Non è pace. La guerra non è finita. Al momento è soltanto un cessate-il- fuoco ad intermittenza. La seconda fase, quella del ritiro dell’esercito israeliano, non si sa quando e come inizierà. Israele ha lasciato sul terreno i suoi collaborazionisti traditori armati.

È una fase delicata. La gente di Gaza sorride e festeggia con l’amaro in bocca. Lunghe file di gente che cammina a piedi, su carrozze trainate da animali o su auto in direzione nord sulla strada Al-Rasheed, in mezzo alla totale distruzione. Meta è raggiungere i ruderi della propria casa distrutta dalle bombe dei criminali generali israeliani. Secondo fonti mediche, un quarto di un milione di persone ha fatto già ritorno nel centro di Gaza in un solo giorno.

Una speranza e molte paure animano lo spirito di chi abbiamo sentito, sulla strada del ritorno. “Non ci arrendiamo. È la nostra terra e la ricostruiremo. Il pericolo sionista incombe in ogni momento, ma in due anni di aggressione non hanno piegato la nostra volontà di vivere liberi e conquistare la nostra autodeterminazione. Gaza non è una questione umanitaria o di business edilizio, è una battaglia politica. Abbiamo bisogno del vostro sostegno”, ci ha raccontato con le lacrimi agli occhi, una militante di Al-Najdah. “Sono lacrime per i lutti e di gioia allo stesso tempo”.

Un camion carico di tritolo e pronto all’innesco è stato lasciato dall’esercito più immorale del mondo sulla strada di ritorno degli sfollati. Soltanto la sorveglianza della polizia palestinese ha evitato un’altra strage. I genieri della protezione civile palestinese hanno disinnescato i contatti elettrici per la deflagrazione.

La protezione civile ha raccolto tra i ruderi falsi giocattoli e scatole di tonno e di cibo, che contenevano in realtà delle trappole esplosive.

Israele ha lasciato a Gaza distruzioni e morte. Negli ospedali sono giunti ieri 155 corpi di persone uccise. 19 uccise ieri in bombardamenti e per azioni dei cecchini. 135 corpi estratti da sotto le macerie causate da bombardamenti precedenti e 1 morto per ferite subite in attacchi passati.

Un giovane palestinese ucciso dal fuoco dei soldati israeliani a Jenin, in Cisgiordania. Mohammed Salameh, 25 anni, è stato ucciso mentre si recava al cinema, colpito da pallottole vaganti. I soldati che hanno invaso le strade della città hanno sparato all’impazzata, colpendolo alla testa. Un altro ragazzo minorenne è stato ferito alle gambe. Come al solito, i soldati hanno bloccato per diverse ore l’ingresso delle ambulanze nella zona.

Un altro giovane è stato ferito gravemente dalle pallottole dei coloni, durante un attacco contro i raccoglitori di olive, a Beita a sud di Nablus. Sono stati ferite anche altre 7 persone tra cui due giornalisti. Tre veicoli agricoli di contadini palestinesi sono stati bruciati. I coloni erano protetti dai soldati che sono rimasti a guardare, e sono intervenuti contro i palestinesi nel momento del lancio di pietre contro gli israeliani. Anche la presenza degli osservatori volontari civili internazionali non fa desistere gli aggressori messianici inferociti, arrivati da ogni dove, che pretendono che le terre dei nativi siano state donate loro da Dio.

A Gerusalemme est, la sede della Federazione delle associazioni caritatevoli palestinesi è nelle mire delle autorità militari di occupazione. Il ministro Ben Gvir ha vietato una riunione delle associazioni sportive e della società civile palestinese. I militari hanno affisso sulla porta del locale un avviso che vieta ogni attività e ne dichiara la chiusura. Il presidente della federazione, Majdi Sghayer, è stato arrestato. La Federazione delle realtà no-profit palestinesi di Gerusalemme est è nata negli anni ’50, subito dopo la Nakba, e comprende sia istituzioni islamiche sia cristiane.

Le fasi della tregua prevedono lo scambio di prigionieri entro 72 ore dalla firma definitiva dell’accordo. Entro lunedì o martedì saranno liberati gli ostaggi vivi e morti in mano di Hamas e Jihad islamica e 250 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, oltre a 1700 ostaggi rapiti durante l’occupazione militare di Gaza.

Inizia da subito il ritiro dei soldati di occupazione fino alla prima linea (disegnata in giallo nelle cartine).

Saranno attivate due sale operative, una palestinese e una israeliana, che comunicheranno tramite i mediatori e la Croce rossa.

La consegna avverrà senza cerimonie spettacolari e il movimento delle auto e dei pullman, che trasporteranno prigionieri e ostaggi, avverrà simultaneamente.

L’ingresso degli aiuti comincerà da subito con un ritmo di almeno 600 camion al giorno, con precedenza per cibo e medicine. Entreranno 50 camion di carburanti e gas per cucinare. Verrà riattivata la fornitura di elettricità. Il valico di Rafah sarà aperto al passaggio di merci e persone nelle due direzioni, con accordi con le autorità egiziane.

È libera la circolazione dei camion sull’asse nord-sud della Striscia percorrendo le vie Al-Rasheed e Salahuddine.

L’accordo prevede l’ingresso di macchinari di movimento terra per la rimozione delle macerie e strutture per l’alloggio degli sfollati, case di legno e tende.

Sarà ripristinata la funzionalità dei panifici e la riparazione del sistema idrico e delle fognature.

Tutti gli aiuti saranno distribuiti dalle organizzazioni dell’ONU e dalle altre organizzazioni umanitarie internazionali civili. È esclusa espressamente l’organizzazione dei militari mercenari statunitensi GHF, che ha già iniziato a smantellare i suoi capannoni a Rafah e Khan Younis.

Non è specificato il momento di inizio della seconda fase con le relative trattative. È il punto che il criminale di guerra ricercato Netanyahu potrà sfruttare per riprendere gli attacchi oppure non ritirarsi e prolungare l’occupazione.