Tegucigalpa, 14 novembre 2009

Sua Eccellenza

BARACK OBAMA

PRESIDENTE USA

Washington D.C.

Stimatissimo Presidente Obama:

L’8 luglio scorso, in occasione del nostro primo incontro con la Segretaria di Stato Clinton, all’indomani del colpo di Stato, apparve chiara a me e al mondo la posizione di condanna dell’amministrazione Obama nei confronti del Colpo di Stato, delle autorità che lo avevano provocato e fu lampante l’idea di esigere il ritorno a uno stato di diritto attraverso il ritorno al potere del Presidente eletto dal popolo. Fu altresì netta la posizione ufficiale del suo Governo e dei suoi rappresentanti che patrocinarono e sottoscrissero le risoluzioni ONU e OEA, che al terzo punto prevedono la mia restituzione immediata e sicura.

Il 28 giugno 2009 si è verificato prima il mio sequestro e poi il confino in Costa Rica. Il Congresso della Repubblica ha emesso un decreto illegale, nel quale si legge “Bisogna desttire il cittadino José Manuel Zelaya dall’incarico di Presidente Costituzionale della Repubblica”; questo senza che esistano le facoltà istituzionali per farlo, e senza il dovuto processo o alcuna citazione in giudizio.

Già all’epoca del primo incontro con la segretaria Hillary Clinton, mi fu proposto di scendere a patti con il Presidente del Costa Rica Oscar Arias, e nonostante giudicassi controproducente trattare con individui che si servono della forza, accettai considerando l’auspicio degli Stati Uniti e dell’intera comunità internazionale.

In un comunicato del 4 settembre scorso, la segretaria di Stato Hillary Clinton dichiarava quanto segue: “La conclusione positiva del processo avviato da Arias costituirebbe la giusta base per procedere ad un’elezione legittima”.
Tutti ormai riconoscono che senza la visita del sottosegretario di Stato per l’emisfero Occidentale, nelle persone di Thomas Shannon, Daniel Restrepo e Craig Kelly non sarebbe stato firmato alcun accordo. Tutti siamo a conoscenza delle motivazioni che hanno portato alla rottura dei rapporti tra Tegucigalpa e San José.
Lo stesso Presidente Oscar Arias per amore della verità ha dichiarato: “Micheletti non ha mai avuto la volontà vera di collaborare, ma anzi, si stava prendendo gioco della comunità internazionale e cercava solo di allungare i tempi per non riconsegnare il potere a chi spetta”.

L’ex Presidente Ricardo Lagos, illustre esponente della Commissione Internazionale di Verifica, in una delle sue dichiarazioni ne ha dato conferma, sottolineando: “ È stato il Signor Micheletti ha tradire gli accordi”, “Micheletti ha fatto cose che non doveva come quella di dire “Formerò un Governo di unità senza l’appoggio di Zelaya”, e ha provocato il fallimento di questo accordo.

Lo stesso giorno in cui a Tegucigalpa si insediava la Commissione di Verifica, a sorprendere sono state le dichiarazioni di alcuni funzionari del dipartimento di Stato, che hanno modificato la propria versione interpretando l’accordo in modo unilaterale con dichiarazioni del tipo “…le elezioni sarebbero comunque riconosciute dagli Stati Uniti con o senza restituzione…”. Il regime de facto ha allora colto la palla al balzo e ha utilizzato queste dichiarazioni per i propri obiettivi, finendo subito per non rispettare e quindi violare i termini dell’Accordo.

Per quanto precedentemente esposto ci esprimiamo nel modo che segue:

Che l’Accordo Tegucigalpa-San José è da considerarsi senza alcun valore o effetto dovuto alla violazione da parte del Governo de facto. Questo è stato concepito perché si impiantasse in forma stabile e simultanea; per cui non sono stati proposti dodici accordi diversi, ma un solo accordo con dodici punti, con un unico fine, quello di ripristinare l’ordine democratico e la pace sociale, e con questo riuscire ad invertire il colpo di stato, assicurando così il ritorno del Presidente della Repubblica eletto legittimamente attraverso il voto popolare. E con questo, propiziare un clima di riconciliazione nazionale e il conseguente processo elettorale costituzionale, trasparente, con garanzie di partecipazione egualitaria e libera per tutti i cittadini honduregni.

Che le prossime elezioni dovevano tenersi in un clima di legalità e sostegno internazionale soprattutto da parte dell’OEA e delle Nazioni Unite, prevedessero le condizioni politiche e contemplassero il rispetto dei diritti di base dei cittadini al fine di garantire un risultato basato sulla libertà e la trasparenza.

A questo proposito, devo sottolineare che la nuova posizione dei funzionari di Governo degli Stati Uniti glissa sull’obiettivo iniziale dell’incontro di San José, relegando un possibile accordo con il Governo legittimamente riconosciuto in secondo piano, e cercando di canalizzare tale accordo verso un nuovo processo elettorale senza tenere conto delle condizioni nelle quali esso si sviluppa. Tanto per fare un esempio, attraverso sotterfugi lampanti, alcuni funzionari pubblici non riconosciuti legalmente e imputati autorizzano la diffusione di un bilancio non autorizzato dal Presidente legittimamente riconosciuto.

Stando così le cose, questo processo, e quindi i risultati ai quali perverrà saranno oggetto di contestazione e di non riconoscimento; dato questo, che metterà a grave rischio la stabilità futura dei rapporti tra Honduras e i Paesi che lo giudicheranno legittimo.

Secondo il Segretario Generale dell’OEA José Miguel Insulza, non è questo il momento per nuove elezioni politiche; parole confermate anche dalla Congressista Nordamericana Jane Sharkorky nella sua visita in Honduras, secondo la quale il clima che si vive in questo Paese risente della violazione dei diritti umani.

Lo scorso 6 novembre, abbiamo ribadito il nostro parere negativo a proseguire in questo dialogo falso, e per questo motivo alla sua naturale scadenza il testo rappresenta lettera morta che quindi perde valore, dal momento che un accordo va rispettato nei tempi e nella forma, e la violazione di questo elemento da parte del regime de facto, invalida tale testo.

È fuori di dubbio che si sia sprecato tempo prezioso in questo tentativo fallimentare.

Le elezioni presidenziali si terranno con ogni previsione l’ultima settimana di novembre. In quell’occasione, in veste di Presidente Costituzionale dell’Honduras, e in qualità di cittadino che rappresenta e ha ricevuto il voto democratico del popolo honduregno, non posso esimermi dal sostenere che allo stato attuale delle cose non possiamo sostenerle e procederemo a impugnarle legalmente in nome di migliaia di honduregni e centinaia di candidati che pensano che questa disputa sia sleale e che non ci siano le condizioni per una partecipazione libera.

L’Honduras, il cui popolo deve sottostare alla repressione, è un Paese dove non si rispetta neanche la più alta carica, ovvero il Presidente della Repubblica, dove non si è tenuto conto che in tre anni ho raggiunto i maggiori indicatori economici e il miglior dato sulla riduzione della povertà degli ultimi ventotto di vita democratica, dove sono stato destituito dalle armi, dove pesano su di me ventiquattro capi d’accusa e ordini di cattura tra cui per narcotraffico, corruzione e terrorismo senza aver subito alcun processo, e dove la maggior parte dei Ministri del mio gabinetto è vittima di persecuzione politica e fugge da vari regimi in varie parti d’America.

3500 persone catturate in cento giorni, più di 600 persone ferite e maltrattate negli ospedali, più di cento omicidi e un numero sconosciuto di persone sottoposte a tortura, cittadini che in manifestazioni pacifiche tentano di opporsi e cercano di manifestare il proprio punto di vista, basato sulla libertà e sulla giustizia; tutto questo trasparirà nelle elezioni di novembre per interi settori della società, in un esercizio anti-democratico per la situazione di illegittimità, incertezza e intimidazione militare.

Svolgere le elezioni in una situazione in cui da un lato c’è il Presidente eletto dal popolo e riconosciuto dal Governo e dalla Comunità Internazionale prigioniero, circondato da militari nella sede diplomatica del Brasile, e dall’altro un Presidente de facto, imposto dai militari e sostenuto dai potenti del palazzo di Governo, sarà una vergogna storica per l’Honduras e un’infamia per i popoli democratici d’America.

Questo processo elettorale è illegale perché nega il colpo di stato militare, e la situazione di fatto in cui vive l’Honduras non garantisce certo uguaglianza e libertà nella partecipazione cittadina, e questo vale per tutti gli honduregni; si tratta di una manovra elettorale anti-democratica, ripudiata da ampi settori della popolazione, per coprire gli autori materiali e intellettuali del Colpo di Stato.

Le elezioni rappresentano un processo, non è solo un giorno in cui si va a votare, è un dibattito, un’esposizione di idee, uguaglianza di opportunità.

In qualità di Presidente eletto dal popolo honduregno, ribadisco la mia decisione per cui, da questo preciso istante, NON ACCETTO, nessun accordo per ritornare alla presidenza, che è in realtà un tentativo di coprire il colpo di stato che, come sappiamo, ha un impatto forte a causa della repressione militare che annienta i diritti umani degli abitanti del nostro Paese.

Sig. Presidente.

Al vertice dei Paesi del Continente Americano, tenutosi a Trinidad y Tobago all’inizio di quest’anno, al quale ha partecipato anche Lei, ha detto: “Basta con l’accusa rivolta agli Stati Uniti riguardo a quanto accaduto in passato, è ora di guardare avanti”. Il futuro che oggi si presenta ai nostri occhi, attraverso lo stravolgimento messo in atto in Honduras e il favoreggiamento dell’intervento abusivo delle caste militari nella vita civica del nostro Paese (storica causa dell’arretramento e dell’immobilismo che ha colpito i nostri Paesi durante il XX secolo), è rappresentato dal tramonto della libertà e dal disprezzo della dignità umana, una nuova guerra contro i processi di riforma sociale e democratica così necessari per l’Honduras.

Presidente Obama.

Ogni qualvolta viene destituito un Governo legittimamente eletto in America, la violenza e il terrorismo vincono su di noi e la democrazia viene battuta.

Ciò nonostante non pensiamo che il colpo di stato militare che ha sofferto l’Honduras sia il nuovo terrorismo di stato del XXI secolo. Vogliamo credere che il futuro dell’America latina sia quello di cui ha parlato Lei a Trinidad y Tobago.

Siamo fermamente decisi a lottare per la nostra democrazia senza occultare la verità e quando un popolo decide di condurre una lotta pacifica per raggiungere i propri ideali, non c’è arma, né esercito, né esecutore capace di fermarlo.

In attesa di una sua pronta risposta, le reitero la mia più alta considerazione.

JOSE MANUEL ZELAYA ROSALES

Presidente della Repubblica dell’Honduras

Traduzione dallo spagnolo di Ada De Micheli