“Bruciare la biblioteca di una scuola è un attacco al diritto allo studio, ancora più grave se avviene, come nel caso dell’IO Pestalozzi di Catania, in un istituto che rappresenta lo stato in un territorio complesso, in cui le altre istituzioni sono spesso assenti ”.
Con queste parole della prof.ssa Linda Cavallaro (RSU Cobas dell’IO), e con il conseguente invito a sostenere anche economicamente la Pestalozzi, si è aperto il convegno di aggiornamento/formazione rivolto al personale della scuola, “Conoscere la guerra per costruire un immaginario di pace”. Promosso dal CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica), si è svolto lunedì 15 dicembre presso l’aula magna del LS E. Boggio Lera di Catania.
La discussione si è svolta intorno a due polarità: da un lato la ricostruzione dei processi storici dalla guerra fredda ai nostri giorni (compresa l’attuale corsa agli armamenti), dall’altro la necessaria rielaborazione didattico-educativa del conflitto, necessaria per poter costruire un immaginario di pace.
“Noi vogliamo contribuire ad approfondire e individuare percorsi possibili per rimettere in discussione l’ineluttabilità e la ‘normalizzazione’ della guerra, convinti che ogni generazione dovrebbe tentare di consegnare a chi verrà dopo un mondo meno conflittuale e violento di quello in cui ha vissuto e operato”. Così Patrizia Russo (docente, Cesp CT) ha introdotto i lavori, rivolgendosi ai presenti in sala, agli oltre 350 collegati on line e ad alunne/i e docenti di circa 34 classi, collegati dalle loro sedi.
Sui vari tipi di guerre che, dopo la fine dell’equilibrio bipolare, hanno determinato vere e proprie catastrofi umanitarie, ha poi ragionato Nino De Cristofaro (docente, Cobas scuola), a partire dai cinque conflitti successivi alla caduta del muro di Berlino del 1989: ex Jugoslavia (Kossovo), Afghanistan (dopo l’attentato alle Torri Gemelle), Russia/Ucraina, Sudan e genocidio del Popolo Palestinese.
Nel secondo dopoguerra – ha proseguito – i due blocchi, a guida USA e URSS, contrapposti anche militarmente (NATO 1949, Patto di Varsavia 1955), man mano che cresceva la corsa agli armamenti (dal ’45 agli anni ’90, sono state costruite oltre 130.000 testate nucleari) hanno dato vita a una sorta di equilibrio del terrore. E’ stata così definita una netta e non modificabile divisione del mondo (unica eccezione la Jugoslavia di Tito), in un quadro di crescita dell’economia mondiale e di estensione (non omogenea) dello stato sociale.
Dopo il ’73 (crisi economica e guerra del Vietnam), invece, la nuova corsa agli armamenti si è sviluppata in un contesto di recessione economica, di aumento esponenziale delle diseguaglianze e di competizione nel cosiddetto ‘terzo mondo”. Fino ad arrivare alla dissoluzione dell’URSS (1991) e alla quantomeno frettolosa teoria della ‘fine della storia’ e della definitiva affermazione del modello liberale, come forma universale di governo.
Attraverso i cinque conflitti proposti il relatore ha provato a individuare le linee di tendenza dell’ultimo trentennio. In Jugoslavia si è prima sperimentata la secessione dei ricchi (Croazia e Slovenia) dal resto della federazione, secondo un modello ripreso in Italia dalla Lega Nord di Bossi, mentre in Kossovo, senza mandato dell’ONU, la NATO, con l’appoggio del governo italiano D’Alema-Mattarella, ha realizzato il primo grande intervento militare “umanitario”.
In Afghanistan, nel 2001, la NATO, stavolta su mandato dell’ONU, ha iniziato le operazioni per combattere il terrorismo e “esportare la democrazia”, avendo anche l’obiettivo di trasformare un’area eterogenea in una nazione coesa e organizzata. Com’è stato scritto: “Siamo andati in Afghanistan per vendicarci dell’11 settembre e ce ne siamo andati venti anni dopo con i Talebani di nuovo al potere”.
Rispetto al conflitto Russia/Ucraina, De Cristofaro ha premesso la condanna dell’invasione ma ha anche ricordato che il conflitto inizia nel 2014 (Maidan e annessione russa della Crimea), che sono stati vanificati gli accordi di Minsk e che dopo l’intervento di Trump e l’astensione di Russia e Cina rispetto al cosiddetto piano di pace a Gaza, è emersa una evidente logica di scambio fra le grandi potenze, sulla pelle del popolo Ucraino e di quello Palestinese.
In Sudan, dove è in corso, nella disattenzione generale, una catastrofe di immani proporzioni, si è di fronte, al contempo, a una lotta tra fazioni locali (si stanno scontrando due generali ex alleati nel colpo di stato del 2021) e interessi di diverse potenze, soprattutto regionali, rispetto alle risorse naturali, oro e petrolio, presenti in quel territorio e allo sfruttamento di una popolazione giovanissima e in rapida crescita. Senza dimenticare che il Corno d’Africa rappresenta un centro nevralgico della geopolitica del XXI secolo per la stabilità dei mercati globali, la sicurezza energetica e l’equilibrio fra le grandi potenze. Non a caso a Gibuti sono ospitate almeno 8 basi militari straniere, una è italiana.
Rispetto alla guerra ‘asimmetrica’ fra lo stato di Israele e la popolazione della Striscia di Gaza, il relatore ha sottolineato come già nel 1896 Herzl, con la pubblicazione de “Lo stato ebraico”, avesse rivendicato la Palestina come patria storica degli ebrei, evidenziando, così come facevano in quel periodo tutte le potenze coloniali europee (si pensi al fardello dell’uomo bianco), il fatto che il nuovo insediamento avrebbe rappresentato un avamposto della civiltà contro la barbarie. Il relatore ha poi ricordato la definizione ONU di genocidio (1948) che può essere applicata a quanto accaduto nella Striscia, in un territorio che, nonostante e contro le tante risoluzioni dell’ONU, lo stato israeliano oggi occupa per oltre l’85% a fronte del 57% previsto dalla risoluzione 181 dell’ONU (1947).
Infine, che fare di fronte a una realtà che, come è stato detto, pone oggi l’umanità di fronte alla terza guerra mondiale a pezzi? Chiaramente un mondo multipolare può aiutare nei processi di pace, ma anche tra i pensatori del passato si possono trovare indicazioni originali e utili. In particolare, il relatore ha citato in conclusione il pensiero di J. Bentham (1748/1832).
Il primo divulgatore dell’Utilitarismo, infatti, ci ricorda che la guerra per sua natura è una macchina di produzione del dolore, distrugge vite e proprietà, grava sulle finanze pubbliche. Per contrastarla propone di abolire la diplomazia segreta, porre fine al colonialismo, costituire un’assemblea delle nazioni, un tribunale internazionale per arbitrare le controversie e ridurre gli armamenti. Non sembrano proposte irrealizzabili.










