Riportiamo comunicato stampa del Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia in merito alle misure cautelari contro Mohammed Hannoun e altri attivisti filo-palestinesi.
Esprimiamo forti perplessità in merito alle misure cautelari emesse nei confronti di Mohammed Hannoun e di altri attivisti impegnati in attività di solidarietà con la popolazione palestinese.
L’impianto accusatorio presenta un elemento di eccezionale criticità: una parte rilevante delle contestazioni si fonda su documentazione prodotta dall’esercito israeliano nel corso di operazioni militari condotte nella Striscia di Gaza. Tali materiali risultano recepiti come prove documentali senza un adeguato vaglio di terzietà, attendibilità e verificabilità.
Israele non è soggetto neutrale né una semplice “parte in conflitto”. È uno Stato attualmente sottoposto a scrutinio per genocidio davanti alla Corte Penale Internazionale, destinatario di misure provvisorie vincolanti.
Questo dato giuridico non può essere ignorato quando le sue forze armate producono materiale ‘probatorio’ destinato a incidere sulla libertà personale di cittadini residenti in Italia.
Si tratta di documenti formati in un contesto radicalmente incompatibile con le garanzie del giusto processo: si configura assenza di contraddittorio, produzione unilaterale e provenienza da un apparato militare direttamente coinvolto in crimini di guerra oggetto di indagine internazionale.
Il loro utilizzo determina un pericoloso slittamento, dalla cooperazione giudiziaria al recepimento acritico di intelligence militare.
Particolarmente allarmante è la qualificazione di attività di assistenza umanitaria come “finanziamento al terrorismo”, fondata sull’inclusione delle organizzazioni beneficiarie in liste predisposte da un governo straniero.
In tal modo, l’etichettamento politico tende a sostituire l’accertamento giudiziale: se un soggetto viene definito dall’esercito israeliano come “familiare di un terrorista”, tale qualificazione sembra assunta come presupposto di rilevanza penale, senza una verifica autonoma e indipendente da parte dell’autorità giudiziaria italiana.
In questo quadro, l’azione penale appare piegata a una rilettura unitaria addirittura retroattiva di oltre vent’anni di attività umanitaria, nel tentativo di attribuire rilievo penale a fatti già oggetto di precedenti archiviazioni.
L’utilizzo di presunti “nuovi elementi” forniti dall’esercito israeliano dopo il 7 ottobre 2023 sembra configurare un clima di emergenza interpretativa che rischia di travolgere i principi di legalità e di certezza del diritto, proiettando retroattivamente un sospetto penale su condotte nate come forme di solidarietà assolutamente lecita.
Ciò che si delinea è un caso paradigmatico di lawfare: l’uso del diritto penale come strumento di proiezione di una strategia politica e militare esterna, in cui l’intelligence di uno Stato accusato di genocidio finisce per orientare le valutazioni di un tribunale della Repubblica Italiana.
Un corto circuito istituzionale che mette in discussione la sovranità della funzione giurisdizionale.
Richiamiamo pertanto la magistratura al rispetto rigoroso dei principi di autonomia e indipendenza.
L’accertamento penale non può fondarsi su prove prodotte da un apparato militare impegnato in un conflitto armato, né su classificazioni politiche assunte come verità giudiziarie.
In gioco non vi è soltanto la posizione degli indagati, ma la tenuta stessa dello Stato di diritto e il confine – sempre più fragile – tra giustizia e guerra giuridica.
Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia










