L’India è un paese impegnato verso l’internazionalismo, o universalismo. Questo impegno risale a migliaia di anni fa e può essere ben compreso e riconosciuto attraverso l’antico slogan indiano ‘Vasudhaiva Kutumbakam’. Oltre a ciò, migliaia di anni di armonica ed evolutiva cultura indiana, attraverso le pratiche dei suoi massimi ‘bingers’, gli indiani, hanno categoricamente ribadito questo impegno verso l’internazionalismo. Oggi questo sta ancora accadendo. La cultura indiana, con le sue caratteristiche uniche ed esemplari, tra cui le più importanti sono l’adattamento e l’enorme capacità di accettazione, ha attirato l’attenzione di tutto il mondo, aprendo le porte del suolo indiano a tutti e a ciascuno, a prescindere da che parte o regione del globo lui o lei provenga. Questo, sicuramente, è stato un passo eccezionale verso l’internazionalismo. Si tratta di una buona lezione da imparare da parte di tutte le nazioni e i cittadini del mondo. In particolare, in questo momento di globalizzazione (che è un’altra forma di internazionalismo)in cui marciare insieme è diventato necessario, le distanze tra le nazioni sono in costante diminuzione, a diversi livelli e in differenti stadi della vita, e la cultura indiana con le sue caratteristiche esemplari può guidare il mondo nella creazione di un vero internazionalismo, affinché diventi un punto fermo e una fonte di benessere per tutti.

E’ stata la cultura indiana, con il suo ampio campo di applicazione, ad accordare di volta in volta protezione ai seguaci delle diverse fedi e credenze del mondo. Questa cultura ha aperto le porte affinché tutti potessero stabilirsi sul suolo indiano, fornendo loro pari opportunità perché potessero svilupparsi. Questo processo è iniziato migliaia di anni fa ed è continuato per secoli. Forse soltanto in India si è iniziato un tale eccellente lavoro.

L’impegno dell’India nei confronti dell’internazionalismo può ben essere osservato anche nel suo rispetto per l’Ahimsa, la non-violenza, valore supremo dell’uomo. In altre parole, Ahimsa è una parte indivisibile delle pratiche quotidiane degli appelli indiani al più alto livello di benessere umano e afferma quindi l’idea del più grande internazionalismo. Opera per l’unità degli esseri umani.

“Non per infliggere a pensieri, parole e azioni di altri i nostri pensieri, parole e azioni, allo stesso tempo per non rovinare la vita” è un concetto incluso nella filosofia indiana dell’Ahimsa. In breve, “Il totale distacco da Himsa-violenza è Ahimsa, la non-violenza.” E’ evidente che non solo gli esseri umani, ma tutti gli esseri viventi sono inclusi nel concetto indiano di non-violenza. Ora, dove c’è un tale sentimento per gli esseri viventi, quanto riguardo ci sarà per gli esseri umani? Possiamo comprendere che dalla concezione indiana della non-violenza e attraverso di essa si può realizzare l’impegno dell’India e la sua dedizione all’internazionalismo e all’universalismo.

La filosofia indiana, il pensiero spirituale, l’educazione ed i messaggi di questi grandi uomini, riformatori e iniziatori dei nuovi tempi che nascono di tanto in tanto sul suolo indiano, hanno chiamato le persone a dare ampio spazio, nelle proprie pratiche quotidiane, all’umanità come interesse centrale. Hanno esortato la gente a basare il proprio comportamento sul principio di ‘Vasudhaiva Kutumbakam’. Hanno inteso il nazionalismo come prima fase dell’internazionalismo e hanno ispirato la gente a rafforzare l’obiettivo della prosperità e del benessere per tutto il mondo. Pertanto, il concetto indiano di nazionalismo, per sua natura, non è restrittivo nè ingeneroso, ma, ripeto, è il passo iniziale verso l’internazionalismo. Coloro che considerano il nazionalismo indiano in una prospettiva ristretta, o lo considerano in modo isolato, devono comprenderlo nella sua realtà. Dovrebbero andare alle sue radici. Se lo facessero, sono certo che lo troverebbero completamente libero dallo stato di isolamento. Si renderebbero conto che esso è certamente votato all’internazionalismo, o universalismo.

Il Mahatma Gandhi, che era un seguace dell’Ahimsa e un precursore della Cultura dell’India, aveva detto: “Se voglio la libertà per il mio paese… non voglio quella libertà affinché io, appartenente a una nazione che conta una quinto della razza umana, possa sfruttare qualsiasi altra razza sulla terra, o qualsiasi singolo individuo. Se volessi quella libertà per il mio paese, non sarei degno di tale libertà, se non avessi a cuore e non facessi tesoro del diritto di parità di ogni altra razza, debole o forte, alla stessa libertà”. Questa affermazione chiarisce pienamente la realtà dell’impegno dell’India verso l’universalismo. Allo stesso tempo, la dichiarazione che segue è, a questo riguardo, altrettanto rilevante e significativa: “Attraverso la liberazione dell’India cerco di liberare le cosiddette razze più deboli della terra dal giogo dello sfruttamento da parte dell’Occiedente. La progressiva autonomia dell’India significa che ogni nazione può fare altrettanto”. Il Principio di Sarvodaya del Mahatma Gandhi, che è in consonanza con le tradizioni e i valori indiani e che è inoltre influenzato dalla teoria di Ruskin di ‘A quest’ultimo’ (ndt: in it. A quest’ultimo. Quattro saggi di socialismo cristiano, Marco Valerio, 2003; inoltre (Until the Last) tradotta in A quest’ultimo nel 1936 e in altre due edizioni come: Fonti della ricchezza (1908) e I diritti del lavoro (1946)), può essere considerato il migliore sulla strada per l’uguaglianza umana. Questo principio, senza alcuna discriminazione basata su casta, genere di classe, comunità o territorio, assegna uguale valore sia al lavoro di un intellettuale che a quello di un coltivatore. Parla della maggiore felicità per tutti rispetto alla teoria utilitaristica della maggiore felicità per il maggior numero di persone. Questo principio è l’anticamera delle pari opportunità di progresso per gli ultimi. Chiarisce in modo fermo che la maggiore felicità per tutti include anche la maggiore felicità per il maggior numero di persone. Di conseguenza, porta l’umanità tutta al suo ovile e, pertanto, rivela in modo splendido l’internazionalismo.

Inoltre, la teoria gandhiana dell’Amministrazione Fiduciaria, che secondo il Mahatma può essere l’alternativa a un’istituzione come quella dello Stato, basata sulla violenza, riflette chiaramente la percezione di internazionalismo. Lui, in quanto uno dei grandi anarchici, è a favore dell’abolizione progressiva dell’istituzione dello Stato. Al posto dello Stato spinge verso l’approvazione di un ordine del mondo basato sulla parità. Si tratta infatti di un passo più in là dell’internazionalismo. In esso l’umanità intera, senza alcuna discriminazione e limite territoriale, si riunisce e si identifica. Pertanto, le opinioni del Mahatma Gandhi non possono essere prese con leggerezza, non importa se l’istituzione dello Stato, come da lui auspicata, non può essere abolita immediatamente o entro un termine prefissato. Vale la pena di riflettere sul suo punto di vista, a prescindere dal fatto che il suo desiderio di ordine mondiale sembri essere un’utopia per molti. A questo proposito Gandhi, durante la sua permanenza in Sud Africa, aveva organizzato un modello di vita collettiva con la ‘Forma Tolstojana’. Lì stavano insieme persone appartenenti a diverse comunità religiose, sette e caste: lavoravano e mangiavano insieme.
E’stato un esperimento riuscito, da parte di Gandhi. Pertanto le sue idee, a costo di sembrare utopiche, poco pratiche o completamente imbevute di morale ed etica, sono oggetto di analisi minuziose in quanto importanti e significative per l’affermazione dell’internazionalismo. Ottantacinque anni fa, nel 1924, il Mahatma Gandhi aveva detto: “Il mondo oggi non desidera degli Stati assolutamente indipendenti in guerra uno contro l’altro, ma un’amichevole federazione di Stati interdipendenti. La realizzazione di un tale evento potrebbe essere lontana. Non voglio avanzare alcuna pretesa sulla terra, per il nostro paese. Ma non vedo affatto troppo grande o impossibile esprimere la nostra disponibilità verso l’interdipendenza universale, piuttosto che verso l’indipendenza”. Questa affermazione del Mahatma si somma al concetto di internazionalismo. Amplia notevolmente la scala.
È possibile che ottantacinque anni fa le affermazione di Gandhi fossero per molti appena immaginabili. Ma, oggi, in circostanze mondiali completamente cambiate, ci invitano a riflettere su di esse con onestà e sincerità.

Grazie all’aumento costante dello sviluppo a livello globale, a dispetto dell’esistenza di Stati-nazione indipendenti, oggi ci troviamo di fronte a un avanzato stato di interdipendenza, che è destinato a crescere ancora. Non importa se la si ritenga una costrizione da parte nazioni del mondo, andare avanti insieme è ormai inevitabile. Lavorare insieme è necessario per tutti i cittadini del mondo. In una tale situazione i suggerimenti del Mahatma e le opinioni da lui espresse di volta in volta, dense di internazionalismo, dimostrano la loro capacità di adattamento e il loro significato.

Sarà meglio e di grande aiuto se le nazioni del mondo, assumendo come centrali le opinioni ei suggerimenti di Gandhi, avanzino nel lavorare verso uno stato di armonia chiedendo tempo e spazio, anzichè lavorare in uno stato di costrizione. Se collettivamente creeranno un’atmosfera favorevole ciò farà bene a tutto il mondo.

All’inizio abbiamo discusso dell’impegno dell’India per l’internazionalismo. Il Mahatma Gandhi aveva desiderato che l’India fosse promotrice dell’istituzione di un ordine del mondo dedicato alla pace e alla prosperità. Egli ha anche auspicato che l’India svolgesse un tale titanico compito ritenendolo una propria responsabilità. Ciò è possibile perché l’India, grazie ai suoi valori unici, alla sua Cultura esemplare e all’impegno per la nonviolenza, è in grado di farlo.

Pertanto, l’India deve camminare verso l’istituzione di un vero e reale internazionalismo, e così facendo diventare un ideale per il resto del mondo.

(Traduzione dall’inglese: Matilde Mirabella)