Che fine ha fatto il parco territoriale Monte Po – Vallone Acquicella, proposto da un comitato di cittadini e associazioni, presieduto da Pippo Rannisi, delegato Lipu e protagonista indiscusso della difesa del verde a Catania?

E che fine ha fatto la sua versione ridotta, di soli 26 ettari di proprietà comunale, inserita nel PUI della Città Metropolitana e finanziata con 15 milioni di euro?

Lasciando il grande Parco di 220 ettari come obiettivo a lungo termine, a cui le associazioni proponenti non hanno rinunciato, occupiamoci oggi dell’intervento denominato “Cda Monte Po, Via Palermo – Parco urbano – Cerniera verde – Attrezzature per lo sport – Inclusione sociale – Recupero e ripristino delle aree del fiume Acquicella”. Vale a dire del parco che deve sorgere sulla collina di Monte Po e che, sebbene ormai progettato, ha rischiato di finire nel nulla.

La progettazione, a seguito di un appalto di Invitalia, era stata assegnata ad una associazione temporanea di studi di progettazione, con capofila la SAB srl, che ha redatto un progetto molto diverso da quello, di stampo naturalistico, voluto dal Comitato dei proponenti.

Erano state previste strutture estranee al contesto e abbastanza incongrue, con una notevole presenza di cemento e interventi idraulici invasivi che avrebbe creato problemi di manutenzione e rischi di danneggiamento. Anche la scelta delle essenze da piantumare era poco rispettosa delle caratteristiche del territorio, essendo in gran parte incentrata su giardini di agrumi che, vista la necessità di acqua abbondante e di cura, sarebbero andati incontro a consistenti spese di manutenzione e a difficoltà organizzative determinate dalla carenza di personale.

Scelte poco convincenti e in parte inspiegabili, visto che il Comitato dei proponenti aveva avuto con i progettisti alcune interlocuzioni e aveva messo a loro disposizione un intero dossier di analisi dei luoghi e di indicazioni e proposte molto articolate. Proposte basate essenzialmente sul rispetto delle caratteristiche naturali dell’area, già bella di per sé e in grado di consentire quella full immersion nella natura che manca alla nostra città.

Ma il rischio di condanna a morte per questo progetto non era legato solo alla sua incongruenza.

Quando, nel passaggio alla fase esecutiva, il progetto è transitato dall’Urbanistica ai Lavori Pubblici, il nuovo ufficio si è trovato davanti ad una situazione molto ingarbugliata e ha dovuto, innanzi tutto, sbloccare una serie di ostacoli che impedivano di passare alla fase esecutiva.

L’area destinata a Parco era sottoposta ad un provvedimento di sequestro da parte della magistratura che indagava sullo scarico abusivo di grandi quantità di materiali, anche pericolosi. Il primo passo necessario era, quindi, quello di ottenere il dissequestro. Successivamente l’ufficio ha dovuto risolvere altre pratiche rimaste in sospeso, come la mancata registrazione della proprietà dei terreni, che – all’Agenzia delle Entrate – non risultavano ancora appartenenti al Comune.

A ritrovarsi tra le mani questo inghippo e a gestire la prosecuzione dell’iter, con professionalità e metodo, è stato l’ingegnere Giuseppe Marletta insieme ai suoi collaboratori, tra cui la giovane ingegnera Deborah Bontorno. L’ufficio non ha agito da solo, si è tenuto in costante contatto con il Comitato proponente e con il suo presidente Rannisi, tenendo lo sguardo sempre rivolto al calendario vista la necessità di concludere i lavori entro il 2026, per non perdere il finanziamento.

Il vecchio progetto non è stato validato e, con una nuova gara, l’appalto integrato (progettazione ed esecuzione) è stato affidato ad una nuova società che ha messo in gioco personale esperto di vegetazione.

cambiamenti apportati rispetto al progetto precedente sono sostanziali, anche su aspetti apparentemente secondari. I giochi per i bambini sono stati spostati nella parte bassa dell’area, più accessibile e fruibile rispetto a quella alta e impervia in cui erano stati precedentemente collocati.

Gli agrumeti, che necessitano di acqua, manutenzione e spese non indifferenti, sono stati sostituiti con essenze vegetali più adatte al clima e al terreno.

Via gli orpelli inutili e quell’aggiunta di cemento di cui non si sentiva il bisogno, ok alla messa in sicurezza dei vecchi caseggiati sebbene le attuali risorse non permettano di rimetterli in uso. Sì alla recinzione, per evitare che l’area continui ad essere invasa da rifiuti o “colonizzata” da qualche pastore. Sì alla progettazione di percorsi ciclo-pedonali che tocchino i vari punti di interesse, dai resti archeologici alle strutture militari, ai punti di osservazione paesaggistica.

E, per guadagnare tempo, è stata sfruttata la possibilità, offerta dalla normativa, di avviare le opere propedeutiche di bonifica degli ordigni bellici, di pulizia, etc, nelle more della consegna del progetto esecutivo.

E già Marletta comincia a ragionare sul problema della gestione, complicato dalla cronica carenza di personale comunale, ma che è necessario definire per non rischiare di abbandonare nuovamente l’area all’incuria e al degrado.

Prima della fine dei lavori si propone di presentare una manifestazione di interesse allo scopo di individuare eventuali associazioni disponibili a farsi carico, con una procedura negoziata, della accoglienza e della custodia del Parco.

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