Negli ultimi diciotto mesi, le prefetture italiane hanno revocato le misure di accoglienza a oltre 53.000 persone, lasciandole senza tutela, spesso per strada e senza alcuna alternativa.
Questo dato, raccolto da Altreconomia (Cinquantamila ombre segnano il fallimento del sistema di accoglienza) attraverso più di cento richieste di accesso civico, racconta un sistema di accoglienza al collasso, dove la revoca – nata come strumento eccezionale nella direttiva europea 2013/33/UE – è diventata una pratica ordinaria e punitiva.
Le revoche colpiscono anche chi lavora, chi si assenta per necessità, chi semplicemente non riesce più a sopportare le condizioni indegne e disumane di molti centri, come accade a Pian del Lago, Caltanissetta.
Un sistema che invece di proteggere, produce marginalità, sfruttamento e invisibilità.
Un’accoglienza ridotta a un parcheggio di vite, dove la dignità non trova spazio.
Molte persone, dopo la revoca, finiscono per vivere in strada o lavorare in nero, senza assistenza legale, sanitaria o linguistica.
Davanti a tutto questo, la società civile non può restare a guardare. Cosa possiamo fare:
Documentare: raccogliere prove, foto, video e testimonianze dirette delle violazioni.
Chiedere alla Prefettura la sospensione delle revoche nei casi ambigui, il riesame individuale, la ricollocazione immediata e scuse pubbliche per chi è stato abbandonato.
Garantire supporto legale: collegare chi subisce una revoca con avvocati e volontari (ASGI, studi legali, associazioni locali) per ricorsi e sospensive urgenti.
Attivare reti solidali: offrire ospitalità temporanea, sostegno materiale, alloggi solidali, spazi di protezione nelle comunità e nei centri sociali.
Fare pressione pubblica: costruire campagne, presidiare le istituzioni, raccontare e denunciare pubblicamente ogni violazione.
Solo una mobilitazione collettiva può ribaltare questo sistema che punisce chi cerca dignità.
Perché il diritto di esistere non si revoca. @Right TO BE
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