Siamo alla fine dell’estate e milioni di persone hanno reso visita a quelli che nell’immaginario comune sono luoghi in cui trascorrere le calde giornate assolate, sdraiati su lettini all’ombra di ombrelloni tra un tuffo nell’acqua e un drink rinfrescante.
Purtroppo tra le distese di ombrelloni e di lettini non molti si accorgono che le spiagge sono delicati ecosistemi, in cui un enorme numero di piante e animali troverebbe il proprio habitat: si, scriviamo troverebbe, perché purtroppo oggi quell’habitat è stato completamente distrutto e sono pochissimi i lembi di costa in cui ancora se ne possono riscontrare alcune tracce. Lembi così rari e preziosi che in parte sono stati inclusi nella Rete Natura 2000 di aree protette dall’Unione Europea, purtroppo in Italia spesso solo sulla carta: tanto che se ne ignora in gran parte l’esistenza, mentre il loro degrado avanza nell’indifferenza delle istituzioni e in nome dello sfruttamento economico.

Ecosistemi dunali che, in base al grado di sviluppo e alla distanza dalla battigia, si distinguono in embrionali, consolidati, retrodunali, anche rocciosi e, in base alla vegetazione che li caratterizza, in caliketo, agropireto, ammofileto, Crithmo-Limonietum e tanti altri, tutti protetti dalla Direttiva Habitat dell’UE. Habitat caratterizzati da piante molto particolari, che hanno dovuto adattarsi, attraverso affascinanti strategie a condizioni estreme di temperatura, povertà di nutrienti e acqua e ad elevata salinità, i cui nomi spesso ricordano quello di piante affini degli ambienti interni ai quali si aggiunge la specifica “marina” anche nel nome latino.
Abbiamo così il Pancratium maritimum (il giglio di mare), l’Achillea maritima (l’achillea delle spiagge), il Polygonum maritimum (il poligono marittimo), Eryngium maritimum (la calcatreppola marina), la Medicago marina (l’erba medica marina), il Crithmum maritimum (finocchio marino) e molte altre. Alcune di queste sono specie vegetali minacciate di estinzione, protette dalle direttive europee, o ancora endemismi che si trovano in aree ristrettissime delle nostre coste, anche in un singolo promontorio, e da nessuna altra parte.
Una delle tante sfortune di questi habitat è che la vegetazione che li caratterizza risulta in gran parte secca a luglio e agosto, mesi nei quali orde di bagnanti si recano sulle coste inconsapevoli che quelle “fastidiose erbacce secche” in mezzo alla sabbia offrono, da fine inverno a primavera, stupende fioriture che supportano un’enorme biodiversità di impollinatori e altri insetti e animali (se guardassimo con attenzione, potremmo notarli anche d’estate, insieme ad alcune fioriture tardive), spesso superiore a quella che magari possiamo trovare in un prato fiorito di campagna o, addirittura, di montagna.

Pensate e immaginate se boschi e montagne venissero trattati come le spiagge (non che le montagne non abbiano i loro problemi, ma sulla costa gli impatti hanno un’estensione e un livello di annientamento nettamente superiore); eppure, a livello naturalistico ed ecologico, non vi è differenza. Auspichiamo un futuro nel quale “andare al mare” abbia lo stesso significato di “andare in montagna” ovvero dotarsi di abbigliamento adeguato, binocolo, taccuino e voglia di camminare ed esplorare le bellezze che questi ecosistemi hanno da offrire. Le distese di lettini e ombrelloni sono un’aberrazione moderna e consumistica del vivere questi spazi di natura.
L’invito è dunque a infilarvi le infradito e avventurarvi nelle “retrovie” delle spiagge che frequentate e delle loro file di ombrelloni, per osservare se e cosa è sopravvissuto dell’ecosistema nel quale vi dovreste trovare (fate attenzione a non calpestare la vegetazione e a non alterare la struttura delle dune, se ancora presenti). Speriamo che questo articolo e queste foto vi facciano guardare a quelle erbacce secche con occhi nuovi.










