Il dibattito si sta riaccendendo. Proprio poco tempo fa, ai primi di aprile, l’Argentina ha deciso di nazionalizzare la compagnia petrolifera YPF espropriando solo l’azionista di maggioranza Repsol e non gli azionisti argentini. Esattamente il tipo di provvedimenti da evitare. Gli investimenti stranieri sono una linea diretta nelle catene del valore globali. Ma le compagnie prendono queste serie e costose decisioni di investire a lungo termine in un paese solo se convinte che il loro investimento è sicuro.*

Quest’ultima considerazione di De Gucht’s sulle decisioni di investire a lungo termine è particolarmente rilevante nel dibattito sulla nazionalizzazione di compagnie petrolifere. Kirchner ha deciso di nazionalizzare la compagnia petrolifera sull’assunto che Repsol non aveva effettuato seri investimenti a lungo termine in Argentina. L’Europa in realtà non è tanto preoccupata dello sviluppo economico dell’Argentina come il discorso vorrebbe far credere. La vera preoccupazione di De Gucht sembra essere piuttosto la perdita di profitto della Repsol, e la richiesta di indennizzo al governo argentino nell’ordine di 10 miliardi di dollari.

*Anche l’Europa ha un interesse nella faccenda visto che è una delle nostre compagnie ad essere sotto attacco*.

De Gucht ha messo ben in chiaro che qualunque tentativo di nazionalizzare le risorse interne in un modo che possa compromettere la crescita economica europea sarà contrastato con forza. Repsol, intanto, è più preoccupata dalla possibile perdita di un opportunità di profitto che non dal perdere la propria influenza in Argentina. “Repsol aveva provato a vendere le proprie azioni di maggioranza nella compagnia petrolifera argentina a un gruppo cinese prima che fosse nazionalizzata, stando a due persone ben informate” dice il Financial Times.

“Repsol, che voleva oltre 10 miliardi di dollari per le sue azioni, non aveva avvisato Buenos Aires delle trattative con Sinopec, trattative che il gruppo spagnolo sperava di portare in porto prima di chiedere un formale benestare al presidente argentino Cristina Kirchner”. Se l’Unione Europea voleva davvero mettere in pratica la retorica della libera ed equa corsa a staffetta e del maggior sviluppo per tutti, non avrebbe usato le minacce di un deferimento al WTO per costringere l’Argentina a ritornare sui propri passi rispetto alla nazionalizzazione. L’Unione Europea è preoccupata principalmente per l’attacco argentino a “uno dei nostri”, Repsol.

*Di conseguenza, ho fatto capire in modo molto chiaro alla mia controparte argentina che nell’UE stiamo prendendo molto seriamente questa questione. Possiamo assicurarvi che faremo tutto ciò che è in nostro potere per sostenere il governo spagnolo nella sua ricerca di un indennizzo totale per la compagnia coinvolta. Purtroppo, non si tratta dell’unico caso di protezionismo che abbiamo visto negli ultimi tempi nell’area. Che si tratti di altre espropriazioni, di misure restrittive sulle importazioni o politiche a favore dei prodotti locali, questi provvedimenti non saranno di aiuto ai paesi che li mettono in essere. Queste misure paralizzano le catene dell’offerta a livello mondiale, alimentano un settore privato non competitivo e [rent-seeking](http://it.wikipedia.org/wiki/Rent_seeking), e scoraggiano gli investimenti stranieri. Ma, come accade nel caso della Repsol, le misure protezionistiche danneggiano anche i partner commerciali. Ecco perché poniamo molta attenzione a ogni nuova misura restrittiva, per studiare in che modo contrastarla. Noi abbiamo una strategia dettagliata per il commercio che prevede l’impiego di ogni strumento, dalla diplomazia all’aperture di controversie davanti al WTO, per la promozione dell’apertura dei mercati. Non esiteremo ad usarli.*

L’impegno dell’Europa per la protezione delle decisioni sovrane degli altri paesi è in pratica un impegno a proteggere gli interessi finanziari delle compagnie europee. La volontà dell’Europa di imporre un modello neo-liberale in Argentina e punirla per la nazionalizzazione è l’ultimo esempio dei tentativi di reprimere altri modelli di sviluppo. La risposta del commissario europeo è stata simile a quella del presidente della banca mondiale Robert Zoellick, quando ha affermato che la decisione Argentina era “un errore”. Secondo Zoellick, la nazionalizzazione “lascerà indietro l’Argentina nell’economia internazionale, danneggiando il popolo argentino, ed è questo che mi preoccupa.” Con queste risposte aggressive, Zoellick e De Gucht vogliono assicurarsi che la nazionalizzazione resti un paradigma economico non fattibile nell’immediato futuro.

(*) Melissa Moskowitz è tirocinante pressso l’Institute for Policy Studies. Questo articolo è apparso in Foreign Policy in Focus (FPIF) il 7 maggio 2012.

Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia