Grazia parziale per Alaa Faraji, il giovane libico oggi trentenne condannato a 30 anni per favoreggiamento della immigrazione clandestina e omicidio plurimo, perché nella stiva del barcone che lo ha portato in Italia sono morte 49 persone, delle quali per altro egli ignorava l’esistenza.(Quando Alaa era un ragazzo)
Il giovane, che all’epoca aveva 19 anni e ha già scontato 10 anni di carcere, uscendo solo in due mezze giornate per buona condotta, otterrà ora, per la grazia parziale concessa dal Presidente della Repubblica, uno sconto di pena di 11 anni e 4 mesi.
In questo modo, su ulteriore decisione dei giudici, potrebbe accedere alle pene alternative, come la semilibertà, per scontare il terzo della pena che gli resta. (fonte adnkronos.com/cronaca/grazia-parziale-per-alaa-faraj-sconto-di-11-anni-di-carcere_).
È certo una buona notizia, ma è davvero troppo poco, a fronte della sua ripetutamente dichiarata innocenza e della stessa incertezza delle parole dei giudici nel dispositivo di condanna. Avremmo voluto (e dovuto) scrivere “Faraj è libero”… e invece no…
Riportiamo il commento di Roberta Lo Bianco, cofondatrice dell’associazione “Moltivolti” di Palermo, commento che condividiamo in toto. (d.m.)
La grazia parziale concessa ad Alaa è una notizia che accogliamo insieme, con felicità e sollievo. Dopo anni di carcere e di una pena ingiusta, si alleggerisce finalmente il peso di una condanna disumana. Respiriamo insieme ad Alaa, come comunità che non ha mai smesso di credergli.
Ma non ci basta.
Perché la grazia interviene sulla pena, non sulla verità.
Non cancella la sentenza, non restituisce innocenza, non ripara l’errore giudiziario che ha trasformato Alaa, e come lui tantissime altre persone, nel colpevole perfetto di un sistema che da anni criminalizza le persone migranti per coprire le proprie responsabilità politiche.
Questo processo avrebbe dovuto essere revisionato.
Perché Alaa è innocente.
E perché uno Stato di diritto non può limitarsi ad attenuare una pena ingiusta, ma dovrebbe avere il coraggio di mettere in discussione le proprie decisioni quando producono ingiustizia.
La grazia concessa da Mattarella va letta nei limiti del ruolo istituzionale del Presidente della Repubblica.
Ha fatto tutto ciò che era possibile: un atto necessario per alleviare una pena eccessiva e disumana, riducendo lo scarto tra diritto e pena legalmente applicata e la dimensione morale della effettiva colpevolezza, come sottolineato dai giudici d’appello di Messina.
Ma non è sufficiente per chi, come noi, non confonde la compassione con la giustizia.
Oggi siamo felici per Alaa.
Ma non smetteremo di dire che questo processo è stato sbagliato.
Che Alaa non doveva essere graziato: doveva essere assolto.
La grazia è un passo.
La giustizia è un’altra cosa.
E per Alaa, non è ancora arrivata, ma, Alaa, ti vogliamo a festeggiare insieme a noi che ti guardiamo e ti guarderemo sempre come innocente e non come “graziato”.










