Una delle mie astruse linee di ricerca (perché è possibile averne anche senza essere di “ruolo” in un’azienda o nei ranghi di una impresa educativa di Stato) è che l’immaginario abbia prevaricato la sua tradizionale funzione di nodo tra i codici e il corpo, in quella che Zizek chiamò (anticipando l’evento della pandemia) epidemia, o piaga. Un altro libro, mai tradotto in Italia, aveva esposto la distanza tra il contratto e il contagio, collegando a quest’ultimo le forme di una deriva politica postdemocratica.
Non c’è rappresentanza di interessi collettivi e, soprattutto, non ci sono soggetti collettivi perché evaporati in quelle nubi che Deleuze descrisse come sciami, illudendosi ancora che potessero in qualche modo sottrarsi al dispotismo delle tradizionali macchine da guerre macropolitiche. Erano i dispositivi e la loro produzione di soggetti collettivi di enunciazione, quelli che erano indagati da Foucault fin dai tempi di Sorvegliare e punire, a tenere ancora il campo a dispetto del “divenire minoritario” di quei percorsi di emancipazione plurali, ma ancora legati al teatro della rappresentazione politica tradizionale. Banalmente, per essere extraparlamentari o movimentisti, deve pur esserci un parlamento e delle istituzioni, altrimenti le mute, le bande e gli eserciti si ibridano fino al punto da confondersi. Ed è questo il punto in cui ci siamo trovati. O perduti.
Ma bando alle ciance, faccio un esempio, come spesso ho tentato su questo blocchetto per gli appunti del mattino lasciato aperto su un tavolo.
L’altra sera cinque misure sono state «espunte» dalla Manovra. Si trattava di cinque provvedimenti «ordinamentali», senza poste di bilancio ma dai forti dubbi costituzionali. Erano stati infilati di tutta fretta nel maxiemendamento, salvo finire come il famoso gatto in Tangenziale.
Tra queste norme ce n’era anche una che consentiva agli imprenditori, che sulla base di quanto stabilito dai giudici non avevano pagato adeguatamente i propri lavoratori, di non corrispondere loro gli arretrati. E poi la revisione della disciplina della Covip (la Commissione di vigilanza sui fondi pensione), la riduzione da 10 a 4 anni per i magistrati fuori ruolo per rientrare in gioco e poi due iniziative sugli incarichi per chi lavora con le pubbliche amministrazioni.
Ebbene la norma che graziava gli imprenditori cattivi pagatori di dipendenti, permettendogli di non pagare arretrati dovuti, è stata promossa a misura di un valore simbolico decisivo. Come dire: questo no, questo è troppo e ora basta!
La norma col valore simbolico non è passata alla fine. Il resto sì. Bene, diremmo. Meglio di niente. E invece no, perché quella norma è il resto ed è meno che zero (come la manifestazione per Askatasuna programmata per la notte di fine anno, ma qui non lo spiego). È il presunto valore simbolico che non vale niente perché è separato dal contesto, isolato da uno sfondo, quelli che lo rendevano non solo leggibile, visibile (immagine e somiglianza) ma intellegibile (risparmio il presupposto teologico di questa nota). Perché non è più un discorso e un grande altro a rendere dialettico il processo, ma una parola che è un pezzo da mandar giù senza pensarci. Mi viene in mente un motivetto che cantavo alle mie figlie da piccole: senza pensieri la tua vita sarà, Akuna matata, in libertà! Il patriarcato era già trapassato, ma io canticchiavo una storiella che lo ripeteva ed ero stupidamente felice.
Ecco, la manovra è passata e con lei anche altri provvedimenti che vanno tutti in direzioni che nulla hanno a che vedere con quel “regime” di scambi simbolici che chiamiamo costituzione. I bonus, le accise, le pensioni, i conflitti di interesse… la processione è virale, un contagio che non ha letteralmente alcuna disciplina giuridica o riferimento ad un qualche ordine ideale o logico. Un si salvi chi può che non è imputabile alle destre. Anzi, sono proprio loro oggi a rappresentare in forme maggioritarie quel che resta del contratto sociale, come dimostrano non solo i sondaggi ma le elezioni. E come si evince dall’assenza di quei mediatori istituzionali tradizionali (sindacati, socialismo, movimenti come quello studentesco o femminista) che in passato hanno rappresentato un’altra parte (movimento operaio, diritti civili, democrazia). Tutti i treni che partono oggi dalla stazione, (contando qualcosa da quelle apparenti battute improduttive di arresto ai flussi economici, finanziari, militari, migratori…) sono segnati da parole vuote o significanti padroni (green, trans, digitale…) che li fanno viaggiare in compagnia del virus di turno.
Prendi una “cosa” qualunque, la butti in mezzo e chiedi: tu che da che parte stai? Altro che dialettica, e penso a quei volumi che Sartre dedicò proprio al superamento di quel capolavoro di studio dell’immaginario che era stato L’essere e il nulla, scoprendo quella dimensione collettiva e politica che era stata il frutto non di una filosofia, forse un po’ anche, ma di pratiche e riflessioni. A mio parere questo oggi è divenuto impossibile, come pensare a una dieta senza tirare in ballo omega 3 o probiotici. Per questo si possono solo regolare e dirigere flussi collegando di volta in volta codici binari e corpi gloriosi, contagiati da una qualche luce nient’affatto teologica o ideale.
E allora eccolo un presidente della Repubblica ultimo paladino del dettato costituzionale, “ma anche” il suo esecutore testamentario, un passacarte che firmato praticamente ogni “cosa”. È un ministro della Lega che copia la Fornero, che è immune da qualunque ringhio di Landini, leader di un sindacato che ha indetto e fatto uno sciopero generale per Gaza (che, sia chiaro, meritava una mobilitazione) e un altro poi, ma fuori tempo e fuori gioco. Perché il problema non era quello degli scioperi di venerdì, come malevolmente ha pi volte detto là premier, ma il Natale e le feste. Non si fanno rivoluzioni sotto l’albero e fino alla Befana pensiamo ai regali!
Fine quindi del teatro dialettico, della rappresentanza e rappresentazione, del significato univoco e delle metafore? Si naviga a vista e per analogia, ci si collega e si estrae un plus di godimento senza oggetto?










