Con le manifestazioni, i cittadini del Bahrein non reclamavano la fine della monarchia, bensì una maggiore rappresentazione al governo.

A un mese dall’inizio delle proteste, l’Arabia Saudita ha inviato forze militari e politiche attraverso il ponte di oltre 25 Km che unisce il territorio saudita al Bahrein. Da quel momento, si reprimono con crescente violenza le proteste dei manifestanti, la stampa e le organizzazioni per i diritti umani.

Una giovane e coraggiosa attivista per la democrazia, Zainab al-Khawaja, ha visto da vicino questa brutalità, assistendo impotente dell’arresto del padre Abdullhadi al-Khawaja, prima percosso, anche lui attivista per i diritti umani. Da Manama, così ha descritto i fatti:
“ Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in casa nostra, senza preavviso. Hanno buttato giù la porta dell’edificio e quella del nostro appartamento, poi hanno aggredito mio padre, senza spiegare il motivo dell’arresto e senza dargli l’opportunità di parlare. Lo hanno trascinato per le scale e lo hanno percosso di fronte a me, fino a che non ha perso conoscenza. L’ultima cosa che ho sentito dirgli è stata che non riusciva a respirare. Quando ho cercato di intervenire, di intimare agli uomini armati “per favore smettete di picchiarlo, verrà con voi volontariamente, non c’è bisogno di picchiarlo in questo modo”, mi hanno detto di stare zitta e mi hanno trascinato fin sopra, riportandomi in casa. Quando sono uscita di nuovo, l’unica traccia di mio padre era il suo sangue sulle scale”.

L’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch ha chiesto l’immediata scarcerazione dell’uomo. Anche il marito e il cognato di Zainab sono stati arrestati. Zainab scrive su Tweetter come “angryarabiya” e in segno di protesta contro le detenzioni ha iniziato lo sciopero della fame, nutrendosi solamente di liquidi. In una lettera si è anche rivolta al presidente Obama scrivendo: “se accadrà qualcosa a mio padre, a mio marito, mio zio, mio cognato o a me, la riterrò responsabile tanto quanto il regime di Al Khalifa. Il suo appoggio a questa monarchia rende il suo governo complice di questi crimini. Nutro ancora speranza che lei si renda conto che la libertà e i diritti umani hanno lo stesso significato per noi del Bahrein come per i cittadini americani”.

Nel discorso di condanna al governo di Gheddafi, Obama ha giustificato i recenti attacchi militari alla Libia con queste parole: “Hanno ucciso persone innocenti, attaccato ospedali e ambulanze. Hanno arrestato, stuprato e assassinato giornalisti”. Adesso sta accadendo la stessa cosa in Bahrein ma Obama non ha niente da dire.

Come nel caso di Egitto e Tunisia, l’impeto della rivolta non è di origine è religioso ma nazionalista. Il paese è per un 70% sciita ma è governato da una minoranza sunnita. Tuttavia, uno dei principali slogan della protesta è stato “né sciita, né sunnita, ma del Bahrein”. Ciò discredita quello che afferma il governo, cioè la tesi che l’attuale regime sarebbe la miglior difesa contro la crescente influenza dell’Iran, paese sciita, nel ricco Golfo Persico. A questo si aggiunga anche il ruolo strategico del Bahrein: qui si trova la base della 5a flotta navale americana servita a proteggere gli interessi statunitensi, come lo Stretto di Ormuz e il Canale di Suez, e a dare appoggio alla guerra in Iraq e Afghanistan. Ma tra gli interessi statunitensi non rientra anche quello di appoggiare la democrazia e non i dittatori?.

Nabeel Rajab è presidente del Centro per i Diritti Umani del Bahrein, organizzazione precedentemente guidata proprio da Abdulhadi al-Khawaja, ora in carcere. Rajab potrebbe dover affrontare un tribunale militare per aver pubblicato la foto di un manifestante morto mentre era detenuto. Rajab ha detto: “centinaia di persone sono incarcerate e torturate e questo per aver esercitato la libertà di parola, per vendetta, perché un giorno, quasi la metà della popolazione del Bahrein, si è riversata nelle strade a esigere democrazia e rispetto per i diritti umani.”

Rajab ha osservato che la democrazia in Bahrein potrebbe implicare la lotta per la democrazia nelle vicine dittature del Golfo Persico, specialmente in Arabia Saudita. E’ per questo che la maggior parte dei governi locali hanno interesse a porre fine a queste proteste. L’Arabia Saudita è ben posizionata rispetto a questo compito, anche perchè beneficiaria del recente e più cospicuo accordo di vendita di armi nella storia degli Stati Uniti.
Nonostante le minacce, Rajab è determinato: “Finché avrò vita, continuerò ad agire. Ho fiducia nel cambiamento. Credo nella democrazia e nei diritti umani. Sono disposto a dare la mia vita, a sacrificare qualsiasi cosa, per raggiungere questo obiettivo.”

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Denis Moynihan ha collaborato alla stesura di questo articolo.

Tradotto da Eleonora Albini