Ci sono momenti in cui un’istituzione si tradisce da sola.
Il CDC lo ha fatto il 19 novembre 2025, quando ha ammesso ciò che qualunque osservatore onesto sapeva da anni: la frase “i vaccini non causano l’autismo” non poggiava su prove solide.

Non si tratta di una sfumatura linguistica, né di un aggiornamento tecnico.
È un ribaltamento clamoroso di vent’anni di retorica ufficiale, una rivelazione che mette in discussione l’intero impianto comunicativo della sanità pubblica statunitense.

Il CDC non dice che i vaccini causano l’autismo — lo ribadiamo.
Ma ammette qualcosa di assai più grave: non è stato dimostrato che non lo causino, almeno per i vaccini somministrati nei primi mesi di vita.

La domanda che ora si impone, con tutta la sua forza, è la più semplice e la più scomoda:
come è stato possibile che un’agenzia federale abbia trasformato una mancanza di prove in una certezza assoluta?

Il CDC, per la prima volta, dice esplicitamente ciò che per anni è stato nascosto dietro formule rassicuranti:

  • gli studi su MMR non stabiliscono cause,
  • e quelli sul calendario vaccinale dei neonati — DTaP, epatite B, Hib, IPV, pneumococco — sono insufficienti per dire sì o no.

Le principali analisi indipendenti lo dicevano già dal 1991 al 2021: le prove non permettono né di escludere né di confermare un legame.

E allora perché per vent’anni il messaggio è stato l’esatto opposto?
Perché la comunicazione istituzionale ha presentato un “non c’è rapporto” come un dogma scolpito nella pietra?

È stata una scelta.
Una scelta politica, prima ancora che scientifica, una scelta che oggi implode

Per due decenni il dibattito su autismo e vaccini è stato sterilizzato sistematicamente evocando un solo nome: Wakefield.

Un episodio, per quanto controverso, è diventato il passe-partout per deridere i genitori, svalutare le testimonianze, ignorare ricerche emergenti, evitare qualunque analisi approfondita col risultato di una generazione intera di scienza mancata.

Il CDC oggi ammette non solo che le prove erano insufficienti, ma anche che alcuni studi potenzialmente critici sono stati ignorati.
È difficile immaginare una confessione più devastante per un’agenzia di sanità pubblica.

 C’è un dettaglio contenuto nella nuova pagina del CDC che meriterebbe di aprire il telegiornale di qualunque Paese democratico:
la vecchia frase “i vaccini non causano l’autismo” rimane online solo per un accordo politico con il presidente della Commissione Salute del Senato.

Non per ragioni mediche.
Non per ragioni scientifiche.
Per ragioni politiche.

Una frase che per anni è stata usata per zittire genitori, medici, giornalisti e ricercatori oggi viene smascherata nella sua natura: propaganda sanitaria.

Quante altre affermazioni “scientifiche” sono state modellate allo stesso modo?
Chi ha beneficiato di questa narrativa?
E soprattutto: chi ne ha pagato il prezzo?

Questo dietrofront arriva mentre l’amministrazione federale:

  • riapre le revisioni del NIH sulla sicurezza vaccinale,
  • ripristina la Task Force sui Vaccini dell’Infanzia più Sicuri,
  • riforma l’ACIP,
  • e mette in discussione dogmi che sembravano intoccabili.

Quando un’istituzione cambia linguaggio, cambia anche la cornice del dibattito.
E il CDC ha appena riscritto la cornice del dibattito globale sui vaccini.

Non è retorica:
la questione non è più chiusa.
È ufficialmente aperta.

La domanda proibita ora diventa una priorità: studiare davvero, finalmente, i possibili meccanismi biologici dell’autismo

Per anni, ipotesi come:

  • neuroinfiammazione,
  • vulnerabilità mitocondriali,
  • adiuvanti,
  • disregolazione immunitaria precoce
    sono state liquidate come “teorie marginali”.

Oggi, quelle stesse ipotesi entrano — per la prima volta — in uno spazio legittimo di ricerca.
Non per concessione politica, ma perché il CDC ha ammesso ciò che da sempre avrebbe dovuto dire:
non sappiamo ancora con sicurezza cosa accade nei neonati dopo una serie ravvicinata di stimoli immunitari.

Ed è questo il punto: non lo sappiamo perché non lo abbiamo studiato a fondo.

Non lo sappiamo perché per vent’anni abbiamo scambiato slogan per scienza.

Il momento della verità è arrivato. E la scienza deve ripartire da qui.

Siamo davanti a un’occasione irripetibile.
Una porta si è aperta — tardi, troppo tardi, ma si è aperta.

Ora servono:

  • studi seri, indipendenti, biologicamente fondati;
  • analisi su sottogruppi vulnerabili;
  • ricerche longitudinali;
  • trasparenza totale nei dati;
  • un nuovo modo di comunicare, che non scambi il pubblico per un bambino da rassicurare, ma per un cittadino da informare.

Dopo vent’anni di frasi rassicuranti costruite sul vuoto, questo è il momento di affrontare la questione con rigore e coraggio.

Davvero:
se non ora, quando?

Fonte: blog Maryanne DeMasi

 

Ulteriori informazioni:

https://www.comilva.org/it/informazione/dal-mondo-ricerca-scientifica-editoriale-comilva/mmr-e-autismo-il-caso-wakefield-come

https://www.comilva.org/it/informazione/danno-da-vaccino-redazionale-comilva/i-vaccini-non-causano-lautismo

https://comilva.org/it/informazione/dal-mondo-redazionale-comilva/andrew-wakefield-e-i-retroscena-della-controversia

https://www.comilva.org/it/informazione/dallitalia-danno-da-vaccino-editoriale-comilva/la-sentenza-riparatrice

https://www.comilva.org/it/informazione/redazionale-comilva/bufale-e-controbufale

https://comilva.org/it/informazione/giurisprudenza-danno-da-vaccino/autismo-e-vaccinazioni-una-nuova-sentenza-favorevole

https://www.comilva.org/it/informazione/redazionale-comilva/non-accettate-notizie-dagli-sconosciuti

 

L’articolo originale può essere letto qui