La Global Sumud Flotilla è un appello all’umano. Essa è una iniziativa internazionale che coinvolge un esiguo gruppo di persone inermi di 40 diversi paesi del mondo che sanno di poter contare solo sulla propria buona volontà. Mentre il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, invitando alla mediazione, ne ha riconosciuto il valore civile, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha definito questa iniziativa “gratuita, pericolosa e irresponsabile”. Così la pensa l’intera destra politica e culturale italiana? Se c’è qualcuno/qualcuna che non è d’accordo con il suo Capo, lo dica.
Mi permetto, sommessamente e pubblicamente, in modo pacifico e nonviolento, di dissentire. Dire No significa esporsi, significa sottrarsi alla complicità silenziosa, significa rimanere fedeli a se stessi e agli altri, significa testimoniare con un segno visibile che la giustizia prima o poi si afferma, anche quando fosse sostenuta da una sola voce.
Perché dissento?
- Dissento perché la Flotilla, è “gratuita” non perché è di parte, ma perché è contro le parti.
- Dissento perché non è “irresponsabile” l’azione della Flotilla bensì quella del governo italiano, dei governi del mondo, dei/delle potenti della terra.
- Dissento perché la fine della guerra contro Gaza non può non passare che attraverso la contrapposizione ai corpi armati dei violenti di corpi disarmati di pace.
Che cos’è la Flotilla? È una obiezione di coscienza collettiva – “un atto di gettare qualche cosa contro l’ordine legale di preparare ed eseguire la guerra”[1] – è una forma di disobbedienza civile radicale compiuta da donne e uomini che scelgono di affrontare il mare per rompere con il silenzio, la complicità, la neutralità. Come scrive Alessandro Esposito, “questo è un «Kairòs» direbbero i profeti”; come “quando il tempo non è più attesa ma decisione che si compie. Il loro viaggio ci interpella: ci chiede di non voltare lo sguardo altrove perché il tempo di scegliere è già arrivato”[2].
La Flotilla è il simbolo dell’azione di decine, centinaia, migliaia di persone che chiedono di “fermare la violenza”, una “violenza inaccettabile contro un intero popolo”, evitare l’”esilio forzato della popolazione palestinese”, cessare una “inutile strage”. Di fronte all’orrore non possiamo più continuare ad occuparci indifferentemente dei nostri impegni e dei nostri progetti.
Consideriamo orrendo allo stesso modo il male subito e il male inferto. Non è tollerabile rimanere impassibili ad osservare il male che viene compiuto, immaginando che “nessuno chiamerà a giudizio coloro che potevano fare o dire qualcosa”, mentre viene edificata “la città della nostra vergogna”[3].
Non è più tempo solo di parole e pensieri, è tempo di gesti concreti, è tempo che la coscienza si trasformi in responsabilità: “È il tempo in cui non si può più restare neutrali, in cui la vita chiede di essere custodita e la speranza di essere nutrita”[4]. L’ingiustizia non può restare senza risposta. Non è il passato che ci preoccupa, è il futuro che ci dà pensiero, un futuro in cui non si placherà il tornado di odio che ci sovrasta se non diamo voce a un tentativo di disarmare le mani, i cuori e le menti.
Ciò che accade a Gaza è un crimine contro l’umanità inescusabile, risponde a una logica incomprensibile senza sbocco che non può più essere giustificata come una reazione all’infame pogrom del 7 ottobre 2023 compiuto da Hamas, richiede una condanna totale e senza eccezioni. Dire di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite: “Lasciateci finire il lavoro …”[5], iniziato quasi due anni fa, è una bestemmia davanti a Dio e un’offesa alla verità e alla memoria.
Come afferma David Grossman, “la pace è l’unica strada”[6], non la guerra perpetua che non può essere il destino né di quella terra né dell’umanità. Fino a quando si continuerà a uccidere e a lasciare morire donne, uomini e bambini a Gaza? Fino a quando la guerra non verrà condannata come una “via bloccata” (Norberto Bobbio[7])? Fino a quando si continuerà a considerare la guerra come un male necessario, minore e o apparente se non addirittura come un mezzo per preparare la pace (si vis pacem para bellum)? Questo non è vero, non è più vero. Non possiamo più continuare a dire che è sempre stato così perché non è mai stato vero.
La pace è la più grande forma di buona cooperazione di cui le persone sono capaci. Se vogliamo la pace dobbiamo preparare la pace. La pace, per tradizione, porta con sé l’idea di un nuovo inizio. La normalità di ieri non tornerà più. “Il tempo che ci resta non è fatto solo di stagioni che passano: è fatto delle scelte che decidiamo di compiere”[8].
[1] Così Aldo Capitini definisce l’obiezione di coscienza. P. Polito, Preferirei di No. Fuori la guerra dalla storia, Prefazione di Luigi Ferrajoli, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2025, p. 19.
[2] A. Esposito, Il viaggio per dire basta all’assedio, “Domani”, lunedì 1 settembre 2025, p. 10.
[3] Sergio Labate, I valori dell’Occidente, “Domani, lunedì 1 settembre 2025, p.10.
[4] Ivi.
[5] Così si è espresso Netanyahu all’Assemblea delle Nazioni Unite semideserta, il 26 settembre 2025.
[6] D. Grossmann, La pace è l’unica strada, a cura di Alessandra Shomroni, Mondadori, Milano 2024.
[7] N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, il Mulino, Bologna 1979 e Il terzo assente. Saggi e discorsi su la pace e la guerra, a cura di P. Polito, Sonda, Torino 1989.
[8] Lorena Mattiacci, Il clima dipende dalle nostre scelte, “Domani”, 1 settembre 2025, p. 10.










