Peperoni cruschi, pane di Matera, lucanica. E petrolio. Fra i prodotti tipici della Basilicata, da quando nel 1939 è stato messo in produzione il primo giacimento, a Tramutola, c’è anche l’oro nero, il combustibile fossile responsabile di circa un terzo della CO2 in eccesso presente oggi in atmosfera.

La Basilicata è il principale produttore di petrolio del nostro Paese, chiamata anche il Texas d’Italia. Una zona in particolare, la Val d’Agri, è il cuore petrolifero della regione, con molti pozzi attivi e il Centro Oli, dove il greggio viene stabilizzato prima di viaggiare verso Taranto. Migliaia di persone lavorano all’interno di questa filiera.

Vi dico tutto questo per raccontarvi che il petrolio svolge un ruolo centrale nella vita e nella società lucana, ma anche per farvi intendere come sia ancora più stupefacente che proprio in Basilicata – anzi, proprio nella Val d’Agri – sia nata una delle prime comunità solari d’Italia.

Se non sapete cosa sia una comunità solare, tranquilli, non siete i soli. È un concetto nato circa dieci anni fa, ma ancora poco conosciuto. In pratica è una rete di cittadini che produce e condivide energia solare in modo locale.

Se state pensando a una specie di comunità energetica, non ci siete andati molto lontani. Diciamo che sono parenti strette (e in alcuni casi le due cose si possono anche unire), ma a differenza di una CER, una comunità solare può nascere da qualsiasi impianto fotovoltaico, senza limiti di data o potenza, non richiede la creazione di un soggetto giuridico autonomo e si finanzia attraverso fondi di responsabilità sociale d’impresa (e non tramite incentivi pubblici). Inoltre ha, integrato nel suo funzionamento, un meccanismo di distribuzione dei benefici in forma di buoni spesa alle famiglie più fragili. Capisco che è un modello abbastanza complesso, se siete curiosi lo abbiamo spiegato qui.

Tornando al caso lucano, la comunità solare dell’Alta val d’Agri è nata due anni fa dall’iniziativa di cinque famiglie che hanno costituito un nucleo promotore e, dopo due anni, sono riuscite a coinvolgere altre otto famiglie e nove attività commerciali del territorio. Ancora poco per incidere sulla produzione energetica in maniera sensibile, ma abbastanza per iniziare a cambiare l’immaginario della Basilicata come “Texas d’Italia”, e per stimolare una transizione verso le rinnovabili equa e partecipata.

Chissà se fra qualche anno, a fianco dei peperoni cruschi e del pane di Matera, qualcuno, fra il serio e il faceto, metterà il Sole nell’elenco dei prodotti tipici lucani, al posto del petrolio.

Buon cambiamento