Le immagini durissime dei militari che sparano deliberatamente contro la popolazione civile indifesa sono circolate in tutto il mondo, sollevando sgomento e indignazione. Il triste spettacolo dei corpi straziati di ragazzi, spesso poco più che bambini, le testimonianze delle donne barbaramente stuprate in strada, in pieno giorno, e la disperazione delle famiglie alla vana ricerca dei propri cari, non possono che inorridirci e farci rabbrividire di fronte a tanta violenza.
 
Apparentemente l’accaduto è molto semplice, quasi un cliché di un copione che si ripete all’infinito: un dittatore prende il controllo di un paese africano attraverso un colpo di stato e nel momento in cui la popolazione scende in piazza per contestarlo lui ordina una carneficina. Questo è quello che ci basta sapere. Ci basta per chiudere il giornale e continuare a credere che questi avvenimenti sono inevitabili e che la pacifica Europa sta facendo il possibile per portare la democrazia in un territorio tanto selvaggio e tanto “sfortunato”.
 
Così si sono moltiplicati i messaggi di solidarietà, le ammonizioni delle Nazioni Unite, dell’Europa ed in particolare della Francia, ex potenza coloniale.
 
Ma se davvero ci sta a cuore la vita di tante persone, allora dobbiamo fare lo sforzo di interrogarci seriamente sull’accaduto, di vederne le cause e l’ordine degli avvenimenti.
 
Allo stato attuale dei fatti è pressoché impossibile avere uno scenario chiaro di quello che sta accadendo in Guinea, comprenderne le responsabilità e tanto meno ipotizzare la piega che gli avvenimenti possono prendere. Ciononostante risulta di fondamentale importanza rispondere ad alcuni interrogativi che fino ad ora nessuno ha avuto il coraggio di porsi.
 
Perché nell’anno 2006 e 2007, sotto la dittatura del presidente Lansana Conté, nonostante gli enormi eccidi in cui hanno perso la vita oltre 500 persone, l’opinione pubblica internazionale è rimasta pressoché in silenzio? E perché in questo momento non sta accadendo la stessa cosa?
 
A tal proposito è opportuno rilevare che una delle prime mosse politiche del presidente Dadis Camara, è stata quella di rinegoziare i contratti con le compagnie che da decenni sfruttano le enormi risorse minerarie del paese, in particolar modo le società che appartengono a gruppi francesi e statunitensi.
 
Quello che indubbiamente appare chiaro è che i partners internazionali della Guinea, che da anni hanno stipulato accordi con l’ex dittatore, non hanno gradito affatto l’ascesa al potere del nuovo presidente.
 
Perché la Francia, che nelle passate occasioni ha mantenuto un atteggiamento neutrale, nonostante le evidenti violazioni dei diritti umani, si sta operando con tanto zelo per essere presente sul territorio con l’invio di contingenti umanitari?
 
Dalle condizioni di estrema disgregazione in cui versa l’esercito guineano appare chiaro che un tentativo di destabilizzazione dall’interno non sarebbe affatto difficile da fare, ad opera di qualsiasi potenza straniera armata di un minimo di fondi a disposizione.
 
Perché da diversi giorni si sta parlando della situazione guineana in termini di problemi “etnici”, quando in realtà questo non ha costituito minimamente la causa dei disordini degli ultimi giorni?
 
Perché la stampa ha iniziato a parlare del capitano Dadis Camara usando termini come “dittatore sanguinario” molto prima dei fatti di sangue che hanno coinvolto il paese?
A tal proposito è interessante notare che la presa del potere da parte del CNDD, il comitato militare che controlla il paese,  è avvenuta in maniera pacifica e senza spargimenti di sangue. 
 
Quali sarebbero i paesi ed i gruppi economici che trarrebbero vantaggio da un’esplosione di disordini e violenza etnica in Guinea? E quale è stato fino ad oggi il loro atteggiamento di fronte al nuovo governo?
 
Quali sono i gruppi economici internazionali che hanno da sempre avuto degli accordi vantaggiosi con il dittatore Lansana Conté e che oggi potrebbero veder minacciati i propri interessi?
 
Cosa è stato fatto concretamente dall’Onu, dall’Europa e dalla Unione Africana fino ad ora per prevenire o amministrare queste situazioni?
 
Sul capitano Dadis Camara ricadono indubbiamente delle pesantissime accuse, di cui non v’è dubbio che debba rispondere al suo paese e alla comunità internazionale. Tuttora non v’è dubbio che egli debba essere ritenuto il principale responsabile dei gravissimi accadimenti del 28 settembre. Ma un’accusa e una presa di posizione in tal senso non rivestirebbe alcun valore se non si rispondesse seriamente a queste domande.
 
Rispondere a tutti questi interrogativi è un dovere verso tutte le persone che hanno perso la vita in Guinea.
Non rispondere equivale, senza dubbio, a condannare la popolazione a subire nuovi drammi.
 
Gli umanisti di tutto il mondo sono vicini al popolo di Guinea ed auspicano che venga fatto tutto il possibile per evitare che tali atrocità si ripetano e perché la comunità internazionale si adoperi con tutte le proprie forze al fine di restituirgli la dignità e la sovranità che merita e che fino ad oggi non ha mai avuto.