In Tunisia, le famiglie chiedono da quasi un anno, ormai, che qualcuno risponda loro sulla sorte di quei giovani partiti verso l’Europa subito dopo la rivoluzione e che non hanno dato notizia di sé dopo la loro partenza.

Manifestazioni e sit-in davanti ai diversi ministeri e all’ambasciata italiana, incontri con diversi ministri o funzionari ministeriali non hanno permesso loro di aver ancora alcuna risposta. Da qualche mese, hanno diffuso in Tunisia e in Italia il loro appello (http://www.storiemigranti.org/spip.php?article995), dando luogo, insieme a un collettivo di donne tunisine e italiane, alla campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” (http://leventicinqueundici.noblogs.org/?page_id=354): chiedono la collaborazione tra le istituzioni italiane e tunisine affinché ci sia un riscontro delle impronte digitali dei loro figli, per poter sapere se siano vivi o morti.

E’ una richiesta inaudita per quelle autorità, abituate allo scambio quotidiano delle impronte per poter espellere i migranti.

Non è, dunque, un caso che a tutt’oggi non sia pervenuta nessuna risposta ufficiale, nonostante i via vai diplomatici da un paese all’altro per continuare la pratica degli accordi sul controllo e il governo delle migrazioni in cui, giungono notizie di corridoio, anche quella vicenda comincia a essere posta sul tavolo dei negoziati. Evidentemente, né le istituzioni italiane né quelle tunisine ritengono che le mamme e le famiglie dei migranti siano soggetti con cui interloquire e a cui comunicare le proprie decisioni, per quanto riguardino i loro figli.

E mentre in Tunisia l’attenzione mediatica che le famiglie sono riuscite a imporre con le loro continue manifestazioni fa litigare tra loro i membri del nuovo governo, in Italia l’unica risposta ufficiale è stata quella che ha impedito alla delegazione di entrare al Cara di Caltanissetta, trasformando all’occasione in una struttura detentiva quello che dovrebbe essere un Centro di accoglienza per richiedenti asilo.

Quelle mamme e quelle famiglie vogliono sapere che fine abbiano fatto i loro figli. Lo chiedono in Tunisia e in Italia, ma è una domanda che riguarda anche l’Unione europea. Sono arrivati? Sono stati catturati in un sistema detentivo come previsto dalle politiche di controllo delle migrazioni dell’Ue? Sono stati respinti in mare, secondo una pratica seguita dalle autorità italiane anche nel corso del 2011 nonostante contravvenga le norme e i trattati internazionali?

Come collettivo di donne tunisine e italiane che sostengono la campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” chiediamo insieme alle famiglie che le istituzioni tunisine, italiane ed europee diano un’immediata risposta e che lo scambio delle impronte digitali avvenga dinanzi alle famiglie e a una delegazione del collettivo di sostegno all’appello.

Le Venticinqueundici (http://leventicinqueundici.noblogs.org/; venticinquenovembre@gmail.com)

Associazione Pontes dei tunisini in Italia (http://www.pontes.it/; pontes@live.it)

Associazione G. Verdi, tunisini di Parma (https://www.facebook.com/profile.php?id=100002681810671)

Allegato: lettera al Ministro Riccardi

Al ministro per la cooperazione internazionale e per l’integrazione, Andrea Riccardi

Gentile Ministro,

le scriviamo questa lettera in occasione della sua prossima visita a Tunisi e del suo incontro con il governo tunisino. Come lei certamente sa, dal mese di marzo 2011 le mamme e le famiglie dei migranti tunisini dispersi chiedono con insistenza di poter conoscere qualcosa sulla sorte dei loro figli, partiti verso l’Italia e l’Europa subito dopo la rivoluzione tunisina nell’unico modo previsto per loro dalle politiche di controllo e di governo delle migrazione dell’Unione europea.

Dopo essersi rivolte per mesi alle istituzioni del loro paese, quelle mamme e famiglie indirizzano ora un appello anche alle istituzioni italiane affinché ci sia una collaborazione nella ricerca dei loro figli di cui, nel caso siano arrivati in Italia e siano stati messi all’interno di un sistema detentivo previsto da tali politiche, l’Italia deve avere le impronte digitali.

Tutte e tutti noi abbiamo assistito, nel corso del 2011, al trattamento che le autorità italiane hanno riservato ai giovani tunisini che avevano appena lottato per combattere una dittatura, allo spettacolo indecoroso dell’isola di Lampedusa trasformata in un’isola prigione, alla vergogna dei Cie-galleggianti attraccati per settimane al porto di Palermo, alla continuazione della pratica dei respingimenti in mare, così come alla complicità e all’indifferenza delle istituzioni dinanzi alle infinite morti nel Mediterraneo che, mai come quest’anno, è stato un cimitero marino.

Per questo, come collettivo di donne italiane e tunisine, abbiamo sentito l’esigenza di unirci alla richiesta di quelle famiglie e di darne risonanza in Italia con la campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” sostenuta insieme a noi dalle numerose e dai numerosi firmatarie/i dell’appello. In seguito alla pressione mediatica che le continue manifestazioni delle famiglie in Tunisia e le nostre iniziative in Italia hanno suscitato, una delegazione delle famiglie tunisine dei migranti dispersi è potuta venire in Italia, dove si trova da più di una settimana. Qui, però, dopo una prima visita al Centro di identificazione ed espulsione di Trapani, in cui le famiglie hanno potuto vedere con i propri occhi le condizioni di detenzione, le autorità hanno negato loro l’accesso ad altre strutture detentive, mentre la questura di Agrigento continua a non rispondere alla richiesta di un possibile rilevamento delle impronte a partire dalle carte di identità dei loro figli. Tutto ciò, nonostante una lettera del sottosegretario del ministero per le Migrazioni tunisino al governo italiano facesse presente come per la Tunisia la questione dei dispersi fosse diventata una priorità “perché dobbiamo stabilire che la loro vita conta quanto quella di tutti gli altri, che non possiamo essere una democrazia senza mettere a disposizione tutti i nostri mezzi per stabilirlo” e chiedesse alle autorità italiane di “fornire tutta la collaborazione necessaria per fare luce sulla sorte di questi cittadini tunisini scomparsi”.

A metà gennaio, come collettivo di donne, avevamo indirizzato una richiesta alla Ministra dell’interno italiana, così come al Ministro degli esteri. Non ci risulta, però, a tutt’oggi, una presa di posizione italiana ufficiale sulla vicenda, mentre le autorità competenti continuano a inviare liste di impronte digitali ai consolati dei cosiddetti “paesi terzi” in vista delle espulsioni.

E’ un silenzio che riteniamo intollerabile. Pensiamo, infatti, che quelle mamme e quelle famiglie abbiamo il diritto a una risposta immediata alla domanda che ormai da troppo tempo inoltrano alle loro istituzioni e alle istituzioni italiane: un confronto delle impronte digitali che permetta loro di sapere se i loro figli siano in vita. La invitiamo pertanto a incontrare le famiglie in occasione della sua prossima visita in Tunisia e a farsi garante con loro di una pronta risposta da parte del governo italiano.

Le Venticinqueundici (http://leventicinqueundici.noblogs.org/; venticinquenovembre@gmail.com)
Associazione Pontes dei tunisini in Italia (http://www.pontes.it/; pontes@live.it)