*Fonte: PeaceLink.it*

“…Se poi ti guardassi intorno vedresti che il nostro mar è pieno di meraviglie, che altro tu vuoi di più. In fondo al mar…” Così cantava Granchio Sebastian alla sua Sirenetta. Pare che anche i nostri personalissimi granchi vogliano cantarci la stessa canzone, ma noi non siamo sirenette disneyane. Al più, se di sirene si vuol parlare, riferiamoci a quelle di chi lancia allarmi per cosa c’è in fondo al mare nostro.

La storia, a partire dalla fine degli anni 80, ci racconta fatti inquietanti di morti ammazzati e non solo da patologie tumorali, di navi più o meno affondate o spiaggiate da affondamenti non andati a buon fine. Le chiamano navi dei veleni: discariche che contengono tutti i tipi di rifiuti più venefici, dalle scorie radioattive a quelli tossici. Oltre alle morti sospette da inspiegabili picchi di neoplasie in aumento, i fascicoli giudiziari delle procure di tutta Italia contengono parecchi verbali di testimonianze e non solo da parte dei collaboratori di giustizia. Molti giornalisti d’inchiesta hanno seguito i casi e da qui sono state scritte pagine e pagine e andati in onda servizi drammatici ( Rainews24, Blu notte, l’Espresso, solo per citarne alcuni). Via via che la verità stava per essere raggiunta o, quanto meno, illuminava la pista da seguire, ecco che succedevano immediatamente morti misteriose come quelle di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, di Natale de Grazia, punta di diamante del pool investigativo.

In più di 20 anni, nonostante la tecnologia abbia fatto progressi giganteschi, ancora non ci è stato risposto a che ci sta in quei relitti maledetti e, men che meno, i nomi di chi li ha inabissati. Ricordiamo il caso Pitelli di La Spezia, forse il primo barlume della criminale nefandezza. Il primo esposto partì nel 1988, ma solo nel 1996, grazie alle indagini del magistrato Tarditi di Asti e dei suoi collaboratori, si riuscì a dimostrare il disastro ambientale e a emettere avvisi di reato contro innumerevoli imputati “eccellenti”. A che punto sono gli avvisi di reato? Ultimamente sono solo tornate a galla fantasie di imbarcazioni belliche, diventate case per pesci. Ben sanno i pescatori che da quelle parti è bene tenersi alla larga, ché la pesca potrebbe essere letale. Dai cantieri “spariscono” le navi, specie quelle definite carrette, ma quando troviamo gli scafi affondati, le sofisticate apparecchiature ci rispondono che non corrispondo alle caratteristiche della “nave sparita”. E’ di pochi giorni fa la comunicazione del Ministero dell’Ambiente in tal senso. Si procede a informazioni altalenanti fatte di “tutto vero, niente vero”, una specie di depistaggio della memoria e forse non solo di quella. Inabissi di verità e dei suoi ricercatori.

Chi non si fa depistare corre pesantissimi rischi per sé e famiglia. E’ di ieri l’ennesimo attentato incendiario di stampo mafioso a Ortanova, ai danni del direttore di Terra Nostra, Gianni Lannes. In questo momento s’occupa di navi dei veleni e inceneritori. Di lui ricordiamo innumerevoli “inchieste scomode” per la Stampa e svariate altre testate nazionali. Sono tutte indagini giornalistiche volte a dimostrare che i crimini di stampo mafioso si concentrano prepotentemente sullo “smaltimento de rifiuti”. La sua auto è saltata in aria. Il suo giornale on line fondato non molto tempo fa, con lo scopo di denunciare e far denunciare i crimini che stravolgono non solo la sua Puglia, ma la nostra terra, appunto, è formato da giovani giornalisti che da lui imparano il mestiere, quello vero, libero. Intervistato dal Tg3 ci confida che teme per l’incolumità della sua famiglia. Non chiede protezione per sé, ma per i suoi cari. Già a luglio Leoluca Orlando propose interpellanza parlamentare in tal senso.

Quest’uomo è in pericolo solo perché fa il suo mestiere, perché rispetta il dovere d’informare e il diritto a essere informati. Perciò lo Stato deve proteggerlo. A oggi non c’è stata risposta. Se è criminale affondare le navi dei veleni disseminando morte, ben più potrebbe essere l’inabissare, tacendo, i ricercatori di verità.

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