Però parlatene, le mafie e la comunicazione è uno degli studi della Fondazione Scintille di Futuro, presieduta da Pietro Grasso, che è stato presentato all’Istituto Gramsci di Palermo il 27 maggio 2025.

Scorrendo l’indice si osserva che mafie e comunicazione significa tante cose: come e cosa la mafia comunica; come la mafia comunica all’interno e come comunica verso l’esterno; gli stili, gli stereotipi, le leadership comunicative della mafia per come sono cambiate nel tempo e nelle diverse fasi della sua evoluzione; ma anche come si comunica “sulla mafia” da parte del servizio pubblico, da parte dei giornalisti di inchiesta, da parte delle fiction e da parte dei comici, ma anche le forme di comunicazione che sembrano mitizzare la mafia. Il volume presenta infine alcune storie di legalità attraverso il racconto di esperienze educative in diverse località italiane.

In effetti, riflettere sulle modalità comunicative della mafia e sulla mafia finisce inevitabilmente per portare con sé la riflessione sull’immaginario che si ha della mafia, su stereotipi diffusi e sulla necessità di fare cultura sulla mafia e sull’impegno antimafia.
Si finisce quindi ben presto per rivedere le forme puramente memorialistiche sulla mafia, sulla loro utilità nel contesto di oggi e rispetto alle nuove generazioni per le quali la stagione delle stragi è ormai storia lontana.

Durante il dibattito nella sede dell’Istituto Gramsci si è discusso sul fare memoria, nei confronti di generazioni che non hanno vissuto gli anni ‘80 e ‘90, senza rischiare di spingere la riflessione sulla mafia in un campo di semplice mitizzazione, che può essere giustificata in parte del rispetto verso le vittime, ma che può diventare sterile se non accompagnata a chiavi di lettura sociali, economiche e politiche che possano connettere quei fatti al mondo di oggi.

Il tema dunque va affrontato con schiettezza e spirito di collaborazione fra tutti soggetti attivi anche se, per sintetizzare le parole di Pietro Grasso, sono presenti anche approcci molto diversi. C’è da prendere atto comunque che le generazioni più giovani sembrano pretendere una riflessione e comunicazione su mafia e antimafia sempre più legate a questioni sociali e ai diritti della persona.

Molti degli interventi dei presenti hanno quindi toccato i fatti dell’ultimo 23 maggio a Palermo [l’anticipazione irrituale del minuto di silenzio presso l’albero di Falcone, voluta dalle autorità per impedire il contatto fra il corteo e il palco ed evitare così le probabili contestazioni, ndr] che ha ancora confermato come stia crescendo nuovamente una antimafia dei movimenti, a trazione particolarmente giovanile, ma con il coinvolgimento ormai abbastanza ampio di associazioni, che mostra la volontà di ricordare le vittime di mafia in modo popolare e condiviso, legando la memoria e lo stesso senso della lotta alla mafia alla costruzione di una società più giusta, in cui siano garantiti i diritti civili, il welfare comunitario, la libertà di parola e venga combattuta ogni forma di oppressione e marginalizzazione.

La lotta contro la mafia e contro la sua capacità di inquinamento della società nell’economia, nella cultura, nella comunicazione e nello Stato, diventa quindi una necessità per chiunque voglia essere attivista per una società più giusta e pacifica.

Diventa quindi lecito domandarsi il perché delle polemiche sulle mobilitazioni dei movimenti in occasione del 23 maggio, che si sono organizzati autonomamente rispetto alla manifestazione “istituzionale” organizzata dalla Fondazione Falcone. Da un punto di vista civile, dal punto di vista di chi riflette sulla vitalità dell’impegno antimafia anche delle giovani generazioni, dal punto di vista di chi teme il disimpegno e l’astensionismo diffuso nelle società, non è forse da salutare con soddisfazione il coagularsi di tanti soggetti associativi, anche giovanili, nelle mobilitazioni che celebrano l’antimafia?

La comunicazione fra i soggetti che operano nell’antimafia, nel mondo educativo, nella cultura diventa anch’essa quindi un nodo centralissimo. Parole comuni, snodi problematici, disponibilità al confronto anche nelle differenze, comprendendosi nei codici linguistici che si usano.

Interessante risonanza è giunta dal racconto di esperienze scolastiche offerto da Rosaria Cascio, docente e referente della Associazione Padre Giuseppe Puglisi, “Sì, ma verso dove?”. Da insegnante di Lettere nel Liceo Regina Margherita di Palermo, ponendosi la questione di unire la costruzione di competenze linguistiche alla capacità di lettura della realtà, ha realizzato una lunga sperimentazione nella produzione di podcast a contenuto socio-educativo in cui le allieve della classe hanno avuto protagonismo, sperimentando lettura dei fatti, competenze argomentative, tecniche e realizzative. Dal racconto è emerso come l’impegno del gruppo classe in un compito di realtà, soprattutto se ancorato all’interpretazione del contesto di vita, costruisce le competenze di indagine e di comunicazione che sono anche alla base dell’impegno civile antimafia.

Il tema è stato toccato anche da chi scrive, componente della rete docenti del No Mafia Memorial promosso dal Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato: dopo decenni di fondamentale lavoro delle scuole che hanno fondato un’antimafia della memoria e della coscienza comune, nel mondo che si trasforma rapidamente, con le mafie che si evolvono nell’immaginario, anche a causa del sistema delle fiction e del documentarismo, è giunto il tempo che la scuola, in tutti i suoi livelli, percorra il terreno dell’analisi del fenomeno mafioso.

Occorre fornire chiavi di lettura chiare, aiutare nell’individuare le componenti economiche, politiche, culturali delle mafie e mostrare come esse sono incompatibili con la vita democratica, anzi la mettono in discussione. Un lavoro di didattica storica sulle mafie si innesterebbe perfettamente nei percorsi di educazione civica, e non solo, diventando uno snodo nella coscienza civile delle cittadine e dei cittadini più giovani.

La sfida della Rete dei docenti del No Mafia Memorial sta proprio nella formazione reciproca al metodo per una didattica storica, giuridica, al fine della crescita personale dei ragazzi e delle ragazze, capace di coinvolgerli in modo attivo in un percorso di cittadinanza: le chiavi di lettura sulla mafia sono fra le più importanti per individuare le distorsioni che possono mettere in crisi la democrazia.

Dal racconto di laboratori educativi condotti da Libera e dal Centro Pio La Torre, di cui viene presentata una narrazione nel volume della Fondazione Scintille di Futuro, emergono infine dati che meritano approfondimento: la consapevolezza della difficoltà nell’estirpare le mafie che sembrano a volte più forti dello Stato, la conferma del ruolo primario svolto dalla scuola nella educazione alla legalità, il riferimento ai fatti di corruzione che favoriscono le mafie, il ruolo nuovo e preponderante svolto dai social network anche per l’informazione sulla mafia.