Prendiamo spunto dall’analisi sulla legge di bilancio 2026/2028 dei due economisti Roberto Romano e Andrea Fumagalli, di cui è stato pubblicato in versione ridotta l’articolo su Pressenza, per allargare l’orizzonte su come i movimenti di massa che hanno agitato le piazze delle scorse settimane in difesa del popolo palestinese, ora si stiano saldando sul tema della lotta alle politiche neoliberiste che stanno mettendo in seria discussione la tenuta democratica dei paesi occidentali, a partire dallo smantellamento del sistema di tutele pubbliche in favore di una politica di riarmo che toglie risorse ai servizi essenziali per i cittadini.
Partendo proprio dall’analisi di Romano e Fumagalli sulla manovra, possiamo dire con loro che a tornare sono solo i conti, ma non è presente nell’azione del governo italiano una strategia di crescita per il Paese; la stabilità continua ad essere il dogma inviolabile al quale sacrificare sviluppo e giustizia sociale. La politica sceglie di non decidere facendo prevalere la tecnica dei freddi e asettici regimi contabili di un’Unione Europea che non riesce a venir fuori dalle contraddizioni che essa stessa ha creato. Non si può che condividere l’impietosa conclusione della loro analisi: le società di rating brindano e i mercati speculativi e i poteri forti gioiscono!
Ci sono due dati che testimoniano in maniera incontrovertibile la tendenza a spostare più che negli anni passati il baricentro dell’economia verso politiche fintamente difensive giustificate dalla perenne lotta del mondo libero contro gli imperi del male: da un lato, il piano di riarmo che, per portare la spesa militare al 5% in dieci anni, farà salire le poste in bilancio da 45 miliardi nel 2025 a 146 miliardi nel 2035, con una spesa complessiva di quasi mille miliardi; dall’altro, un’inflazione da guerra pari al 18,6% cumulato fra il 2021 ed il 2024, ancora non recuperata, ed un drenaggio fiscale nel triennio 2022/2024 che ha portato 25 miliardi in più nelle casse dello Stato per IRPEF versata che non sono stati né restituiti ai lavoratori né reinvestiti in settori come la sanità, l’istruzione ed i servizi.
L’evasione fiscale e contributiva sfiora i 100 miliardi l’anno ed il 50% della ricchezza nazionale è saldamente tenuta in mano dal 5% più ricco della popolazione, ma non un solo intervento in campo economico viene assunto per superare questo trend e far ripartire l’economia, anzi: la produzione industriale è in calo da più di tre anni, non si creano nuovi posti di lavoro per i giovani che alla media di 100.000 all’anno emigrano verso altri paesi e più di sei milioni di lavoratori vivono di precarietà, lavoro nero, sommerso e di paghe al limite della soglia di povertà.
In Sicilia, dove secondo i dati Istat ci sono 600.000 persone in condizione di povertà assoluta, il governo regionale riprogramma la spesa dei fondi strutturali europei per finanziare la spesa per infrastrutture militari: oltre 250 milioni di euro per “Sviluppare infrastrutture di difesa resilienti, dando priorità a quelle di natura duale, anche al fine di promuovere la mobilita militare nell’Unione, nonché rafforzare la preparazione civile“, mentre le infrastrutture civili cadono a pezzi, la sanità subisce tagli a più non posso e la pubblica amministrazione avrebbe bisogno di maggiori investimenti in termini occupazionali per il ricambio generazionale.
Cgil, Arci, Anpi, Legambiente, Libera e Uisp hanno chiesto di revocare gli atti di programmazione e di indirizzare le risorse verso politiche di welfare, ma è difficile immaginare che il governo presieduto da Renato Schifani possa discostarsi dalla linea del governo Meloni: per questo la piazza è tornata a gridare lo slogan già scandito durante lo sciopero del 3 ottobre: diciamo no a una Sicilia piattaforma militare.
La manifestazione svoltasi a Roma il 25 ottobre, indetta dalla Cgil sui temi della pace, del lavoro e della democrazia e contro l’austerità ed il riarmo che determina l’affermarsi di un’economia di guerra, evidenzia un dato politico importante: le mobilitazioni messe in campo negli ultimi mesi a sostegno del popolo palestinese e dell’iniziativa della Global Sumud Flotilla, hanno dato l’avvio a un processo sociale che si è messo in movimento, e difficilmente si fermerà, contro le politiche neoliberiste e reazionarie di gran parte dei governi occidentali e che, in Italia, di fronte all’incapacità delle forze politiche di sinistra di dare adeguata rappresentanza ad ampi strati della popolazione, vede come maggior punto di riferimento proprio i sindacati come la Cgil e le altre oo.ss. di Base che, insieme a movimenti ed associazioni, costituiscono di fatto la vera opposizione sociale a questo governo.
C’è materia su cui discutere e proseguire la mobilitazione: Landini non esclude lo sciopero sulla manovra, ma in gioco c’è anche il futuro della democrazia in questo Paese e nel mondo occidentale.










