Ciò che il marketing natalizio non ti dirà sull’Africa.

“L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E’ un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. E’ solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste.”

Ryszard Kapusciknski, Ebano

Africa. Una realtà complessa e mutevole, impossibile da incasellare in facili categorie, e rispetto alla quale le convinzioni di tanti europei, anche di quelli che si dicono animati di buone intenzioni, risultano per ciò che sono: stereotipi e pregiudizi alimentati dai mezzi d’informazione e dalla nostra passività.

Credere che l’Africa sia un immenso e unico calderone di disastri le cui origini risiedono nella genetica di uomini e luoghi in fin dei conti è più facile e rassicurante, ci permette di rimanere al calduccio delle nostre convinzioni e di crogiolarci nell’illusione che un sms “solidale” basti a risolvere i problemi del mondo, o almeno ci permetta di dimenticarli fino al prossimo Natale. http://www.youtube.com/watch?v=Dmcak3yzf04 e http://www.unhcr.it/

Comodo, molto più comodo di quel continuo esercizio dell’interrogare e dell’interrogarsi.

E allora proprio in questo periodo di panettoni e statuine del presepe, mentre tra le luminarie e le pubblicità le nostre città si affollano dei visi di tanti bimbi africani, utilizzati a insaputa loro e dei loro genitori – perché, al contrario di quanto vogliono farvi credere, non tutti i bambini africani sono orfani infelici in attesa della vostra generosa carità – per pietire donazioni della cui effettiva destinazione nulla sappiamo (e che probabilmente si perderanno in buona parte negli stipendi di tecnici e funzionari iperpagati, o nelle spese per marketing e pubblicità), la redazione di Noise From Africa vi propone un’altra strada per arrivare in Africa: conoscere alcune delle numerose associazioni costituite da volontari locali – e non da missionari o cooperanti bianchi – impegnate nella società civile dei loro Paesi per risolvere piccoli e grandi problemi, rivendicare leggi più eque, chiedere e ottenere giustizia.

Chiunque faccia attenzione e dedichi un po’ di tempo a una ricerca, anche superficiale, potrà rendersi conto che il volto più autentico di tanti Paesi africani è proprio quello dei giovani e delle donne – numerosissimi – che si impegnano per cambiare le cose, chiedendo rapporti equi di collaborazione e scambio, che nulla hanno a che fare con la carità.

In questo articolo vi proponiamo dunque il lavoro di REDO – Rural Environment and Development Organisation, con sede a Kigali, Rwanda (è possibile trovare informazioni sulla pagina di EJF Foundation, partner dell’associazione, la cui pagina web è temporaneamente fuori uso http://ejfoundation.org/node/948), fondata nel 1999 e attiva per lo sviluppo e l’integrazione sociale delle comunità emarginate. In particolare, REDO si occupa dei Batwa, gruppo costituito da circa 33.000 individui, in gran parte originari della Regione dei Grandi Laghi (http://www.unpo.org/members/7861 e https://intercontinentalcry.org/the-batwa-rwandas-invisible-people-19581/ ) : rappresentano lo 0,4% della popolazione rwandese, a fronte dell’85% costituito da Hutu e del 14% Tutsi.

Tradizionalmente cacciatori e raccoglitori, i Batwa negli anni Settanta e Ottanta sono stati obbligati ad abbandonare le foreste a causa della politica governativa volta alla creazione di parchi naturali e aree protette: non hanno ricevuto alcun risarcimento e si sono ritrovati privi di terra, completamente sradicati e senza alcuna forma di tutela e rappresentanza politica.

Durante il genocidio (1994), i Batwa hanno subito gravi perdite poiché considerati vicini ai Tutsi; in tempi recenti, invece, le loro richieste di riconoscimento come gruppo etnico distinto, in virtù di elementi culturali dotati di unicità, sono state negate in base alla Costituzione del 2003: allo scopo di evitare il ripetersi di conflitti su base etnica, ogni richiamo ai gruppi Bahutu, Batusi e Batwa viene condannato poiché contraddice il principio dell’armonizzazione in un unico popolo rwandese.

Di fatto, la fermezza del governo si tramuta in cecità, e ha conseguenze discriminatorie su un popolo sradicato e privo di tutele, che resta autenticamente compresso tra i gruppi maggioritari; riconoscere il loro particolare patrimonio culturale, economico e sociale, permetterebbe forse di riconoscerne e tutelarne anche le fragilità.

Solo l’1,6% dei Batwa ha a disposizione della terra da coltivare, mentre il 91% non ha accesso all’educazione formale: niente terra, niente scuola, nessuna forma di assistenza sanitaria per un popolo marginalizzato la cui unica fonte di reddito resta l’artigianato tradizionale legato alla lavorazione di manufatti in terracotta e ceramica, oltre all’accattonaggio nelle periferie dei centri urbani.

In tale contesto si inserisce l’operato di REDO, attiva nell’area del Nyungwe National Park e concentrata su due assi principali:

  • alfabetizzazione degli adulti, volta a far acquisire, oltre alle competenze di lettura e scrittura, maggiore conoscenza dei diritti e autoconsapevolezza, per indurrre la comunità a lavorare e a non ricorrere all’accattonaggio, a mandare a scuola i bambini, a rivolgersi agli ospedali e ai centri sanitari quando si è malati o quando le donne necessitano di cure prenatali
  • sviluppo dell’apicoltura con strumenti moderni: i gruppi presenti a Kitabi e Gatare hanno dato vita ad alcune cooperative informali per l’allevamento delle api; REDO lavora per lo sviluppo di tali realtà, partendo da una formazione professionale volta all’acquisizione di tecniche e strumenti moderni, e dallo studio del mercato, per giungere a una redditizia commercializzazione del miele. Si tratta di un settore in espansione, che non richiede materie prime costose e che permetterebbe ai produttori di entrare a far parte del Forum nazionale degli apicoltori, ponendosi in un rapporto paritario con gli altri gruppi etnici presenti.

REDO è costituita da volontari qualificati in diversi ambiti; nel suo staff sono presenti ingegneri, agronomi, biologi, esperti in business e amministrazione, il cui approccio si basa sul massimo coinvolgimento delle comunità beneficiarie in ogni fase dal progetto, dall’ideazione all’implementazione. Attraverso la condivisione dei processi decisionali crescono autoconsapevolezza, fiducia, capacità di lavorare insieme: un vero e proprio processo di empowerment che costituisce l’unica chiave di successo a lungo termine per le comunità interessate, e che dovrebbe essere il senso autentico, l’unico fine possibile, di ogni forma di cooperazione e di solidarietà.

Ci piace sottolineare il tentativo di coniugare l’integrazione e lo sviluppo economico alla valorizzazione delle enormi risorse naturali presenti in Rwanda: buona parte delle attività di REDO sono infatti indirizzate all’educazione ambientale e alla sensibilizzazione delle nuove generazioni in merito alle possibilità di uno sviluppo sostenibile: tra le iniziative realizzate troviamo orti nelle scuole, corsi di formazione per la tutela dell’ambiente, giornate di sensibilizzazione rivolte agli studenti, al fine di promuovere una cultura ambientalista in Rwanda e, allo stesso tempo, creare consapevolezza sul potenziale economico derivante da un corretto utilizzo delle ricchezze naturali.

Il lavoro di Redo Rwanda per le comunità marginalizzate

Il lavoro di Redo Rwanda per le comunità marginalizzate

Qual è il modo migliore per sostenere il lavoro di REDO e dei Batwa? Dal nostro punto di vista un rapporto di collaborazione basato su scambio, condivisione, rispetto e consapevolezza, nella direzione di un arricchimento reciproco.

Più in generale, se vogliamo aiutare i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo (PVS), abbiamo bisogno di mettere in discussione le regole sottese al funzionamento della cooperazione e degli aiuti umanitari, se la logica dominante è quella portata avanti dai mezzi di informazione, basata su immagini decontestualizzate che finiscono col rafforzare pregiudizi e stereotipi, relegando gli africani al ruolo di beneficiari passivi, di popolo bambino che da solo non può farcela.

Redo non è una mosca bianca: in quel pezzetto di Africa che abbiamo conosciuto, e che si limita fino ad oggi a Senegal, Guinea, Burkina Faso, Kenya, Nigeria, abbiamo incontrato tantissime realtà che tentano di dare voce a una società civile che vuole cambiare, liberandosi da rapporti di sudditanza economica e culturale.

Guardare a quei mondi, forse, ci aiuterebbe a comprendere che non sono poi così lontani e che costruire ponti può aiutarci a recuperare lo slancio e il desiderio di partecipazione necessari a cambiare, anche qui, quel che non ci piace.

Ileana Prezioso

Noise From Africa

Articolo originale:

http://noisefromafrica.wordpress.com/2013/12/10/empowerment-e-solidarieta-redo-rwanda-per-lo-sviluppo-locale-cio-che-il-marketing-natalizio-non-ti-dira-sullafrica