Si è trattato di un vero e proprio pressing mediatico a tutto campo; d’improvviso lo spread è stato sulla bocca di tutti anche di coloro che tuttora ignorano cosa sia esattamente.

Lo spread ha posto fine al berlusconismo, lo spread ci ha portato a cogitare diverse manovre finanziarie, lo spread ha sancito la fine, si spera transitoria, della sovranità popolare e dell’esercizio della democrazia, sempre che, in passato, ne fossero rimaste ancora delle orme. Insomma indiscutibilmente è stato l’anno dello spread. The winner is lo spread !

In seguito, dallo spread si sono aperti definitivamente gli occhi del cittadino sul debito pubblico, storia pluri-decennale di una convivenza sinora alquanto tollerata, endemica e anche un po’ marginalizzata nella storia della nostra nazione.

Oggi la mia attenzione è per un altro spread, quello tra i ricchi ed i poveri del nostro pianeta. E’ uno spread non legato a un indicatore telematico ma ad uno stato di fatto, la realtà.

Recenti dati pubblicati dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) evidenziano come il gap tra ricchi e poveri sia ai più alti livelli. Sono 1,2 miliardi le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno e metà della popolazione mondiale (7 miliardi) tira a campare con meno di $2 al giorno. Il reddito disponibile dalle persone è uno dei criteri-indicatori che permettono di stabilire le soglie di povertà e l’incidenza del rischio povertà, ma, al di là dei soldi, pensiamo per un attimo a tutto ciò che realmente vuol dire quel tipo di dato: esclusione sociale, malnutrizione, malattie, carenza di servizi, condizioni igieniche raccapriccianti, alfabetismo, disoccupazione e la lista potrebbe essere molto lunga, in breve assenza e privazione di dignità della persona.

E’ bene ricordare che questi dati non riguardano solamente l’africano del Congo o l’indigeno del Perù, ma includono le povertà e le condizioni di marginalità del cosiddetto mondo sviluppato, si, quelle del vicino che non salutiamo giornalmente sotto casa o di quell’altro che da qualche mese va a cenare alla mensa della solidarietà.

Alla ricerca dell’equità mi ritrovai per la selva dell’iniquità.

In nome dello spread mediatizzato, per intenderci quello vincitore dell’oscar 2011, si fanno salti mortali, si preparano contromisure e riforme, manovre e contromanovre; per lottarlo, per ridurlo, per “salvare”. Ma salvare chi ?

L’abile manipolazione di pochi colpisce e reprime l’essenza del nostro esistere: il rispetto, la dignità della persona e la protezione dei diritti umani. E così dietro quello spread vengono generati iniquità, ingiustizie sociali, si marcano ancora più nettamente le disparità e le differenze, si calpesta persino la Costituzione che sancisce il diritto della personalità, la centralità della persona.

E navighiamo nella retorica, nella falsità e nel limbo di un’apparenza non più accettabile. Da un lato, nel mondo parallelo dell’Unione Europea si dichiara il 2010 “anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale” ma poi si accondiscendono le riforme anti-costituzionali, la sopraffazione della democrazia, le logiche affariste e, in soldoni, le politiche di incentivazione delle marginalità.

Dall’altro, da lustri ormai, gli organismi internazionali ed i potenti del mondo, portano avanti, in modo più o meno serio, diverse strategie a livello planetario per lottare la povertà. Pochi i risultati salienti ed invece tali decisionisti burattinai sembrano remare contro, seminano involuzione, programmano recessioni, pianificano il quieto vivere di pochi e l’infelicità della moltitudine.

Occorre svecchiare la classe politica, bisogna introdurre nuovi principi e valori permeati sul bene comune, occorre coltivare la cultura dell’attivismo, del non delegare e del partecipare in prima linea alla trasformazione. Ma in primis, oggi, è il momento del “rendere visibile”, di informare, di mettere a fattore comune per fare conoscere e generare consapevolezza sulla quale fondare la rigenerazione popolare.
Nel 2012 partiamo dunque da questo nuovo spread !